Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

26 ott 2021

Bufalino al cinema - A cura di Giuseppe Traina (Saggio - 2020)

"Se l'attribuzione del voto è pressoché sistematica a partire dal '46, ciò può voler dire che, con estremo scrupolo, Bufalino si sia rifiutato di valutare seccamente i film dei primi anni, che forse cominciavano a sbiadire nella memoria e che comunque appartenevano a un favoloso "prima": prima della guerra, prima della tubercolosi. La valutazione, infatti, poco s'addice al dominio incontrastato del sogno, a un cinema fruito come estasi; il vero e proprio ingresso nell'età adulta, traumatico e quasi revocato in dubbio dalla malattia, coincide invece con l'età del disincantamento e dunque del giudizio razionale: sul mondo, innanzitutto, ma anche sul cinema".


Gesualdo Bufalino, il grandissimo scrittore comisano, si sa, era un assiduo frequentatore di cinema e di cineclub. Cinefilo fino al midollo e insegnante di mestiere, ha tenuto dal 1934 al 1956 un registro dove schedava e giudicava i film che vedeva. In occasione del centenario della sua nascita, la Fondazione Bufalino ha regalato agli appassionati e instancabili cultori della figura dello straordinario scrittore un preziosissimo quaderno in cui sono riportate le fotografie delle pagine del suddetto registro. Sfogliando gustosamente i fogli si capisce quanto fossero prediletti il cinema americano e francese, film che negli anni Trenta del secolo scorso, durante il regime fascista, gli consentivano di avere uno sguardo verso il mondo; lui che viveva in quella provincia così lontana e così arcaica come era Ragusa. È divertente scartabellare le pagine alla scoperta di titoli, di storie che catturano la fantasia, ma soprattutto spulciare i voti che assegnava. Amava Chaplin (e come dargli torto), non amava Totò, preferiva il dramma alla commedia. I voti più alti sono dati ai capolavori neorealisti (non, ovviamente, alla letteratura) e ai capolavori del cinema francese degli anni '30 e '40. 

Indispensabile il saggio di Traina che introduce il volume per comprendere il clima culturale che respirava il giovane Bufalino e per capire quanto importante per lui fosse il cinema, il senso di magia che si prova davanti allo schermo. Nello scritto, il docente ripercorre la vita di Bufalino scorrendo le date e i luoghi che lo scrittore aveva annotato sul suo quaderno. Il seguente saggio del professor Zago, invece, si sofferma più sull'influenza che Bufalino ha subito dal linguaggio cinematografico.

Un volume splendido, corredato da bellissime foto di scene, da locandine da sfogliare pagina dopo pagina per assaporare il gusto malinconico di un cinema ormai passato, di tempi vissuti ormai lontani. Tempi e spazi che tuttavia riemergono sempre quando si va al cinema o si pensa alle nostre prime volte in quelle sale buie in cui, all'improvviso, un fascio di luce proietta su uno schermo, e nei nostri occhi, la magia dei film. 

25 ott 2021

Vita di Beethoven - Romain Rolland (Saggio - 1903)

"Adagio adagio la Gioia si impadronisce dell'essere: è una conquista, una guerra contro il dolore. Ecco i ritmi di marcia, gli eserciti in movimento, il canto ardente e affannoso del tenore, tutte quelle pagine frementi in cui si ode il soffio di Beethoven, il ritmo della sua respirazione e i suoi gridi ispirati. Par di vederlo mentre percorre i campi componendo la sua opera, trasportato da un furore demoniaco, come il vecchio re Lear nel mezzo della tempesta".


Beethoven è il genio assoluto che per primo, in musica, ha voluto affermare la sua volontà di potenza, la sua libertà creatrice. Senza vincoli, senza condizionamenti, la sua opera nelle armonie e negli accordi dimostra quanto immensi fossero il suo spirito e la sua forza. La biografia di Rolland, con una prosa appassionata e vivace, cerca di scovare i motivi di questo genio, cerca di indagare l'animo di un creatore senza pari nella storia dell'umanità. Lucida, pura, umana, tragica, la musica di Beethoven esprime concetti, tesi, filosofia, ma anche il tormento di un musicista che vuole confessarsi al mondo e all'umanità intera. E quindi leggiamo per mezzo dell'attenta lente di Rolland, che analizza le pieghe più profonde del dolore per carpirne la grandezza, il significato profondo della sofferenza di Beethoven dovuta alla sua sordità, del suo desiderio di innamorarsi, del suo incompreso misantropismo. In questa breve biografia è documentato anche il rapporto fortissimo ed entusiastico tra il musicista tedesco e lo scrittore francese. Un atto d'amore insomma, un ringraziamento postumo nei confronti di un genio. 

Il volume è corredato dal bellissimo e significativo testamento di Heiligenstadt, da alcune lettere di Beethoven sulla sua salute e sull'udito e da alcuni pensieri dello stesso musicista.

Un regalo che ha una sua storia di amicizia, che ha la sua fiamma, tra l'altro, nella musica e nelle stelle... Grazie! 

10 ott 2021

Pittori - Marcel Proust (Saggi - 1895/1898)

"Da Chardin abbiamo imparato che una pera è altrettanto vivente di una donna, che un volgare recipiente è altrettanto bello di una pietra preziosa. Il pittore ha proclamato la divina eguaglianza di tutte le cose davanti allo spirito che le considera, davanti alla luce che le abbellisce. Ci ha fatto uscire da un ideale falso per farci penetrare largamente in una realtà, per farvici ritrovare dappertutto la bellezza, non più prigioniera d'una convenzione o d'un gusto falso, ma libera, forte, universale, schiudendoci il mondo. E ci trascina sul mare di bellezza".


Questa raccolta di saggi di critica d'arte che Proust ha dedicato ad alcuni dei suoi pittori preferiti, Chardin (il saggio più bello), Rembrandt, Watteau, Moreau, Monet, è davvero raffinata. Le immagini che lo scrittore rievoca per mezzo della sua insuperabile penna sono reali; vediamo davvero gli uomini che camminano nelle tele, le foglie che si decompongono, i vestiti che si sgualciscono. La parola proustiana ci fa rivivere l'arte pittorica e ci permette di penetrare un mondo precario e delicato che in fin dei conti è la nostra stessa realtà. Emerge un Proust sorprendente (ma non troppo, se lo si conosce), abilissimo e raffinatissimo osservatore, non solo dell'animo umano, ma anche della bellezza espressa nelle tele dei suoi amati pittori. Ci accompagna dentro al suo museo privato dove le opere sono state selezionate al solo scopo di gustare una realtà quotidiana apparentemente ripugnante e faticosa e allo stesso tempo, invece, piena di bellezza e fascino. Una dimensione che non è solo estetica, ovviamente, ma che si riflette nei nostri sentimenti. 

Senza tecnicismi, questi saggi, oltre che dimostrare ancora una volta l'abissale delicatezza dell'autore, rivelano quanto per lui la passione per la pittura sia stata una formidabile palestra per la sua scrittura. Quando leggiamo Proust, infatti, le immagini di dettagli apparentemente insignificanti diventano il senso stesso del tutto e ogni cosa, oltre che essere ben visibile nella mente del lettore, prende senso e assume le vesti della realtà fissata e immutabile e così diventa opera d'arte, come un dipinto (o una fotografia).

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