Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 dic 2021

16 ottobre 1943 - Giacomo Debenedetti (Racconto - 1944)

"Si pensò che i tedeschi non volessero lasciare documenti del sopruso. Ma i tedeschi hanno lasciato e lasciarono ben altri documenti: nelle fosse, nei carnai, nelle opere fatte saltare con le mine, nei saccheggi; a ogni loro passo ne hanno lasciati e ne lasciano, e tali che rimangono incisi, e per decenni rimarranno, sulla crosta dell'Europa". 


Classico della letteratura post clandestina, ci troviamo di fronte a un saggio-romanzo, a una verità raccontata come un romanzo. È la storia di come si arrivò a quella fatidica data del 16 ottobre 1943, la mattina in cui i nazisti, a seguito di una retata nel ghetto di Roma, deporteranno più di 1000 ebrei. Dopo l'otto settembre, infatti, il maggiore Kappler, comandante della Gestapo a Roma, considera gli ebrei italiani due volte colpevoli: come italiani traditori e come ebrei nemici della Germania. Dopo la razzia di 50 chilogrammi d'oro, quell'odio viscerale sedimentato nei secoli adesso diventato forte ed esclusivo si concluderà con il celebre rastrellamento e la deportazione a Auschwitz di uomini, donne, bambini colpevoli solo di essere ebrei.

Nel volume è raccolta la cronaca Otto ebrei, in cui si racconta del commissario di pubblica sicurezza che dopo la guerra dichiara di aver salvato otto ebrei dal terribile eccidio delle Fosse Ardeatine.

9 dic 2021

Il cappotto di Proust - Lorenza Foschini (Saggio - 2008)

"Jacques è appassionato di Proust, ha cominciato a leggerlo a vent'anni e da allora non ha mai smesso, dal giorno in cui la sua vita si è incrociata con la famiglia dello scrittore. Tutto a causa di un'appendicite che forse neanche c'era. È l'estate del 1929, si sente male. Viene chiamato Robert Proust, fratello di Marcel. Robert, che è chirurgo, decide di operarlo. L'intervento ha luogo nell'ospedale di rue Boileau. Qualche settimana dopo, come si usava in quegli anni, il giovane va a casa del dottore per ringraziarlo e consegnargli quanto gli deve".


L'amatissimo cappotto che Proust ha indossato per anni, che usava persino come coperta a letto quando scriveva di notte, raccontato da Cocteau e Morand, perduto dopo la sua morte e ritrovato dopo tormentose ricerche, è ormai una leggenda. Una leggenda e un'avventura che l'autrice, appassionata e dal piglio della collezionista, ha raccontato dopo aver spulciato lettere, manoscritti e rintracciando la storia del bibliofilo Jacques Guérin, il collezionista che ha ritrovato il cappotto, oltre ai mobili della stanza del geniale scrittore francese, ora conservati al museo Carnavalet a Parigi. Guérin è un uomo d'affari, un industriale di profumi, ma la sua più grande passione sono i libri rari, i manoscritti, le carte autografe di artisti. È anche un appassionato lettore di Proust che, per un caso fortuito, ha conosciuto Robert Proust, il fratello di Marcel. Alla morte di quest'ultimo, ancora una volta per puro caso, riesce a comprare i mobili dello scrittore, la scrivania e la libreria, e da lì a poco a comprare anche (e a salvare) alcune lettere, bozze, foto, disegni, dediche che non sono stati bruciati dal fratello e dalla cognata. Divenuto amico del rigattiere che si occupa di vendere quel che resta degli oggetti appartenuti a Marcel, Guérin scopre che c'è ancora dell'altro scampato all'oblio: il letto di ottone su cui è stato scritto quel capolavoro universale che è la Recherche e quel famoso cappotto tanto amato da Proust. Cappotto che il rigattiere aveva ricevuto in dono da Marthe, la cognata di Marcel, e che era stato utilizzato per scaldarsi le gambe e i piedi durante delle battute di pesca. 

Dalla ricerca di Guérin e dal racconto riportato, emergono storie familiari misteriose, di bizzarre passioni e infedeltà, di retriva omofobia e di imperdonabile incuranza verso i manoscritti di Marcel da parte della sua stessa famiglia.

Il volume è corredato da foto che documentano la profonda passione dell'autrice nei confronti di Proust. 

8 dic 2021

Fiore di roccia - Ilaria Tuti (Romanzo - 2020)

"Strofino abiti di morti. Chi ce li ha dati non aveva ferite tali da far sgorgare tutto questo rosso sulla valle. Ancora una volta, nulla può andare sprecato e allora il sangue tinge la trama più profonda, penetra nei recessi come un'epidemia, con quella particolare sfumatura di rosa che non ricorda un'alba o petali di fiore, ma le viscere di un corpo abbandonato sul campo di battaglia: la speranza divelta".


1915, Friuli, Alpi Carniche sul fronte del Pal Piccolo. Alcune ragazze, ogni notte, con indosso gli scarpetz ai piedi, salgono silenziose al fronte per portare armi, cibo, medicinali, biancheria ai soldati italiani in trincea. E quando tornano capita che portino con loro anche le barelle con i corpi dei morti. Sono forti quelle donne, resistono alla fatica, al dolore, al freddo e alla sensazione di morte che le accompagna. Sono dei soldati, insomma. La protagonista, Agata Primus, racconta la sua storia e non può non condividerla con quella delle sue compagne. Sono donne e ragazze come i fiori di roccia, le delicate seppur forti e resistenti stelle alpine, e allo stesso tempo sono piene di speranze e di sogni. Accettano il sacrificio, accettano di affrontare il pericolo, accettano l'idea dell'oblio...

Nel romanzo spiccano l'amicizia tra Agata e il comandante Colman (tra le pieghe del racconto c'è la premessa a una storia d'amore, un amore timido però, mai esploso), il ferimento di un giovane cecchino austriaco da parte della ragazza e le pericolose cure clandestine, la morte eroica dello stesso comandante. È una storia senza un vero e proprio climax, tutto sembra sospeso, lineare, quasi rassegnato. Il romanzo però ha il merito straordinario di ricordare le portatrici Carniche, la loro storia passata in secondo piano se non addirittura sconosciuta.

2 nov 2021

Il corrispondente misterioso - Marcel Proust (Racconti - 1896)

"Ben presto, come un vento intriso di pioggia sfoglia, stacca, disperde, fa marcire i fiori più profumati, il dolore di sentire ormai perduta la sua amica sommerse in un fiume di lacrime tutti quei voluttuosi pensieri. L'aspetto della nostra anima cambia spesso quanto quello del cielo. Le nostre povere esistenze ondeggiano smarrite fra le correnti della voluttà dove non osano restare e il porto della virtù che non hanno la forza di raggiungere".


 A venticinque anni un giovanissimo Proust si misura con la difficile dimensione del racconto. Rimaste inedite fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, e pubblicati per la prima volta in Italia solo adesso, queste nove novelle sono sì poco definite, alcune addirittura incompiute, eppure denotano quanto importante fosse già la letteratura per quello che sarà lo scrittore più importante del secolo scorso, e non solo. Nel loro piccolo, i racconti già contengono alcune immagini, alcuni ritratti di personaggi che poi si ritroveranno in quel capolavoro che è la Recherche. È evidente ancora una volta come il celebre romanzo sia in effetti l'esito finale di un percorso formativo e di scrittura che è iniziato ben prima della stesura stessa della Recherche.

Al centro e protagonista di questi racconti abbiamo la Parigi della Belle Époque, abbiamo personaggi che soffrono d'amore, omosessuali soprattutto, troviamo il tema della morte, della musica, della meraviglia di fronte alla bellezza, del mistero della vita, dell'esplorazione del proprio mondo interiore e dell'arte che ci aiuta a comprendere gli aspetti esistenziali. Sono protagonisti anche i temi della decadenza fisica, della memoria, della malinconia di un tempo perduto e della voglia di ritrovarlo. Il tema più ossessivo, tuttavia, rimane quello dell'omosessualità vista come maledizione in una riflessione psicologica che è fondamentalmente dolorosa. Riflessione anche morale se vogliamo, in un'epoca nella quale non era socialmente accettabile. Il racconto che dà il titolo alla raccolta riassume in sé la maggior parte di questi elementi. Narra, infatti, di Christiane, amica di Francoise, che lentamente si ammala sempre più per un male misterioso. Nello stesso periodo, Francoise riceve delle lettere d'amore da un ignoto, che poi si scoprirà essere la stessa Christiane. Pensando di assecondarne i desideri, Francoise, dopo aver consultato il suo confessore, rinuncerà nel suo intento. 

Nelle novelle è chiara l'influenza di Poe (nel racconto Il corrispondente misterioso c'è un evidente rimando alla Lettera rubata e c'è ne La consapevolezza di amarla addirittura un dialogo con un gatto-scoiattolo del tutto simile al corvo) e anche l'influenza di Schopenhauer e della sua volontà e rappresentazione (nel racconto Dopo l'ottava sinfonia di Beethoven).

La raccolta è introdotta da Luc Fraisse che spiega magistralmente come hanno avuto inizio alcune pagine del capolavoro proustiano. Introduzione che inevitabilmente si lega al saggio che chiude il volume in cui lo stesso saggista ricerca, alla luce delle nuove carte proustiane, le fonti della Recherche. Ogni novella, inoltre, è introdotta da un prezioso commento che, tra l'altro, mette in luce le corrispondenze tra il racconto stesso e quello che sarà il romanzo e anche i lapsus calami che Proust ha spesso tra i pronomi di genere.

26 ott 2021

Bufalino al cinema - A cura di Giuseppe Traina (Saggio - 2020)

"Se l'attribuzione del voto è pressoché sistematica a partire dal '46, ciò può voler dire che, con estremo scrupolo, Bufalino si sia rifiutato di valutare seccamente i film dei primi anni, che forse cominciavano a sbiadire nella memoria e che comunque appartenevano a un favoloso "prima": prima della guerra, prima della tubercolosi. La valutazione, infatti, poco s'addice al dominio incontrastato del sogno, a un cinema fruito come estasi; il vero e proprio ingresso nell'età adulta, traumatico e quasi revocato in dubbio dalla malattia, coincide invece con l'età del disincantamento e dunque del giudizio razionale: sul mondo, innanzitutto, ma anche sul cinema".


Gesualdo Bufalino, il grandissimo scrittore comisano, si sa, era un assiduo frequentatore di cinema e di cineclub. Cinefilo fino al midollo e insegnante di mestiere, ha tenuto dal 1934 al 1956 un registro dove schedava e giudicava i film che vedeva. In occasione del centenario della sua nascita, la Fondazione Bufalino ha regalato agli appassionati e instancabili cultori della figura dello straordinario scrittore un preziosissimo quaderno in cui sono riportate le fotografie delle pagine del suddetto registro. Sfogliando gustosamente i fogli si capisce quanto fossero prediletti il cinema americano e francese, film che negli anni Trenta del secolo scorso, durante il regime fascista, gli consentivano di avere uno sguardo verso il mondo; lui che viveva in quella provincia così lontana e così arcaica come era Ragusa. È divertente scartabellare le pagine alla scoperta di titoli, di storie che catturano la fantasia, ma soprattutto spulciare i voti che assegnava. Amava Chaplin (e come dargli torto), non amava Totò, preferiva il dramma alla commedia. I voti più alti sono dati ai capolavori neorealisti (non, ovviamente, alla letteratura) e ai capolavori del cinema francese degli anni '30 e '40. 

Indispensabile il saggio di Traina che introduce il volume per comprendere il clima culturale che respirava il giovane Bufalino e per capire quanto importante per lui fosse il cinema, il senso di magia che si prova davanti allo schermo. Nello scritto, il docente ripercorre la vita di Bufalino scorrendo le date e i luoghi che lo scrittore aveva annotato sul suo quaderno. Il seguente saggio del professor Zago, invece, si sofferma più sull'influenza che Bufalino ha subito dal linguaggio cinematografico.

Un volume splendido, corredato da bellissime foto di scene, da locandine da sfogliare pagina dopo pagina per assaporare il gusto malinconico di un cinema ormai passato, di tempi vissuti ormai lontani. Tempi e spazi che tuttavia riemergono sempre quando si va al cinema o si pensa alle nostre prime volte in quelle sale buie in cui, all'improvviso, un fascio di luce proietta su uno schermo, e nei nostri occhi, la magia dei film. 

25 ott 2021

Vita di Beethoven - Romain Rolland (Saggio - 1903)

"Adagio adagio la Gioia si impadronisce dell'essere: è una conquista, una guerra contro il dolore. Ecco i ritmi di marcia, gli eserciti in movimento, il canto ardente e affannoso del tenore, tutte quelle pagine frementi in cui si ode il soffio di Beethoven, il ritmo della sua respirazione e i suoi gridi ispirati. Par di vederlo mentre percorre i campi componendo la sua opera, trasportato da un furore demoniaco, come il vecchio re Lear nel mezzo della tempesta".


Beethoven è il genio assoluto che per primo, in musica, ha voluto affermare la sua volontà di potenza, la sua libertà creatrice. Senza vincoli, senza condizionamenti, la sua opera nelle armonie e negli accordi dimostra quanto immensi fossero il suo spirito e la sua forza. La biografia di Rolland, con una prosa appassionata e vivace, cerca di scovare i motivi di questo genio, cerca di indagare l'animo di un creatore senza pari nella storia dell'umanità. Lucida, pura, umana, tragica, la musica di Beethoven esprime concetti, tesi, filosofia, ma anche il tormento di un musicista che vuole confessarsi al mondo e all'umanità intera. E quindi leggiamo per mezzo dell'attenta lente di Rolland, che analizza le pieghe più profonde del dolore per carpirne la grandezza, il significato profondo della sofferenza di Beethoven dovuta alla sua sordità, del suo desiderio di innamorarsi, del suo incompreso misantropismo. In questa breve biografia è documentato anche il rapporto fortissimo ed entusiastico tra il musicista tedesco e lo scrittore francese. Un atto d'amore insomma, un ringraziamento postumo nei confronti di un genio. 

Il volume è corredato dal bellissimo e significativo testamento di Heiligenstadt, da alcune lettere di Beethoven sulla sua salute e sull'udito e da alcuni pensieri dello stesso musicista.

Un regalo che ha una sua storia di amicizia, che ha la sua fiamma, tra l'altro, nella musica e nelle stelle... Grazie! 

10 ott 2021

Pittori - Marcel Proust (Saggi - 1895/1898)

"Da Chardin abbiamo imparato che una pera è altrettanto vivente di una donna, che un volgare recipiente è altrettanto bello di una pietra preziosa. Il pittore ha proclamato la divina eguaglianza di tutte le cose davanti allo spirito che le considera, davanti alla luce che le abbellisce. Ci ha fatto uscire da un ideale falso per farci penetrare largamente in una realtà, per farvici ritrovare dappertutto la bellezza, non più prigioniera d'una convenzione o d'un gusto falso, ma libera, forte, universale, schiudendoci il mondo. E ci trascina sul mare di bellezza".


Questa raccolta di saggi di critica d'arte che Proust ha dedicato ad alcuni dei suoi pittori preferiti, Chardin (il saggio più bello), Rembrandt, Watteau, Moreau, Monet, è davvero raffinata. Le immagini che lo scrittore rievoca per mezzo della sua insuperabile penna sono reali; vediamo davvero gli uomini che camminano nelle tele, le foglie che si decompongono, i vestiti che si sgualciscono. La parola proustiana ci fa rivivere l'arte pittorica e ci permette di penetrare un mondo precario e delicato che in fin dei conti è la nostra stessa realtà. Emerge un Proust sorprendente (ma non troppo, se lo si conosce), abilissimo e raffinatissimo osservatore, non solo dell'animo umano, ma anche della bellezza espressa nelle tele dei suoi amati pittori. Ci accompagna dentro al suo museo privato dove le opere sono state selezionate al solo scopo di gustare una realtà quotidiana apparentemente ripugnante e faticosa e allo stesso tempo, invece, piena di bellezza e fascino. Una dimensione che non è solo estetica, ovviamente, ma che si riflette nei nostri sentimenti. 

Senza tecnicismi, questi saggi, oltre che dimostrare ancora una volta l'abissale delicatezza dell'autore, rivelano quanto per lui la passione per la pittura sia stata una formidabile palestra per la sua scrittura. Quando leggiamo Proust, infatti, le immagini di dettagli apparentemente insignificanti diventano il senso stesso del tutto e ogni cosa, oltre che essere ben visibile nella mente del lettore, prende senso e assume le vesti della realtà fissata e immutabile e così diventa opera d'arte, come un dipinto (o una fotografia).

27 set 2021

Politica - Aristotele (Saggio - IV sec. a. C.)

"Ma la città è una comunità di simili che si propone come scopo il raggiungimento della miglior vita possibile. Poiché la felicità è la cosa migliore, e consiste nell'attuazione della virtù e nel suo uso perfetto, ma di essa accade che alcuni uomini possano avere una qualche parte, mentre altri poco o nulla, da questo evidentemente derivano varie specie e forme di città e molteplici costituzioni. Gli uomini perseguono la felicità in modi diversi e con mezzi disparati foggiando modi di vita diversi e diverse costituzioni".


Capolavoro della filosofia, il trattato dello Stagira sembra mettere al centro delle sue riflessioni l'uomo. Quest'ultimo, animale per natura politico e razionale che non può essere autosufficiente e che quindi ha bisogno di vivere insieme ad altri uomini, deve trovare una dimensione politica per conseguire il suo obiettivo ultimo: la ricerca della felicità. Suddiviso in otto libri, che trattano delle famiglia e della sua economia, delle costituzioni politiche vigenti e di quelle proposte da filosofi precedenti, delle principali costituzioni (monarchia, aristocrazia, democrazia), delle loro degenerazioni (tirannide, oligarchia, oclocrazia) e della costituzione migliore, il densissimo trattato specula intorno alla condizione che uno Stato deve avere, per cui vivere sia sinonimo di serenità e felicità. Ne risulta, di conseguenza, che la politica è indipendente dalla filosofia, sebbene il politico abbia il compito di assicurare le condizioni per coltivare tutte le attività teoretiche.

Ciò che spicca dalla riflessione aristotelica (impossibile non confrontarla con le quasi coeve tesi platoniche) è l'incredibile capacità analitica e logica, di certo superiore rispetto a quella del maestro. Se stilisticamente Platone rimane insuperabile, Aristotele sviluppa le sue argomentazioni con un'attenzione al dettaglio (anche storico) e all'analisi impressionante, sebbene risulti a tratti persino noioso.

Un bel mattone, da leggere lentamente.

16 lug 2021

In compagnia di Cioran - Mario Andrea Rigoni (Saggio - 2004)

"La denuncia della menzogna filosofica, che egli ha formulato con parole di fuoco, è sicuramente uno dei motivi per cui la sua figura e i suoi scritti possono irritare. Ma proprio per questo Cioran è stato ed è insostituibile per noi; proprio per questo, quando muore qualcuno come lui, c'è un po' più di buio e un po' più di volgarità nel mondo".


Cioran, ormai è chiaro, è uno dei più grandi scrittori e pensatori del secolo scorso. È essenziale, un caposaldo del pensiero novecentesco. Il traduttore e critico Rigoni, in questa raccolta di scritti che manifestano la sua gratitudine verso un'amicizia rara, ci descrive un Cioran dall'aria modesta, timida, che rifiuta le luci della ribalta mediatica e che, invece, apprezza una passeggiata ai Giardini del Lussemburgo. Le pagine raccontano dell'amicizia iniziata negli anni Settanta tra i due; una testimonianza descritta nel resoconto di incontri, di interviste e introduzioni alle opere del filosofo. Risultano particolarmente interessanti, nonostante non siano approfondite, le intuizioni leopardiane dei due amici.

Una raccolta di memorie dal forte sapore di gratitudine.

15 lug 2021

La filosofia politica di Aristotele - Günther Bien (Saggio - 1973)

"L'idea della pluralità delle costituzioni degli Stati e della relatività (da ciò risultante) della virtù e dell'educazione (domestica), si afferma anche qui: poiché la virtù di una parte va determinata in riferimento alla virtù del tutto, è necessario educare i figli e le donne sempre in riferimento alla rispettiva costituzione dello Stato, supposto che per la bontà di uno Stato faccia differenza se i figli e le donne sono buoni; infatti le donne costituiscono pur sempre la metà della gente libera, e i fanciulli diventano uomini, che in seguito, come cittadini, devono prender parte alla guida dello Stato".


Questa imponente ricerca è un classico della storiografia aristotelica. Bien, oltre a raccogliere i principali pareri di chi ha differenziato e ritenuto meno geniale il pensiero politico di Aristotele da quello di Platone, offre, giustifica e recupera, invece, una lettura diversa, sostenendo (e non si può che essere d'accordo con lui) quanto il metodo e l'attenzione dello Stagira sul tema politico sia più coerente e moderno dell'Ateniese. La verità è nel mondo concreto, è qui e adesso, non in un mondo immaginario e ideale, e noi, esseri contingenti e incerti, nelle nostre azioni non siamo perfetti né tanto meno consequenziali ed è quindi importante cercare di ottenere il massimo per vivere felici, utilizzando l'unico strumento che abbiamo a disposizione: la ragione. Ecco, individuando specificità uniche di città, Stati, costituzioni, Aristotele ci invita a riflettere razionalmente per giungere a una condizione e a uno Stato in cui vivere sia sinonimo di serenità e felicità. La politica (al pari dell'etica) è, per Aristotele, una scienza pratica e le indicazioni che suggerisce saranno solo di carattere generico.

Il saggio, tuttavia, non si concentra solo sulla filosofia politica, ma parte dalla visione etica del filosofo. Sebbene etica e politica siano due discipline diverse in Aristotele (a differenza di Platone), tale distinzione non è assoluta. L'etica, infatti, ha al suo interno problemi che sfociano inevitabilmente nella politica, così come quest'ultima ha implicazioni etiche. Una lunga parte del saggio, infatti, si concentra proprio sull'Etica Nicomachea, individuando tutti quegli elementi che la collegano alla Politica. C'è, insomma, una linea di collegamento tra i due trattati che si intreccia e poi si spiega solo alla luce di questo strettissimo rapporto. I temi come sommo bene, amicizia, felicità, virtù, giustizia, si intersecano tra le due opere e il saggio di Bien non fa che enfatizzare questo aspetto.

Un saggio accademico imprescindibile, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti; un classico insomma.

25 giu 2021

Thomas Hobbes - Norberto Bobbio (Saggio - 1989)

"Pur non essendo mai stato un politico militante, Hobbes scrisse di politica partendo dal problema reale e cruciale del suo tempo: il problema dell'unità dello stato, minacciata, un lato, dalle discordie religiose e dal contrasto delle due potestà, dall'altro, dal dissenso tra corona e parlamento e dalla disputa intorno alla divisione dei poteri. Il pensiero politico di tutti i tempi è dominato da due grandi antitesi: oppressione-libertà, anarchia-unità. Hobbes appartiene decisamente alla schiera di coloro il cui pensiero politico è stato sollecitato dalla seconda antitesi".


Il volume dedicato al grande filosofo inglese raccoglie i principali studi che Norberto Bobbio ha scritto tra il 1948 e il 1982. Secondo il grande e rimpianto filosofo e politologo italiano, la tesi di fondo del pensiero hobbesiano è l'unità dello Stato. Tra l'essere il vero padre del giusnaturalismo e l'anticipatore del positivismo giuridico, Hobbes ha descritto un modello politico da vero realista, e non da ideologo (come invece è stato Rousseau). Autoritario, il suo sovrano però non è un anticipatore dello Stato totalitario, come hanno sostenuto in molti, ma il simbolo della pace, dell'obbedienza e del ragionamento deduttivo. Contro il modello aristotelico secondo cui l'uomo è un animale che naturalmente ha una dimensione sociale, Hobbes descrive l'uomo come un essere malvagio che in natura vive in una condizione di perenne tensione e di paura di morire. L'unico modo per uscire da questa condizione è quello di affidare, attraverso un patto, tutti i suoi diritti a una figura terza che così sarà in grado di garantire con la sua potenza assoluta la pace. Un sistema politico, quindi, fondato su un artificio razionale in grado di calcolare danni e utilità all'interno di una visione realista, antropologicamente pessimista e anti-conflittualista. 

I saggi di Bobbio, con uno stile lineare e chiaro, tratteggiano in modo attento e anche appassionato il modello giusnaturalistico e, ovviamente, la teoria di Hobbes esposta sia nel De cive sia nel Leviatano. Un volume prezioso per chi vuole approfondire quella monumentale quanto affascinante teoria politica dell'assolutismo descritta da Hobbes nel XVII secolo.

22 giu 2021

Leviatano - Thomas Hobbes (Saggio - 1651)

"E patti senza la spada non sono che parole, essendo assolutamente privi della forza di dar sicurezza agli uomini. Pertanto, nonostante le leggi di natura (che in tanto ciascuno rispetta, in quanto ha la volontà di rispettarle quando possa farlo senza rischio), se non c'è alcun potere che sia stato eretto, o [ce n'è uno] non abbastanza grande per [garantirci] la sicurezza, allora ciascuno farà - e potrà legittimamente fare - assegnamento sulla propria forza e sulla propria capacità per premunirsi contro tutti gli altri".


Monumento della filosofia politica, il capolavoro di Hobbes, ritenuto ingiustamente mefistofelico e addirittura precursore dei totalitarismi del Novecento, è semplicemente rivoluzionario. Rispetto alla tradizione politica aristotelica, infatti, il filosofo inglese inserisce l'argomento politico all'interno delle scienze necessarie, non più del possibile. La sua analisi, razionalissima, debitrice del metodo cartesiano, è luminosa, lineare, consequenziale e non c'è molto spazio (se si accettano premesse e metodo) per la confutazione. Il ragionamento è semplice: gli uomini in quanto individui per natura sono egoisti e malvagi, ma allo stesso tempo sono anche razionali e sanno distinguere le leggi della natura, soprattutto quella che li induce a cercare la pace. Quindi per uscire dallo stato naturale di guerra in cui si trovano devono necessariamente rivolgersi a un sovrano che imponga loro la sua autorità e li renda sudditi. Un sovrano che pertanto sarà assoluto, che avrà su di sé ogni potere e sarà superiore a chiunque.  

Il trattato, sulla materia, la forma e il potere di uno Stato ecclesiastico e civile come recita il sottotitolo, è diviso in quattro parti: il primo dedicato all'uomo e sono esposti i principi filosofici (baconiani) e antropologici (pessimisti) che portano alla sua teoria politica. Il secondo, il più celebre, è relativo allo Stato e ai modi in cui deve essere costituito. Nella terza parte, invece, Hobbes analizza e commenta le Sacre Scritture (anticipando in qualche modo Spinoza) individuando la natura e i diritti dello Stato cristiano, che dipendono dalle rivelazioni sovrannaturali della Volontà di Dio. La quarta e ultima parte, infine, è dedicato al regno delle tenebre descritto come una confederazione di ingannatori (leggi Chiesa di Roma) che, per ottenere il dominio, si sforzano, con dottrine oscure ed erronee che risalgono alla tradizione filosofica greca, di oscurare la vera luce della natura e dell'insegnamento biblico.

Opera significativa, sebbene lontana dalla nostra concezione politica, ha un peso storico che non possiamo trascurare. Descrive un modello che realmente è esistito e ci aiuta a capirne meglio la sua natura e il suo successo nei secoli prerivoluzionari.

27 mag 2021

La guerra e le false notizie - Marc Bloch (Saggio - 1914/15 - 1921)

"Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; essa solo apparentemente è fortuita o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l'incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro dell'immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento".


Durante i primi mesi di guerra, il sergente Bloch, poi promosso maresciallo, tiene quasi sempre aggiornato un taccuino: la fonte del suo racconto. Il volume raccoglie quegli appunti rivisti in un momento di convalescenza ne I ricordi di guerra 1914/15 e comprende anche le Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra. Il primo scritto è il resoconto di un uomo, di un soldato che vive l'esperienza della guerra in prima persona. Un vero e proprio diario di guerra che annota i fatti salienti vissuti sul fronte orientale. La partenza al fronte, le tratte compiute, i villaggi attraversati marciando, le lunghe attese, la prima durissima battaglia sul Marna, il seguente egoistico sentimento di gioia alla notizia della vittoria. Tra ufficiali miopi e tragicamente incapaci e giovani soldati coraggiosi e silenziosi, l'esperienza della trincea segna un punto di svolta per Bloch, sia come uomo, sia come storico. Capisce davvero cosa vuol dire stare a contatto con la morte e con soldati che condividono gli stessi sentimenti, ma capisce anche che la storia è fatta da uomini di tutte le culture, di tutti gli strati sociali; è fatta di psicologia, soprattutto. Scoperta questa che lo proietterà verso quella storia che guarda all'interdisciplinarietà, che è in effetti il suo marchio di fabbrica. 

Il secondo scritto, invece, è dello storico che riflette sul suo mestiere, sulla guerra come fenomeno umano e psicologico, fattori che giustificano la creazione e la diffusione di false notizie circolanti nelle trincee. La storia, si sa, è costellata di falsi racconti creduti veri e la psicologia della testimonianza, però, non soddisfa completamente le richieste dello storico. Nelle testimonianze, naturalmente, si mescolano vero e falso. Lo studioso deve, quindi, essere sempre scettico e poi metodicamente verificare quanto raccolto. Durante la Grande Guerra, quella micidiale e massacrante esperienza di disumanità, i giornali, la censura, la penuria di informazioni, le emozioni, la fatica e soprattutto l'immaginazione degli uomini turbati e quindi ben disposti emotivamente preparano la creazione di false notizie, di leggende. 

I due scritti, nella sostanza, tratteggiano la Prima Guerra Mondiale (emblema di tutte le esperienze belliche) come un esperimento di psicologia sociale che lo storico moderno ha il compito di sviscerare in tutti i suoi aspetti.

3 mag 2021

I quaderni di Malte Laurids Brigge - Rainer Maria Rilke (Romanzo – 1910)

"E non si ha più nulla e nessuno, e si va per il mondo con una valigia e una cassa di libri, in fondo senza curiosità. Che vita è questa, in fondo, senza casa, senza oggetti ereditati, senza cani. Si avessero almeno ricordi. Ma chi li ha? Ci fosse l'infanzia, almeno: ma è come sepolta. Forse bisogna essere vecchi per poter arrivare a tutto questo. Penso sia bello, essere vecchi".


Il ventottenne Malte, in una Parigi alle soglie di quella che sarà la Grande Guerra, scrive il suo quaderno di ricordi, di inquietudini, del suo male di vivere. Parigi è città rumorosa, confusionaria, caotica, brulicante di persone e di autovetture, disorientante come i pensieri e i ricordi del giovane poeta. Tutto sembra contemporaneamente vivo e morto, vitale e decadente e Malte insegue impetuosamente e senza sosta, come spesso segue diversi personaggi nella folla parigina, quei ricordi di infanzia alla ricerca di sé e del suo significato. Nel suo diario di viaggio, di appunti e di riflessione le emozioni sono tradotte in parole che cercano di fissare meglio possibile quei ricordi che con il tempo si stanno scolorendo. Malte, fondamentalmente, riflette sul senso della vita e quindi sul senso della morte e la sua riflessione gli serve per essere vivo. Nel vedere la morte degli altri prova la paura della morte stessa, una fase della vita che cerchiamo sempre di dimenticare e a cui non pensare. Malte invece, tra realtà e surrealtà, ci pensa e così sembra scivolare nella paranoia, sembra dissociato, spaventato dal nulla e dalla mancanza di identità. L'esperienza delle cose, anche delle più insignificanti (dai momenti legati alla madre, alle vacanze in Europa settentrionale, agli oggetti ricordati) è sempre schopenhauerianamente una sua rappresentazione. Non esiste una realtà misurabile, ma questa è una verità solo se siamo noi a dargliela. 

Lo stile è spesso poetico, esistenziale, febbrile, così come febbricitanti sono i ricordi raccontati. È un libro dai tratti autobiografici, ma in fondo lento e noioso. 

20 apr 2021

Uguaglianza - Riccardo Caporali (Saggio - 2012)

"Uguale e disuguale trascorrono il moderno e si sporgono oltre di esso. E allora, forse, passa di qui anche l'attuale longevità di quelle categorie che su questa endiadi hanno costruito la forma e la sostanza politica di un'epoca. Il discorso filosofico sull'uguaglianza (e sulla disuguaglianza) non conclude: non finisce nelle sue dialettiche moderne".


Il concetto di uguaglianza (con il suo corrispettivo dialettico di disuguaglianza) è sempre stato centrale nelle speculazioni filosofiche dell'occidente. Così, dall'antichità a oggi, la definizione stessa di uguaglianza si è accompagnata imprescindibilmente a quella di libertà (e di schiavitù), di diritto (e di esclusione), di morale e di giustizia. Il saggio, ben scritto e fluente, non fa altro che raccontare cronologicamente la storia di un'idea, cercando di coglierne il carattere problematico attraverso cui ha proceduto lungo tutta la nostra cultura. Così l'autore inizia ad analizzare il concetto di uguaglianza nel mondo greco e romano, quello gerarchico, in cui naturalmente si riconoscono i liberi dagli schiavi. Segue il mondo cristiano-medievale, quello della fratellanza universale ma anche della subordinazione, dei sensi di colpa e dell'innocenza perduta. Contraddizioni che, sebbene siano senza riferimenti teologici, contraddistinguono il mondo moderno, in cui sono l'artificio e il superamento di precarie condizioni naturali a tradursi in diritto e uguaglianza politica. Si scrivono quindi dichiarazioni e costituzioni dal forte sapore universalistico, ma che, di fatto, si concretizzano in aperte contraddizioni contro le donne, gli schiavi, gli ultimi. Ulteriore prova della difficoltà a raggiungere una sostanziale e non solo formale uguaglianza tra tutti i diversi si osserva nelle continue oscillazioni del Novecento, tra dittature e democrazie, e infine nell'attuale crisi della modernità dettata dalla globalizzazione che sfonda gli spazi e le culture e sfida continuamente l'idea stessa di uguaglianza.

Da sottolineare l'attenzione che è rivolta all'emancipazione femminile e al ruolo della donna in questa continua lotta dialettica che ancora oggi, dopo duemila e cinquecento anni di riflessioni e di lotte, non è completa.


6 apr 2021

La letteratura e il male - George Albert Maurice Victor Bataille (Saggio - 1957)

"Il vero odio della menzogna ammette, non senza il superamento dell'orrore, che si corra il rischio di una data menzogna. L'indifferenza di fronte al rischio ne mette in evidenza la leggerezza. È l'opposto dell'erotismo, che accetta la condanna, senza la quale sarebbe insipido. Il concetto d'intangibilità delle leggi sottrae forza alla verità morale cui noi dobbiamo aderire senza legarci. Nell'eccesso erotico, invece, noi veneriamo proprio la regola che infrangiamo. Un gioco di opposizioni rimbalzanti si trova alla base di un moto alternato di fedeltà e di rivolta, che costituisce l'essenza dell'uomo. Fuori di questo gioco, noi soffochiamo nella logica delle leggi".


La letteratura più autentica, secondo Bataille (e credo che sia difficile dargli torto), è quella che mette in discussione le regole, le norme della prudenza assodate dalla società e sedimentate nel senso comune. Ne consegue che il vero scrittore è colui il quale, consapevolmente, sa di essere colpevole, di essersi macchiato di un peccato, ma allo stesso tempo non prova un vero pentimento verso la sua colpa, in quanto coglie una verità che è tale solo dentro quelle volute peccaminose. Perciò la letteratura, quella più pura, è intrinsecamente legata al male, al senso di colpa, alla trasgressione che si manifesta come parziale riprovazione verso di sé. E tutto ciò equivale al coraggio, alla forza che induce a trasvalutare i vecchi valori morali. La letteratura, dunque, non è innocente, ma di certo è creazione, è ricerca di una verità più profonda e abissale che si nasconde dietro le pieghe del Male. Per dimostrare la sua tesi, il filosofo francese analizza la poetica di otto autori che del male hanno avuto una vera esperienza. 

Nell'opera di Emily Brontë, donna maledetta, infelice conoscitrice del male, la trasgressione delle leggi, la perfidia, l'erotismo distruttivo, il sadismo velato, la violenza sono le vere caratteristiche. C'è nei suoi personaggi una sincera rivolta dei maledetti contro il bene. In Charles Baudelaire, il poeta della rivolta, del male, della follia, di Satana (Bataille più volte si scaglia e correggere la lettura che ne dà Sartre), sarebbe l'eterna insoddisfazione il motore della ribellione. Lo storico Jules Michelet, invece, smarrito nell'abisso del male, vede quest'ultimo come volontà di libertà anche contro il proprio interesse, e si esprime nelle messe nere e nelle streghe. Il visionario William Blake, descrivendo la violenza del caos e il mondo del sogno, non fa altro che parlare del male puro, quello vicino al limitare della follia. Non potevano mancare le pagine dedicate al mostruoso e distruttivo marchese de Sade, furioso e appassionato di una libertà impossibile; lui che ha trascorso metà della sua vita in carcere, che ha cercato di autodistruggersi e che ha stilato morbosamente e freneticamente elenchi sulle infinite possibilità di distruzione dell'essere umano. Poi è la volta del sadico Marcel Proust. Con il suo profondissimo senso di giustizia e di amore per la verità è costretto a trasgredire le leggi morali e a mentire per vivere, trasvalutando così ciò che è bene e ciò che è male. Il capriccioso Franz Kafka, invece, con il suo voler essere dannatamente infantile contro il mondo degli adulti, del padre, della società, si rifugia nell'infelicità e nell'angoscia alla ricerca di una felicità quasi erotica e in attesa della morte. Il ladro Jean Genet, infine, con la sua spiccata antisocialità è scrittore che ha ricercato e rivendicato il male, l’amico di Sartre in cui l'omoerotismo è espresso in personaggi violenti votati al male.

Autori e personaggi, dunque, che rivendicano il male per affermare la loro volontà e la loro libertà. Perché mentre il bene è sottomissione, obbedienza, il male si rivela nella libertà, nella ricerca spasmodica di essa che dialetticamente consiste nella rivolta, nella prevaricazione. E tale coraggio, tale sovversione è più consapevole nella letteratura che in qualsiasi altra forma di ricerca. Credo che lo stesso Bataille, con i suoi romanzi, possa benissimo avere un capitolo intero dedicato nella storia che collega la letteratura con il male.

29 mar 2021

Contro la memoria - Alessandro Piperno (Saggio - 2012)

"Queste parole testimoniano una visione del mondo disperata: neanche il dolore, neanche le opere degli uomini hanno una loro dignità solenne; tutto si sperde nella più assoluta indifferenza del divenire. Proust distrugge qualsiasi concezione antropocentrica: gli uomini sono piccoli esseri insignificanti e l'umanità potrebbe essere da un momento all'altro spazzata via da un non nulla, senza che della sua storia e della sua letteratura rimanga alcuna traccia visibile. Il cielo è vuoto di stelle come in una costellazione pascoliana".


Sebbene il titolo sembri condannare in modo estremo la memoria, l'autore invece provoca il lettore e cerca di salvarla da tutti quei fattori naturali che la distorcono. I limiti cognitivi umani, il tempo che scorre, la retorica celebrativa tanto in voga oggi sono fattori che inevitabilmente tendono allo sfacelo della memoria stessa. È l'inesauribile lotta sullo sfondo del tempo, tra la memoria e l'oblio, quella che cerca di analizzare l'autore. In questo scontro è innegabile quanta fatica faccia la memoria stessa a sopravvivere, sia quella personale sia quella collettiva. Nel tempo e con il tempo scivola inesorabilmente verso l'oblio. Per dimostrare la sua tesi, Piperno utilizza le pagine di grandi scrittori del Novecento (Primo Levi, Nabokov, Beckett e soprattutto Proust che sul tema ha costruito una delle opere più belle mai scritte), che hanno definito quanto il ricordo sia gravido di un Oblio che ha come scopo quello della sopravvivenza.

Il saggio inizia con una riflessione sulla Shoah e sulla sua centralità nella coscienza letteraria del Novecento. Un episodio epocale della nostra storia umana che lentamente tende, anche per colpa della retorica, a perdere consistenza nei nostri pensieri. Un evento, però, che in qualche modo, secondo l’autore, è stato profetizzato dai grandi della letteratura di fine Ottocento e dei primi del Novecento. Proust, per esempio, è per metà ebreo, ma ripudia la sua origine (così come la sua omosessualità) alla ricerca di un'autenticità che lo avvicinasse alla società. E tutta la Recherche è costellata di ebrei e omosessuali che cercano di nascondersi, di mimetizzarsi. Swann, celebre personaggio proustiano, è un ebreo che si sforza tutta la vita di dimenticarsene, anche se in punto di morte non può rinnegare la sua origine. Per Piperno, in Proust è l'oblio il sinonimo di vita di felicità, mentre il ricordo è sempre fonte di dolore. Nietzsche e Leopardi sono dietro l'angolo…

Il saggio è spiazzante e allo stesso tempo originale soprattutto quando cerca nel carattere dei vari personaggi della Recherche le tracce della memoria e dell'oblio. Chi tradisce, chi dimentica è vuoto, ma vive serenamente, si veda il caso di Odette, di Madame Verdurin, di Oriane Germantes o quello, un esempio su tutti, di Gilberte e del suo tradimento nei confronti del padre e del suo cognome. Mimetizzarsi dunque per conformarsi agli altri, alla società, peccando così di autenticità, di decisione. È ciò che fanno i personaggi ebrei in Proust (e Proust stesso). Piccole mutazioni epidermiche per difendersi dagli attacchi di antisemiti e belve feroci in una società contraddittoria come quella della Belle Époque. Per sopravvivere in società, insomma, bisogna mascherarsi e ciò coincide nei personaggi proustiani con la dimenticanza di chi si è realmente. Ecco perché la Recherche e la questione ebraica in essa trattata profetizzano, secondo l'autore, quello che sarà l'antisemitismo novecentesco culminato con la Shoah e con Auschwitz.

Sebbene a tratti disorientante, un bel libro, un'interessante interpretazione.

17 mar 2021

Vita di Edgar Allan Poe - Julio Cortázar (Saggio - 1963)

"Morì alla fine di gennaio del 1847. Gli amici ricordavano come Poe seguisse il feretro avvolto nel suo vecchio mantello da cadetto, che per mesi e mesi era stato l'unica coperta sul letto di Virginia. Dopo settimane di semincoscienza e di delirio, tornò a destarsi di fronte a quel mondo in cui Virginia era venuta a mancare. E la sua condotta da allora è quella di chi ha perduto il suo scudo e si lancia all'attacco, disperato, per compensare in qualche modo la propria nudità, la propria misteriosa vulnerabilità".


Questa celebre biografia su Edgar Allan Poe è piena di rispetto da parte di Cortázar, segnata da un gioco di specchi tra la reverenza verso la vita dello scrittore americano e il debito formativo dello scrittore argentino. La vita di Poe, di questo gigante maestro assoluto dell'arte del racconto (e non solo), è attraversata seguendone le tracce sin da quando era un bambino. Infanzia segnata dalla precoce morte dei genitori e dai primi anni vissuti a Richmond, tra riviste letterarie europee, racconti di marinai negli uffici del padre affidatario e un viaggio in Scozia e in Inghilterra. Serenità che ben presto fu superata da un'adolescenza che vede negli amori ideali e nel crescente sentimento anarchico e bellicoso la sua cifra più alta. In questa età di rivolta, mentre studia brillantemente all'università (che non finirà), Poe conosce l'alcool che lo segnerà per tutta la vita. Poi il litigio con il tutore, la fuga a Boston, le prime infruttuose pubblicazioni, la miseria, l'arruolamento, l'inizio dell'età adulta, l'Accademia di West Point e la sua espulsione. Seguono anni di ribellione, di miseria, fino alla rassegnazione quando il suo tutore morì. Da lì si inserisce diacronicamente il matrimonio con Virginia Clemm, l'ancora adolescente cugina di primo grado. Gli anni successivi sono difficili, ma la sua fama di critico e scrittore comincia a farsi strada, mentre l'alcool inizia a essere suo compagno di assidue frequentazioni... Con la maturità e con la pubblicazione dei racconti più celebri, la vita di Poe sembra in qualche modo stabilizzarsi. Tuttavia la tubercolosi di Virginia lo sconquasserà irrimediabilmente. E nonostante la fama raggiunta, la miseria e il dolore per la malattia e la morte della moglie continueranno a perseguitarlo. Poi il suo vagabondare tra città americane, amiche varie incontrate più volte, depressione, un tentativo di suicidio e infine quella morte ancora avvolta nel mistero. Cortázar ci lascia una biografia viva, attenta alle fonti (meticolosità dimostrata soprattutto nei commenti ai racconti che corredano il volume), dal forte sapore intimista, ma senza mai essere ossequiosa. Un omaggio sentito, quasi un dovere da parte dello scrittore argentino che dei racconti di Poe è stato fortemente influenzato.

16 mar 2021

Mendel dei libri - Stefan Zweig (Racconto - 1929)

"Come un astronomo, tutto solo nella propria specola, scruta notte dopo notte attraverso il minuscolo obiettivo del telescopio le miriadi di stelle, le loro misteriose orbite, i loro intrecci errabondi, il loro spegnersi e riaccendersi, così da quel tavolino quadrato Jakob Mendel, attraverso le sue lenti, immergeva lo sguardo nell'altro universo, quello dei libri, anch'esso in eterna rotazione e in un continuo rigenerarsi, in quel mondo sovrastante il nostro mondo".


Dopo la fine del primo conflitto mondiale, mentre un acquazzone sorprende la città, il narratore si rifugia in un bar e qui lentamente si ricorda di esserci già stato e di avervi conosciuto vent'anni prima Jacob Mendel, l'uomo dei libri. Spinto dal ricordo, chiede al nuovo proprietario che fine avesse fatto quell'uomo tanto famoso quanto ora dimenticato e scopre quanto assurda fosse stata la sua fine.

Jacob Mendel era un bibliomane ebreo che viveva a Vienna, in un caffè (il caffè Gluck) pieno di libri. Siamo agli inizi del Novecento e tutti gli appassionati di libri, studiosi e ricercatori, lo conoscono. Mendel ha una memoria infallibile, un catalogo vivente di tutti i libri scritti nella storia. Vive unicamente di libri, ne è ossessionato. È come se vivesse solo in un universo di parole, di inchiostro, di carta, di pagine. Nella vita reale, però, Mendel è davvero solo, un inetto. Al suo quartier generale accetta le visite degli studiosi che hanno bisogno della sua memoria per le loro ricerche fino a quando scoppia la grande guerra. Mendel, di origini ebraiche e russe, senza passaporto, che si sente cittadino del mondo, che persino durante la guerra intrattiene scambi epistolari con uomini che per l'Austria sono nemici, è catturato e internato dall'esercito austriaco. Solo nel 1917 è scarcerato, su intercessione di potenti estimatori della sua memoria. Tuttavia l'uomo dalla memoria straordinaria ha perso le sue doti mnemoniche. Così, incapace di aiutare gli studiosi e incapace di fare altro nella vita, vive della compassione del proprietario del Gluck, fino a quando questo non è costretto a vendere e il nuovo proprietario caccia Mendel dal suo regno di libri e parole.

È un racconto che, oltre al tema della memoria, fa emergere tutto lo sconforto dello scrittore austriaco per lo scoppio della grande guerra. Mendel in qualche modo può essere paragonato all'Europa, magnifica e lucente, ma anche distante dai suoi problemi, come è stata durante la Belle Epoque. Adesso che la guerra è finita, Mendel non è più lo stesso, mentre il suo corpo e la sua memoria decadono, è vecchio come la stessa Austria e la stessa Europa.

14 mar 2021

Tradire la propria lingua - Emil Mihai Cioran (Saggio - 1985)

"Occorre avere una visione tragica della storia, altrimenti non si comprende niente. Non vale la pena farsi molte illusioni, la storia è spietata. Uno storico che non ha il senso tragico del divenire non comprende nulla degli avvenimenti".


In questa brillante intervista rilasciata a Philippe Dracodaïdis, Cioran riflette con un certo grado di serenità su molti aspetti del pensiero: dall'importanza del riso per la vita all'odio di sé, dal taoismo che ha amato ma che adesso detesta all'idea che l'uomo è destinato alla catastrofe così come la civiltà alla decadenza, al valore stesso della filosofia che trova insopportabile. Ma la riflessione più interessante che spicca da questo dialogo è certamente quella sulla lingua francese, sulla lingua di Cartesio, di Pascal (di cui è appassionato), di Montaigne (che invece non lo appassiona più di Pascal), sui moralisti e sulla loro brevità. Considerazioni di massimo rispetto su una lingua che, come sappiamo, è stata cruciale per la ricaduta che ha avuto nel suo stile e nel suo pensiero di grande tragico contemporaneo. 

1 mar 2021

Manuale di eleganza classica maschile - Douglas Mortimer (Saggio - 2020)

"Sebbene l'abbigliamento classico sia per la maggior parte disciplinato da regole che si applicano all'uopo, cioè nell'ambito di uno specifico contesto (ad esempio, ciò che vale per una cena di gala non vale per una riunione di lavoro), tutta l'eleganza classica si fonda su un corpus di principi che potremmo definire generali e che è prioritario padroneggiare prima di proseguire nello studio".


Guida completa sulle regole estetiche e sociali che si sono saldate nel tempo e che quindi sono diventate classiche. Tra abiti, spezzati, camicie, accessori, abbinamenti, errori ed orrori, la penna dell'autore si concentra in modo attento e chiaro su quel sofisticato universo dell'eleganza maschile che non tramonterà mai. 

28 feb 2021

Ritratto di Marcel Proust - Edmund White (Saggio - 1999)

"Proust può essere più adatto ai lettori di oggi rispetto a quelli del passato perché, man mano che la sua vita si allontana nel tempo e la storia della sua epoca si sfoca, viene letto più come uno scrittore di favole che un cronista, come un creatore di miti piuttosto che il portavoce della Belle Époque. Nell'ambito di questa nuova prospettiva, Proust emerge come il supremo compositore dello spirito. Non misuriamo più i suoi racconti in rapporto a una realtà che conosciamo. Piuttosto, leggiamo le sue favole di castità e lussuria, virtù familiare e vizio sociale, devastazioni della gelosia e consolazioni dell'arte, non come dei resoconti di fatti, ma come delle favole. Lui è la nostra Sharazad".


Questo appassionante saggio è un racconto della vita, delle passioni e delle opere di Marcel Proust. Una biografia, insomma, ma diversa dalle altre. L'ironia (oltre l'abilità critica), infatti, è lo strumento usato dall'autore americano che rende la lettura piacevole e scorrevole. Della vita di Proust, del suo rapporto con la madre, dei suoi amori omosessuali, della sua mondanità, della sua ipocondria, della sua clausura, della sua morte sappiamo già, eppure una biografia come questa ci catapulta dentro la figura di un genio tanto complesso quanto contraddittorio, il cui segno è rimasto profondissimo nella storia. 

Libro scorrevole quindi, con uno stile asciutto, immediato; si legge quasi come un romanzo e le intelligenti riflessioni personali dell'autore sono ben incastrate nel racconto. Anche le pagine dedicate alla Recherche sono stuzzicanti e la lettura ti rapisce. Da leggere assolutamente.

18 feb 2021

Niente di nuovo sul fronte occidentale - Erich Maria Remarque (Romanzo - 1929)

"E io so che tutto ciò che affonda in noi, come una pietra, finché siamo in guerra, risalirà alle nostre menti a guerra finita, e solo allora comincerà la resa dei conti sulla vita e sulla morte.

I giorni, le settimane, gli anni trascorsi in trincea ritorneranno, e i nostri camerati morti si alzeranno e marceranno al nostro fianco. Avremo la mente limpida e uno scopo; e così marceremo, con i nostri morti accanto a noi e con gli anni al fronte dietro le nostre spalle: ma contro chi, contro chi?"


Un insegnante, Kantorek, un nazionalista convinto, anziché riflettere sul senso della vita e sui valori fondamentali, incita i suoi studenti a partecipare da volontari alla Grande guerra. I suoi giovani studenti, presi dalla foga, si lasciano convincere e si arruolano. Kropp, Müller, Leer, Paul Bäumer (il narratore) sono cresciuti insieme tra i banchi di scuola e insieme decidono di vivere l'esperienza della guerra. In trincea conosceranno Tjaden, Westhus, Detering, Katczinsky, altri compagni, altri amici con qualche anno in più e con più esperienza militare sulle spalle. Presto, però, tutti loro si accorgono di quanto la lora vita sarà segnata dalla guerra e quanto la loro generazione sia fondamentalmente distrutta dal conflitto mondiale.

Insieme condividono il senso dell'amicizia vera, dell'essere parte di un gruppo in cui ognuno sente di essere qualcuno per l'altro, mentre chi ha voluto la guerra li considera come carne da sacrificare. Condividono anche la condizione del soldato al fronte, l'assurda disumanità dell'uomo che diventa cosa naturale. La morte è una presenza costante e uno a uno saranno tutti contagiati da lei. Sono fratelli che vivono lo stesso senso di morte, respirano la stessa aria di tragedia; giovani che si sentono vecchi. Tra azioni pericolosissime strisciando nel fango, con i pidocchi, con i topi, al freddo, sotto i bombardamenti, le urla dei compagni feriti, il micidiale gas asfissiante e tra momenti di stasi e di lunghi e snervanti ozi in attesa di mangiare qualcosa o di dormire su un po' di paglia, questi ragazzi diventano improvvisamente vecchi nel cuore e nella mente. Il racconto sulla licenza di Bäumer  è emblematico. Paul, a casa per due settimane, preferisce stare da solo che raccontare delle sue battaglie al fronte. Adesso ha altre battaglie da combattere: contro la normalità, contro la quotidianità, contro la giovinezza che ormai è svanita nella trincea. 

Ci sono opere che segnano profondamente l'animo di chi le scopre. Per questa è così, struggente per il cuore e per la mente. Un capolavoro che in fondo, nelle micidiali descrizioni della guerra, in cui si sentono davvero gli scoppi dei bombardamenti e si vedono davvero i corpi martoriati e senza vita di quei ragazzi affossati nel fango, è un esaltante inno alla pace.

17 feb 2021

Anche Kant amava Arancia meccanica - Giuseppe Pili (Saggio - 2019)

"Come si comprende bene da questa ricostruzione sommaria per temi, la violenza non cessa con la raffinazione dell'intelletto, la brutalità non diminuisce, ma si trasforma con la sofisticazione della mente. Tanto più il potere si accresce, tanto più le forme di violenza possibili diventano sofisticate, incisive e prive di umanità. L'intellettuale, il signor Dolin, e lo scienziato, il dottor Brodsky, indirizzati da una precisa necessità politica sono le due figure che più di qualsiasi altra cosa mostrano che l'essere umano non migliora di per sé con la conoscenza. Essi, piuttosto, sono come Alex, violenti e brutali, ma molto più sofisticati di lui".


I film di Kubrick, tutti capolavori, affascinano sempre per le loro immagini stupefacenti, per le musiche sconvolgenti, per la potente tecnica estetica, ma anche per i loro prepotenti messaggi filosofici. Messaggi profondissimi, totali, fondamentali; sull'uomo e sulla sua natura, sulla società che costruisce per mezzo della storia, sul rapporto tra noi e l'universo.

In questo interessante saggio, l'autore commenta le visioni filosofiche del geniale cineasta americano che aveva trasfigurato in immagini, suoni, dialoghi. Attraverso un'interpretazione organicistica della filmografia kubrickiana, l'uomo, l'oggetto principe della sua riflessione, è un miscuglio di sopraffazione, istinto, sessualità, ma anche di ragione, calcolo, al fine di trovare un monolite che possa un giorno dargli una speranza, una redenzione. Un uomo dunque antinomico, oscillante  tra istinto e ragione, spinto dalla pulsione sessuale, ma anche capace di costruire navicelle spaziali. Una visione antropologica in cui l'uomo si colloca tra Hobbes e Rousseau insomma.

Dal monolite apparso agli ominidi di 2001 ad Alexander DeLarge, passando per Spartacus, Barry Lyndon, la grande guerra, la guerra del Vietnam, la guerra atomica, la storia umana si sviluppa nella violenza della specie, ma con la consapevolezza che sia possibile dell'altro. Di costruire per esempio, in un percorso quasi hegeliano, famiglie, società civili, Stati, diritto internazionale. Ma sempre con un occhio che scorge contraddizioni. Basta pensare alle famiglie di Lolita, di Alex, di Barry Lyndon, alla famiglia di Shining, oppure alla coppia in Eyes Wide Shut. Uomini e donne che vivono in famiglie tutte a loro modo infelici e che si relazionano con una società malata in cui altre famiglie sono in competizione tra loro. 

Dopo questa interessante riflessione antropologica, sociale e storica, l'autore è convinto che se si dovesse accettare il tipo di filosofo che è stato Kubrick si dovrebbe pensarlo come il Kant del cinema, un illuminista che credeva nella ragione umana, nonostante tutti i suoi limiti.

Un saggio su cui riflettere, su cui tornare per provare a sintetizzare un complesso pensiero filosofico tradotto in estetica cinematografica.

9 feb 2021

Sylvie - Gerard de Nerval (Racconto - 1853)

"La melodia terminava a ogni stanza con quei trilli tremolanti cosi bene eseguiti dalle voci giovanili quando imitano con una specie di brivido modulato la tremula voce delle vecchie. E, mentre ella cantava, l'ombra scendeva dai grandi alberi e il chiaro di luna incipiente calava su lei sola, isolata dal nostro cerchio silenzioso e assorto. Poi ella tacque e nessuno osò turbare quel silenzio. Il prato era tutto avvolto di vaghi vapori condensati che deponevano i loro bianchi fiocchi sui fili d'erba. Ci sembrava di essere in paradiso"


Sylvie, Adrienne e Aurélie sono le tre donne che agli occhi del protagonista appaiono amori ideali. Sylvie è l'amica di infanzia, Adrienne è una ragazza che incanta il protagonista con la sua voce, Aurélie è un'attrice che incarna in qualche modo le abilità canore di Adrienne e la grazia di Sylvie. Tutte e tre si trovano sospese tra spazi di realtà e sogno che si intersecano indefinibilmente. Tutto è illusione, come in fondo l'amore ideale. Nel racconto ricordi ed emozioni si intersecano, si sovrappongono, così come si sovrappongono suoni e motivi.

La storia inizia a teatro, a Parigi. Qui il giovane protagonista si innamora di un'attrice, Aurélie, che di notte sogna nel dormiveglia. Qui, in questo sogno che in realtà è più un ricordo, appare Sylvie, l'amica di infanzia già suo primo amore. Inizia a desiderarla e decide di cercarla sempre nei suoi sogni, nei suoi ricordi di infanzia a Valois. Gli appare Adrienne che con la sua voce incanta il giovane e Sylvie piange di gelosia. Dall'affiorare di questo ricordo decide di andare a trovare la povera Sylvie che non vedeva da anni. Con lei ormai non più bambina, bella, tra i vari villaggi, i boschi, le atmosfere di campagna e i ricordi antichi vive momenti di serenità e a tratti anche di euforia, fino a quando non capisce che Sylvie è come una sorella. I giorni passano e i suoi pensieri si distraggono da lei mentre ritornano ad Aurélie e a Parigi. Dopo un viaggio in Germania il giovane rientra nella capitale francese e qui finalmente conosce l'attrice. Tra i due sembra maturare un sentimento d'amore, tanto che il giovane l'accompagna nei suoi tour. Ma anche questo amore è fatto di illusione e si dissolverà quando il ragazzo le racconta di Adrienne e della sua voce. Così, illuso e disilluso, dopo che è ritornato nei suoi amati villaggi, in compagnia di Sylvie che ormai si è sposata, si ricorda di una loro vecchia conversazione in cui realizza che Adrienne era morta qualche anno prima.

Siamo di fronte a un racconto in cui le tre donne sono come dei fantasmi, eteree e sognanti, come il modo di amare del giovane intellettuale parigino. In questa vana ricerca di felicità, solo i ricordi si fanno materiali, corporei, carnali.

Capisco perché Proust e Umberto Eco abbiano ammirato questo racconto.

7 feb 2021

Proust e la filosofia contemporanea - Anne Simon (Saggio - 2004/09)

"Una delle cause più illusorie della cristallizzazione proustiana sta nel fatto che le donne sono desiderate oltre che amate, perché in loro, nella tessitura stessa della loro carne, si tratteggia ora un mondo sognato, ora una regione dove il narratore ha lasciato una parte di sé, oppure un paesaggio proibito. Così queste donne, con lo scorrere dei giorni, fra una rottura e un incontro, finiscono per incarnare temporalità diverse. Il corpo diventa un vasto e globale organo dei sensi, anche un organo del senso temporale".


In questi quattro saggi che affrontano gli affascinanti nodi che legano la creazione letteraria e quella filosofica nell'opera di Proust, la Recherche è letta nei diversi approcci filosofici in cui è stata recepita nel corso del Novecento. In particolare l'autrice raffronta il pensiero di Husserl alle scoperte del soggetto proustiano, si sofferma sulle divergenze interpretative di Ricoeur e quelle post fenomenologiche di Merleau-Ponty, ma guarda anche a Roland Barthes che vede in Proust un suo alter ego, a Sartre che invece ne scova un nemico di famiglia, a Deleuze e all'idea del romanzo come risorsa per la filosofia, oppure a Foucault convinto che la parola proustiana solchi strade e discorsi indefiniti.

Husserl e Proust sono più che lontani nella loro visione del mondo e dell'io. Il primo, infatti, descrive la coscienza come trascendentale, logica, fuori dal tempo. Per il secondo, invece, l'io è incarnato in un corpo di sensi e di temporalità. Eppure le domande che i due si pongono sono simili: il soggetto, il tempo, la coscienza, gli altri. Inoltre in Proust all'io si accede per mezzo di una specie di ascesi in cui il mondo e tutti i desideri sono messi in parentesi, come in qualche modo è in Husserl (e anche in Cartesio ovviamente).

Anche Ricoeur pensa che il racconto sia possibilità di stabilizzazione dell'identità del soggetto. Intravede nella metafore di Proust la conferma della sua idea secondo cui la metafisica è viva ed esprime davvero la realtà nella sua complessità, una realtà che poi dovrà essere concettualizzata dalla filosofia. In modo opposto, però, Proust sostiene che la polimorfica realtà può essere descritta anche e soprattutto in un'opera d'arte.

Merleau-Ponty sembra il più vicino alle posizioni dello scrittore parigino. Sembrerebbe che secondo loro, dal carattere carnale della produzione di senso del soggetto ne segue l'impossibilità di un pensiero puro. Nelle descrizioni proustiane il filosofo è convinto quanto il romanziere e quanto la filosofia siano in relazione con il mondo. In questa cornice diventa interessante l'analisi che Merleau-Ponty pone tra il paesaggio in generale e il corpo della donna che nello scrittore francese diventa a sua volta paesaggio.

Ciò che più emerge da questa lettura è quanto Proust, nell'osservare la relatività del rapporto con il tempo, con lo spazio, con gli altri, l'inconscio, la sensazione, il corpo, sia un anti idealista per cui la verità non coincide mai con la metafisica. È uno scrittore del soggetto, introspettivo, psicologico, anti spiritualista, post fenomenologico, carnale. Il soggetto per lui è incarnato nel mondo, è vittima di un tempo complesso, non lineare; è uno zimbello del divenire, dell'oblio, ma anche della memoria. Un soggetto quindi che si fa multiplo, labirintico, sfuggente, instabile, che lentamente si costruisce con l'azione, più nello specifico con l'azione della scrittura.

22 gen 2021

Il processo di Shamgorod - Elie Wiesel (Teatro – 1979)

"Io, Berish, taverniere ebreo di Shamgorod, accuso il Signore dell'Universo di ostilità, di crudeltà e di indifferenza; cancellare la menzione inutile, secondo il caso e il luogo. Dico come la penso; perché così la penso: o lui non ama il suo popolo eletto o se ne infischia. Ciò che è certo è che la nostra sorte non sembra preoccuparlo. Allora, perché ci hai scelto? Perché noi, e non un altro popolo, per cambiare? Delle due l'una: o sa ciò che ci accade o non lo sa. In entrambi i casi, ehm, in entrambi i casi è colpevole".


Il 25 febbraio 1649, giorno di Purim (una festa delle maschere ebraica), a Shamgorod, uno sperduto villaggio dell'Europa orientale, tre ebrei attori girovaghi si ritrovano nella locanda di Berish, un taverniere, anche lui ebreo, unico sopravvissuto insieme alla figlia al pogrom di qualche tempo prima. I tre attori bevono per festeggiare il giorno di festa, ma non hanno i soldi per pagare. Così, per saldare il debito, decidono di inscenare uno spettacolo per l’implacabile Berish, il quale avrà il compito di proporre un tema. Tra mille contrasti e battibecchi, l'argomento scelto sarà un processo a Dio. Gli attori saranno i giudici, Berish il durissimo procuratore e Maria, la sua serva cristiana, il popolo. Tuttavia manca l'avvocato difensore e nessuno vuole avere questa parte, fino a quando uno straniero dal nome Sam, ex l'amante di Maria, si deciderà e difenderà in contumacia, in modo raffinato e sofistico, Dio e la sua bontà. Ma il processo presto sarà interrotto: un nuovo pogrom è organizzato per massacrare i soli ebrei rimasti nella locanda. E prima che tutto si compi, un attimo prima che la morte sopraggiunga, Sam, il difensore di Dio, indossa la maschera di Satana.

Testo metateatrale in tre atti (peccato che solo l'ultimo sia dedicato al processo vero e proprio) dal sapore tematico superbo: la memoria per non dimenticare gli orrori della storia, l'odio hobbesiano dell'uomo sugli altri uomini, l’insensatezza di alcune delle loro azioni, l’idea di un Dio crudele e artefice di dolore e lacrime che si nasconde, oppure di un Dio onnipotente ma che non agisce, onnisciente ma che continua a restare in silenzio. Di fronte a tutto ciò, a tutta questa assurdità, il libero arbitrio sembra essere l'arma che Sam usi per difendere il Creatore, lasciando quindi che la responsabilità cada soltanto negli uomini. Eppure una simile mossa non può bastare a giustificare l'indifferenza di Dio, e assolverlo sarebbe complicatissimo. L'unica cosa da fare, se ancora si crede in lui, è ripensare radicalmente la sua stessa natura di essere onnipotente e onnisciente.

21 gen 2021

La presenza degli dèi - Francesco Cattaneo (Saggio - 2019)

"Nietzsche rimane per Otto un punto di riferimento e un interlocutore costante. Ad accomunarli è il tentativo di trovare un accesso consono alla Grecia classica - tentativo che presuppone una messa a fuoco e una messa in discussione dei presupposti fondamentali del cristianesimo e della filosofia moderna".


Nietzsche, filologo passato alla filosofia, ispirato dalla civiltà greca antica, sin dalla sua prima opera ha trovato specialmente in Dioniso una figura determinante sia per la sua costruzione filosofica e sia per la sua fase distruttiva del pensiero moderno. Dioniso è quindi allegoria, impulso che diventa fondamento dell'esistere, del dire di sì alla vita, del divenire, dell'affermazione della volontà di potenza, contro tutte quelle millenarie menzogne che, da Socrate in poi, hanno edificato la civiltà moderna.

Otto, anche lui filologo sui generis, anche lui ispirato dai greci, anche lui critico verso la soggettività e l'individualismo moderno, si colloca però in una prospettiva ermeneutica diametralmente opposta a quella del filosofo di Röcken. Suo presupposto fondamentale diventa la religione e l'idea secondo cui gli dei sono, sono sostanza, in una teofania che abbraccia gli dei e gli uomini, in una stretta che li afferra vicendevolmente e li fonde con il mondo, con la natura. Uomo e mondo discenderebbero dalla stessa manifestazione divina, la realtà più reale entro cui tutto organicisticamente si colloca. La cultura di un popolo, quindi, si coglie dalla sua esperienza del divino; e la religione greca, con il suo politeismo, è quella in cui la teofania si è rivelata in modo sublime.

L'autore, ricercatore di Estetica, nel mostrare dapprima come la figura di Dioniso in Nietzsche si sia evoluta e trasformata (da schopenhaueriana ipotesi metafisica a carne), pone il filosofo tedesco dentro una cornice romantica e moderna che occorre distruggere. In un secondo momento, Cattaneo confronta il pensiero di Walter F. Otto con quello di Nietzsche sempre sul terreno della civiltà greca, sul terreno del mito, su quello della verità e della bellezza. Descritti gli approcci molto simili tra i due particolarissimi filologi, l'attenzione poi si sposta soprattutto nel rimarcare le profonde differenze. Se Nietzsche è il filosofo antimetafisico che guarda alla volontà, la stessa che ritrova nelle tragedie attiche, che grazie ad essa supera il pessimismo con consapevolezza e con vero disprezzo verso le menzogne che da Socrate, passando per il cristianesimo, sono ancora fertili nella cultura occidentale, Otto è il filosofo della sostanzialità degli dei, dell'immanente, un mistico sui generis, che trova nella cultura occidentale, della trascendenza giudaico-cristiana e delle scienze moderne, quelle ragioni soggettivistiche che sorgono dal momento in cui l'uomo si fa volontà e si distacca sempre più dalla natura e quindi dal divino che in essa si colloca. Una cultura in cui lo stesso Nietzsche con la sua volontà di potenza diventa protagonista e che deve essere superato da un ritorno alla sostanzialità degli dei e al riconoscimento della bellezza della forma intrinseca nella natura stessa.

Un libro accademico, di attenta analisi, ma anche di efficace sintesi. Un modo per approfondire ancora l’opera di Nietzsche e per conoscere il pensiero, se pur poco originale, di un nuovo e quasi sconosciuto intellettuale.

7 gen 2021

Proust a Grjazovec - Józef Czapski (Saggio - 1941)

"Noi scorgiamo nella sua opera una ricerca incessante, un ardente desiderio di rendere chiaro e leggibile, di far emergere alla coscienza tutto un universo di impressioni e di concatenazioni quanto mai difficili da cogliere. La forma del romanzo, la costruzione della frase, tutte le metafore e le associazioni rispondono a una necessità interna, che riflette l'essenza della sua visione. Non sono i fatti puri e semplici, ripeto, a ossessionare Proust, bensì le leggi segrete che li governano, la volontà di svelare i meccanismi segreti dell'essere, quelli più indefinibili".


L'autore, pittore e critico polacco, deportato nel gulag sovietico di Grjazovec, nel 1941 decide di tenere una conferenza su Proust ai suoi compagni di prigionia. Senza libri, senza fonti se non la propria memoria, Czapski comunque decide clandestinamente di avventurarsi nell'analisi dell'opera proustiana, per renderla il più vicino possibile ai suoi disperati compagni. Per farlo il polacco accosta più volte il romanzo francese a quelli della letteratura russa, specialmente ai capolavori di Tolstoj. Il tono è perciò antiaccademico, chiaro, lineare e in quel contesto di sofferenza Proust diventa rivoluzionario contro la bestializzazione dell'uomo, la disumanizzazione nei lavori forzati dei condannati. Quasi come un'intermittenza del cuore, l'analisi di Czapski è intuitiva, intelligente e profonda. Anatomizza il contesto letterario e artistico in cui visse il parigino, la sua biografia, la sua visione filosofica, il suo stile, i temi principali della Recherche, i suoi protagonisti.

È una commovente raccolta di ricordi, un aiuto per sopravvivere contro lo sconforto e la morte del gulag; è la prova che un libro, un autore, la letteratura, la bellezza possono salvare davvero il mondo.

6 gen 2021

Ecce Homo - Alessandro Malinverni (Saggio - 2020)

"In occasione della breve permanenza dell'opera in Palazzo Galli, sede espositiva della Banca di Piacenza, questa pubblicazione intende offrire una sintesi del complesso e avvincente percorso di studi riguardante il capolavoro antonellesco, proponendosi come strumento divulgativo a disposizione dei visitatori, spesso in difficoltà nell'accedere a contributi sparsi su riviste specializzate o su cataloghi non sempre reperibili".


Il commovente e straordinario Ecce Homo di Antonello da Messina, conservato al Collegio Alberoni di Piacenza, è indubbiamente un capolavoro rinascimentale e non solo. Dopo essere stato quasi dimenticato dagli studiosi, dagli inizi del secolo scorso ha attirato la loro attenzione e da quel momento l'opera del messinese ha continuato ad affascinare e commuovere i suoi spettatori.

In questa preziosa sintesi degli studi finora fatti sulla meraviglia del pittore messinese, si ripercorre pure la sua storia, quella del suo autore e il ricordo del cardinale Giulio Alberoni, il proprietario dell'opera. Il tutto è corredato da belle e dettagliate foto che analizzano l'Ecce Homo, ma anche altre opere di paragone citate.

Uno studio, insomma, che dimostra quanto forte sia ancora il sentimento di affezione che gli amanti dell'arte hanno verso questo sublime Cristo sofferente, umano troppo umano, legato con una corda a una colonna.

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