Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

25 feb 2010

Lettere a Eugénie o Antidoto contro il pregiudizio - Paul Henri Thiry d'Holbach (Lettere - 1768)

"Il figlio di Dio, risuscitato in segreto, s'è mostrato solo ai suoi seguaci. Solo loro affermano di aver discusso con lui, solo loro ci hanno trasmesso la sua vita e i suoi miracoli. E si pretende che una testimonianza così sospetta, incapace di convincere gli ebrei di quel tempo, riesca a persuadere noi, dopo diciotto secoli, della divinità della sua missione?"

Primo testo unicamente polemico contro il cristianesimo del barone d'Holbach pubblicato in Italia. E ciò la dice lunga sullo stato di laicità e di interesse verso la filosofia e il pensiero ateo in Italia...
Filosofo sconosciuto, sbeffeggiato, volutamente obliato dalla ottocentesca storiografia filosofica intrisa di restaurata religione, il filosofo tedesco naturalizzato francese in queste pagine ci mostra, con la veemenza e la radicalità che gli sono proprie, le assurdità di una religione che non può avere nulla di che spartire con la ragione. L'intento dichiarato dell'opera è educativo, di crescita intellettuale e formativa per permettere alla religiosa, e per questo infelice, Eugénie di vivere la vita senza pregiudizi e superstizioni, e quindi felice, che solo una condizione atea può consentire.
La radicalizzazione con cui vengono esaminati gli insegnamenti della dottrina cristiana non può non sfociare, alle volte, a della sottile ironia. Le contraddizioni e le menzogne della pedagogia religiosa, la quale trova più facile imporre il ridicolo e l'assurdo durante l'infanzia che in età matura-razionale, poste in tutta la loro incoerenza dinnanzi alla ragione del sacerdote dell'ateismo d'Holbach sovente risultano, nella loro tristezza, incredibilmente buffe. A tratti però le lettere sembrano ripetitive, il tono è costantemente aggressivo e fortemente polemico e tutto ciò, alla lunga, rischia di stancare. Certo, ci sono sparsi piccoli cenni propositivi, alternativi, "naturali" di morale non religiosa, ma questi argomenti, i più difficili, i più costruttivi, ma non per questo i più interessanti, il filosofo illuminista li affronterà compiutamente nelle opere successive. Già in questa fase di demolizione però il materialista d'Holbach anticipa idee e prospettive che saranno poi sviluppate da Feuerbach e da Nietzsche.
E' un viaggio - immagino solo per chi è vicino alle idee delle Lettere - dalle oscurità e dalla frustrazione della condizione religiosa alla luce e alla serenità della condizione atea.

Piccola nota: nella successiva "La filosofia nel boudoir" (1795) del marchese de Sade la protagonista da educare al piacere e all'ateismo si chiama Eugénie. Non sarà che il "divino marchese" abbia copiato anche questo dal barone, maître d’hôtel de la philosophie?

20 feb 2010

I problemi della filosofia - Bertrand Russell (Saggio - 1911)

"Esiste nel mondo una conoscenza così certa che nessun uomo ragionevole possa dubitare? Sembrerebbe una domanda facile, e invece è una delle più difficili che si possano porre. Quando avremo capito quali ostacoli ci impediscano di dare una risposta immediata e sicura, saremo ben innanzi nello studio della filosofia..."

I problemi epistemologici, oscuri e difficili, sono trattati da Russell allo stesso modo con cui si dedica alla filosofia, con passione, chiarezza e profondità. Dal dubbio, da premesse che sembravano evidenti a chiunque e che in seguito appariranno oscure e ingannevoli, il filosofo cerca, con lo spirito e la tenacia dell'ottimista e del fiducioso, di scorgere un barlume di verità. E, sebbene i temi siano di indiscutibile problematicità, il modo con cui vengono presentati, la chiarezza che luccica dal testo ne fanno un esempio impareggiabile di stile filosofico.
Come si scriveva, il libro propone problemi (e soluzioni) epistemologici. Sappiamo quanto siano complessi i sistemi che tentano di provare un criterio unico di verità. Il filosofo gallese ci descrive il suo punto di vista, ma impressiona l'umiltà con la quale ammette i limiti delle definizioni finali a cui giunge. Un filosofo che sa, relativamente alla sua visione personale, eppure si pone sempre domande e si mette sempre in gioco. Un uomo che, nonostante sia sull'orlo di un precipizio, riflette sui suoi dubbi e sulla sua passione verso la conoscenza.
Nel testo non sono citati autori (se non quando necessario i più rappresentativi), non ci sono citazioni da libri oscuri o esclusivi, gli argomenti sono spiegati come se fosse un libro per chiunque si abbandoni alle speculazioni filosofiche; è questa la grandezza del volume. E' ovvio che occorre leggerlo passo dopo passo, ma non si ha mai la sensazione di restare da soli in tale cammino.
Gli ultimi capitoli, dopo che sono state smantellate o affinate vecchie teorie (la pars destruens, direbbero i filosofi), sono l'espressione del pensiero (la pars costruens) - non condivisibile per me nondimeno estremamente lucida - del filosofo platonico.
Alla fine ne viene fuori l'uomo con tutti i suoi limiti, che non può permettersi di cogliere definitivamente la verità. Niente assolutismi, niente certezze, rimangono solamente la consapevolezza dei propri limiti e un ineliminabile quanto profondo desiderio di conoscenza.

16 feb 2010

Morte e religione nel medioevo - Johan Huizinga (Saggio - 1919)

"La corporeità che i santi acquistavano già attraverso le figurazioni artistiche, era accresciuta dal fatto che da lungo tempo la Chiesa aveva permesso e incoraggiato il culto delle loro reliquie. Quell'attaccarsi alla materia non poteva non influire sulla fede, portando a incredibili esagerazioni. Quando si trattava di reliquie, la robusta fede del Medioevo non temeva né delusioni né profanazioni."

I capitoli di questo libretto sono tratti dal celeberrimo "Autunno del Medioevo". Come si evince dal titolo, riguardano i temi della morte e della religione, accostati perché entrambi intrinsecamente legati a una mistica e a un simbolismo particolarmente sentito nel Basso Medioevo. La morte, tema a cui è dedicato solo un capitolo, era vista come caducità, era sentita con un timore carico di brividi e terrore. La morte quindi diventa espressione culturale di un'epoca; un Medioevo però ancora attuale... La paura della morte e la rassegnazione verso essa sono materie che tuttora ci avvicinano.
Straordinari le parti dedicate alla religione che, assorbendo il paganesimo, si fa superstizione. La vita quotidiana era impregnata di religione e quindi ne viene fuori un Basso Medioevo in tutti i suoi aspetti irrazionale, suggestionato dall'ignoranza. Aspetti questi che sembrano attuali, un Medioevo che vive ancora oggi, ma che possedeva già anche un simbolismo che è sovra storico, quasi universale.

Ricco di aneddoti curiosi sulle pratiche - poi abbandonate - funerarie, sui simboli e la forza della religione, di facile lettura nonostante le citazioni in lingua e i nomi di santi e sovrani che ai più potranno apparire sconosciuti, è un libro che non stanca.

14 feb 2010

Palomar - Italo Calvino (Racconti - 1983)

"[Palomar] sta pensando ad applicare all'universo tutto quello che ha pensato del prato. L'universo come cosmo regolare e ordinato o come proliferazione caotica. L'universo forse finito ma innumerabile, instabile nei suoi confini, che apre entro di sé altri universi. L'universo, insieme di corpi celesti, nebulose, pulviscolo, campi di forze, intersezioni di campi, insiemi di insiemi..."

Palomar, un uomo solo che cerca la verità da solo, è l'eroe di questo libro intelligentemente e significativamente strutturato secondo un preciso schema matematico: tre sezioni principali, suddivisi in altrettanti sotto-capitoli che a loro volta sono ancora divisi in tre racconti. Palomar è il protagonista di cui il lettore si diverte a leggerne le storie, ma il vero protagonista, invece, si disvela nell'uomo contemporaneo, frustrato, inetto, assorbito in un senso di inadeguatezza quasi assoluto. Un uomo sconfitto insomma, ma non del tutto. Esiste ancora il miracolo della meraviglia, l'aristotelico mezzo che ci induce a chiedere il perché e il come del mondo... E Palomar, emblema dell'uomo contemporaneo che si ribella e brama la conoscenza, curioso, affascinato, vuole e deve sapere per trovare un senso alla sua esistenza.
L'osservazione di ogni minimo dettaglio di un qualsiasi fenomeno, al fine di comprendere l'universo intero, diventa indispensabile per la sua vita. E' una ricerca che ha bisogno di metodo e dei numeri matematici. L'indagine deve essere oggettiva, scevra da ogni influenza emozionale. Tutto ciò per curarsi, per ritrovare un equilibrio che la quotidianità tende a distruggere. Eppure alla fine Palomar, l'uomo che più si avvicina alla verità tanto più questa gli sfugge, l'uomo che si consuma e s'ingabbia in speculazioni che non possono avere risposte definitive e certe, l'uomo che assiste all'emergere della conflittualità e insieme dell'armonia del kosmos, non ha la pazienza sufficiente per svelare il mistero... Capisce che le uniche probabilità di conoscenza sono riservate a chi, nel silenzio e nell'esclusione dalle cose del mondo, si estranea coltivando la vita come razionalità. Eppure in questo gioco epistemologico tali tentativi si esauriscono nel dubbio, e anche le minime conoscenze si perdono nell'impossibilità della certezza. Palomar ha bisogno del silenzio - silenzio come espressione di qualcosa - per intuire il mondo, l'Assoluto; ma, immerso nella folla della quotidianità, non vi riesce.

Un libro che fa pensare insomma, un libro appassionante; un libro di Italo Calvino.

3 feb 2010

Il velocifero - Luigi Santucci (Romanzo - 1965)

"A ottobre l'anno scolastico odora di cartoleria, di orso e di polvere da sparo: si può confonderlo per qualche settimana con un'eccitante partita di caccia, ha il buonumore e l'ottimismo d'un treno di volontari in partenza per una guerra mezza vinta. Ma passate le vacanze dei Santi e dei Morti, l'anno scolastico cambia odore e prende quello di nafta e di catrame delle grandi partenze"

Un romanzo polifonico di matrice prettamente cattolica che è possibile suddividere in due atti: il primo di presentazione dei personaggi, della famiglia Bellaviti, dei due amici Ettori; dopo la morte del nonno Cosimo, invece, il secondo atto in cui le disgrazie, le sventure si dipanano fino alla conclusione, ma anche fino alla redenzione di tutti.
Certamente a tratti patetico, macchiettista, di un'elegante leziosità tipicamente ottocentesca. Stilisticamente però è notevole, ben fatte le descrizioni (quasi ottocentesche), anche se, a parte le incomprensibili frasi in dialetto milanese, si dilunga molto su certi dettagli, certi episodi che stancano la lettura. Interessanti i personaggi poco dediti alle cose religiose come lo zio Panfilo. Spiccano per ironia e arguzia; fanno da contraltare a quell'aria di pesante misticismo che aleggia nelle pagine del romanzo. Si dà il caso che lo stesso zio Panfilo, l'anticlericale, sia l'uomo più colto della famiglia insieme al nonno Cosimo, "anticlericale all'acqua di rose", che conosce il latino ed è il punto di riferimento massimo per tutta la famiglia, e non solo per motivi anagrafici o generazionali. A loro si contrappongono i veri protagonisti del romanzo, i due fratelli Renzo e Silvia descritti nella loro genuinità e ingenuità di adolescenti e, dopo, nella loro complessità di uomo e donna maturi alla ricerca di un senso dell'esistenza. Colmi di bontà e di altruismo, nel loro velocifero, la diligenza dismessa in cui giocano alla crudele favola dell'arca di Noè che impone ai due fratelli di scegliere chi salvare o meno, saranno costretti a fare i conti con la realtà della vita, con l'amore, con le ristrettezze economiche, con le inimicizie, con la guerra, con lo spirito.
Un romanzo di formazione religiosa, in cui le disgrazie avvengono per mettere alla prova e per fare esaltare le virtù religiose. Ricorda molto le intenzioni di Manzoni, ma anche, per via del sentimentalismo traboccante, le intenzioni di "Cuore" di De Amicis.
Divertenti, all'inizio del romanzo, le descrizioni dei fatti scolastici, così come le descrizioni, nell'ultimissima parte della storia, dei campi di battaglia, delle trincee, dei soldati in guerra sono toccanti.

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