Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

30 dic 2017

La fuggitiva - Marcel Proust (Romanzo - 1925)

"Non bastava chiudere le tende, io cercavo di chiudere gli occhi e le orecchie della mia memoria per non rivedere quella striscia arancione del tramonto, per non udire quegli invisibili uccelli che si rispondevano da un albero a un altro tutt'intorno a me che abbracciavo, allora, così teneramente la creatura che ora era morta. Tentavo di evitare quelle sensazioni suscitate, la sera, dall'umidità delle foglie, dalla salita e la discesa delle strade a dorso d'asino. Ma già queste sensazioni mi avevano riafferrato, ricondotto abbastanza lontano dal momento presente affinché l'idea che Albertine era morta avesse tutto l'agio e lo slancio necessario per colpirmi di nuovo".

Nel penultimo capitolo di quella immensa cattedrale che è la Recherche, i principali temi trattati sono quelli della fuga, della conseguente sofferenza amorosa e dell'oblio come mezzo per continuare a sopravvivere. Albertine, infatti, è scappata da Marcel e dalla sua opprimente gelosia. Dopo una fugace e irrealistica fase di indifferenza, in un raffinato gioco di mal celate finzioni psicologiche, le reazioni angosciose del narratore alla fuga del suo ossessionante amore sono molteplici. Fino a esplodere in un nuovo tormento di possesso e a riprovare di convincerla a ritornare da lui, anche con l'intermediazione velleitaria di Saint-Loup. Poi, però, il dramma: Albertine, che desiderava tornare da Marcel, cade da cavallo e muore. Ecco il dolore dunque, un dolore che intorpidisce il protagonista, che gli spacca l’anima, che lo porta a non vedere la realtà per quella che è, che lo spinge a non riconoscere più la vera Albertine e a minimizzare ogni tradimento, persino di fronte al ricordo delle sue evidenti trasgressioni (per altro confermate da Andrée, amica e amante, già fanciulla in fiore, dei due). 
Eppure, con il tempo, i ricordi, i dettagli, gli attimi della loro storia sono ripercorsi sotto la luce del dolore e via via che questo è analizzato, lentamente, il processo interiore del narratore spegne quella luce e quelle illusioni, fino ad arrivare all'indifferenza. Ecco dunque il tempo, il suo scorrere che porta all'oblio, alla distruzione, all'attenuazione del dolore. È un percorso interiore di riflessione sul passato, letto sotto mille aspetti diversi, sotto mille prospettive e occhi diversi. Il narratore vi trova luci, soluzioni, illusioni, ma Albertine, nella sua vera essenza gli sfugge... In questa minuziosa cronaca di guarigione, Albertine muore dentro l'animo di Marcel, adagio, ma inesorabilmente. Tutto ciò trova conferma quando il narratore incontra la bionda Gilberte Swann, l'amore adolescenziale che tanto lo aveva fatto soffrire. Il confronto allora tra le due storie è inevitabile, e il loro parallelismo è evidente nell’analisi del dolore; quello per la rottura con Gilberte è infatti solo un lontanissimo ricordo, così come quello per Albertine ormai è un incubo svanito.
Marcel allora decide, finalmente, di visitare insieme alla madre la tanto agognata Venezia. Un viaggio che rappresenta, in fondo, la fine della sua giovinezza e il distacco dalla madre. E ciò che gli si svela tra i vicoli labirintici di una città incantata sono nuove scoperte involontarie, le più belle: Albertine è definitivamente dimenticata. Anche il senso di colpa maturato, mentre visita il Battistero, sparisce, e si riconcilia con se stesso. Ma, durante il soggiorno, come un fulmine inaspettato, arriva un telegramma: Albertine è viva e vuole incontrarlo! Eppure, nell'indifferenza raggiunta, Marcel non si interessa dell'invito, e solo mentre deve lasciare Venezia, si accorge dell'errore: il telegramma, infatti, è di Gilberte. Quest’ultima si sposa con Saint-Loup, e di ritorno in treno Marcel ripercorre la storia del suo amore per la figlia di Odette e Swann. Poi la scoperta dell’omosessualità di Saint-Loup, come suo zio, il barone Charlus. Nelle ultime pagine si ritorna dunque al (noioso) pettegolezzo, insomma un ritorno alla normalità che conferma ancora una volta la guarigione definitiva del narratore.
Un capitolo esaltante, una premessa per la conclusione di una lunga ricerca di un tempo che occorre ritrovare…

16 dic 2017

La congiura dei somari - Roberto Burioni (Saggio - 2017)

"Il nostro intuito non è sufficiente a stabilire un rapporto di causa-effetto. Per stabilirlo ci vuole la scienza, con i suoi numeri, il suo metodo, il suo rigore e soprattutto la sua statistica: se il vaccino fosse la causa o in qualche modo un elemento favorente l'autismo, questo si verificherebbe con maggiore frequenza tra i bambini vaccinati rispetto a quelli che non lo sono. Così non è: l'autismo ha frequenza identica tra i bambini vaccinati e non, anche in soggetti particolarmente a rischio come i fratelli dei bambini autistici. Insomma, la nostra mente ci ha fatto sopravvivere in ambienti ostili come erano quelli ai tempi delle caverne e funziona magnificamente, però non è perfetta. Talvolta cede alla lusinga del raglio del Somaro e si sbaglia: dobbiamo saperlo e, per trarre alcune conclusioni, dobbiamo affidarci alla scienza e ai suoi numeri che ci salvano da pericolosissimi errori, quali usare un condizionatore con la finestra aperta o - molto peggio - non vaccinare nostro figlio immaginando rischi che non esistono". 

Se una volta le tesi più astruse erano discusse solo al bar o in piazza, oggi, grazie a internet, chiunque può scrivere articoli dalle sembianze scientifiche, può richiamare quello studio o quell'altro, senza tuttavia passare dalla verifica della comunità scientifica e così, pericolosamente, quegli articoli trovano spazio, si diffondono velocemente, danno credito alla fantasia, fino a raggiungere livelli insopportabili. Siamo nell'era della post-verità e la lotta tra la verità riconoscibile e la menzogna altrettanto dimostrabile si fa con i libri, con le competenze, con le verifiche, con il metodo scientifico.
Il libro del virologo Burioni, dal titolo provocatorio e dall'emblematico sottotitolo ("perché la scienza non può essere democratica"), è ferocemente contro l'ignoranza spacciata per verità così diffusa oggi. Quanti pur non essendo esperti del settore si preservano di saperne di più degli esperti? In quanti sono convinti di possedere la certezza dopo aver letto un articolo su internet, pur senza averlo verificato con metodo? In quanti si sono confrontati con un esperto che invece ha sudato e sofferto prima di arrivare a una conclusione? Il confronto tra gli esperti del settore e chi non lo è non dovrebbe essere nemmeno pensato come possibile, in un paese civile, eppure Burioni evidenzia come questo spesso accada in Italia. È vero, le conclusioni in scienza non sono mai definitive (e forse è questo che destabilizza della scienza...), ma sono pur sempre piccoli frammenti di verità, e l'alternativa oscurantista è sempre fortemente pericolosa.
Nel libro (quasi un'appendice al precedente sui vaccini), in cui sono numerosi gli esempi di posizioni antiscientifiche che hanno causato morte e dolore, la riflessione sulla scienza è semplice; si sottolinea la sua evoluzione, il suo essere sempre aggiornata alla luce delle nuove scoperte e dei nuovi risultati dimostrati con quel linguaggio della natura che è la matematica. È insomma un testo contro tutte quelle pseudoscienze (astrologia, naturopatia, omeopatia, contro tutte le discipline olistiche tanto di moda oggi che fondano i loro principi sull'indimostrabile o sul falso - consiglio sempre di leggere Popper...) che, alla prova dei fatti, ovvero nel confronto con la verifica sperimentale, falliscono sempre miseramente. L'approccio magico ha avuto il suo spazio per millenni, non ha ottenuto alcun risultato, se non l'abisso; non diamo credito a questo rischioso tentativo di risurrezione!

8 dic 2017

Discorso dell'ombra e dello stemma - Giorgio Manganelli (Saggio - 1982)

"La parola parla, in primo luogo, al proprio doppio; e dal doppio vengono parole alla parola, e ciascuna di queste parole ha ombra e doppio. Dunque la parola tende ad una assenza di limiti, ad una infinità, una disponibilità che non può avere conclusione; e di fatto non ha alcuna possibile conclusione; si disegna come un itinerario che non conduce in alcun posto, e la sua assenza di meta fa parte della sua definizione. La parola, parlando al proprio doppio, occupa uno spazio mentale, disegna un disegno, e dunque si appropria di una dimensione".

Che valore ha la letteratura? Davvero deve interpretare il mondo? Deve esprimere un'idea? O è solo menzogna, delirio e falsa costruzione? La paradossale riflessione manganelliana si propone di dimostrare quanto la parola scritta e letta sia, in fin dei conti, solo un ulteriore strumento per mentire. Inizia considerando il tempo in cui la letteratura non c'era, mentre, però, il mondo e gli uomini vivevano comunque nel loro falso ordine. Poi la nascita di questo mostro, della parola scritta, e quindi la nascita di scrittori, lettori, recensori, redattori di epitaffi, editori, insomma tutti coloro che hanno un rapporto diretto con i libri, tutti della stessa stirpe di dementi, incapaci di accorgersi della loro inutile falsità… Ecco perché lo scritto recita un sottotitolo tanto provocatorio quanto illuminante: "del lettore e dello scrittore considerati come dementi". In questa prospettiva, il mondo, l'universo tutto è menzogna, così come gli uomini che ne parlano e soprattutto che ne scrivono. Grazie alla letteratura impariamo a mentire. E il bisogno di scrivere e di leggere è malattia, necessario sì, ma pur sempre malattia; ha come unico scopo quello di disorientare e angosciare, di cogliere il principio doppio e antitetico delle cose, la coincidenza degli opposti, in cui tutto e nulla stanno a braccetto. La parola in sé è duplice: è tenebra e luce insieme. E non è un caso che Manganelli citi più volte i miti di Dioniso ossimorico e Apollo luminoso, o Narciso indifferente ed Eco disgraziata. Lo stemma e l'ombra sono la stessa parola, luce e ombra, parole e silenzi diventano sinonimi; ogni voce è bilanciata dal suo opposto e tutto si regge in un vorticoso e abissale fluire.
I trentuno brevi capitoli (con titoli che seguono la numerazione ma ciascuno con un carattere grafico diverso) formano un mostro multiforme. Sono tante voci dello stesso fool shakespeariano, dello stesso giullare impertinente che si diverte a prenderci in giro (come suggerisce lo stesso autore nell'autorisvolto al termine dei capitoli; quasi una meta-metaletteratura...).

Voluttuoso e dissacrante, con uno stile prezioso, fatto di continue allitterazioni e di lunghi elenchi, che tracima di barocchismo, è un libro in cui tutto scorre in modo provocatorio, antitetico, ipotetico, avversativo. È un libro letterario, metaletterario, ricco di teoria e di retorica, non facile, ma ingegnoso e delirante.

1 dic 2017

Lamento di Portnoy - Philip Roth (Romanzo - 1967)

"Ma vede, il sale in zucca è solo un altro nome per definire le mie paure! Il sale in zucca è né più né meno l'eredità di terrore che mi porto appresso dal mio ridicolo passato! Quel tiranno, il mio superego, dovrebbe essere impiccato, quel figlio di puttana, appeso fino alla morte per i suoi fottuti stivali da truppe d'assalto!"

Alexander Portnoy è un uomo di cultura e di successo sociale; è responsabile di un dipartimento dell'amministrazione di New York. Eppure non riesce a trovare una stabilità emotiva, un'ordinaria normalità, che lo possa portare a definirsi equilibrato alla luce della coscienza. Cerca allora aiuto nello psicoanalista dottor Spielvogel, al quale vomita, in una confessione vera e allo stesso tempo amara, tutte le sue idiosincrasie e le sue nevrosi. Si racconta nelle perversioni più intime e sembra che le sue ossessioni, il suo essere erotomane in particolare, siano da attribuire all'educazione.
Figlio di una comunissima famiglia americana ebrea, Portnoy, infatti, vive un'infanzia dedita alla perfezione e all'ordine. Il ricordo della famiglia e della madre, eccessiva, invadente, ebrea, conduce il narratore-protagonista a riflettere sui feroci sensi di colpa per ogni azione non perfetta (ovvero non convenzionale) che compie. Ogni mossa che si allontana seppur minimamente dalle consuetudini educative porta inevitabilmente al senso di colpa e alla frustrazione, e da qui i perturbanti rimorsi per il tempo passato nascosto a masturbarsi, il desiderio frenetico del sesso, la spasmodica ricerca di donne da penetrare per scovare la loro essenza di americane cristiane. La pressione dei genitori è insostenibile, l'assenza di libertà e i divieti che una famiglia bigotta può imporre trasformano la materia del giovane intelligente figlio in un intelligente mostro adulto. La rabbia che cova dentro, che sfiata solo parzialmente in tutte le relazioni sessuali solo per ritardare il momento della deflagrazione finale, in un modo o nell'altro si traduce in scompensi emozionali, in egoismi, in instabilità, in sensi di colpa, in nevrosi, in vergogne che Portnoy si porta dietro dall'infanzia.
Nel procedere del racconto, i piani temporali si mescolano, i ricordi si sovrappongono e il monologo diventa quasi inesauribile flusso di coscienza, dove un racconto porta a un altro, un dettaglio porta a una digressione (non è un caso che Kafka e i suoi personaggi siano citati più volte).
In questo gioco di rimandi, sono frequenti le storie sulla Scimmia, la ragazza erotomane anche lei, con la quale Portnoy ha avuto l'avventura più lunga e più ricca. Ma la Scimmia, sì erotomane, sì esibizionista, sì contraltare della madre, è alla ricerca di un amore della vita e per la vita, di una normalità che il protagonista non può offrirle. Presto, inevitabilmente, quando il gioco appassionato del sesso si esaurisce, anche lei sarà abbandonata, come tutte le altre donne. 
Portnoy è un uomo rinchiuso nella caverna scavata con i picconi dell'educazione e della società, che però sente il bisogno di uscirne, vivo o morto che sia, ma pur sempre di uscirne, anche tramite una seduta psicanalitica. In pagine spesso esilaranti, il racconto sottolinea come un'educazione che vuole formare il bene apparente, con l'ossessione del bene apparente, possa portare o alla ribellione che guarisce o alla deviazione mentale che stordisce.
Un libro che scorre fluido, un fiume in piena di ricordi, di rabbia, di sensi di colpa. Un intelligente manuale, romanzato, di pedagogia.

11 ott 2017

Il Ballonaio - Ermanno Mariani (Saggio - 1991)

"In particolare in Valtrebbia il comando nazifascista impegnò un battaglione italiano di alpini che occupò Perino, verso la metà di luglio, ma le azioni dei partigiani che scendevano da Bobbio disturbavano continuamente le operazioni. E fu in questo scenario, tutt'altro che tranquillo, che il Ballonaio portò a segno tre azioni fra le più clamorose compiute dai partigiani piacentini: il rapimento del federale Maccagni, il colpo degli ottocento fucili e quello della caserma Sant'Anna di Piacenza".

Giovanni Lazzetti, detto il Ballonaio (perché da bambino vendeva palloncini al banco dei giocattoli del padre nel mercato di Castel San Giovanni), è una figura mitica nel panorama partigiano piacentino, e non solo. E nonostante le ombre, frutto di misteri, di intrighi e finanche di invidie tra compagni, il suo mito ancora oggi sopravvive. Il volume, che raccoglie documenti e testimonianze orali, cerca di mostrare tali ombre (ma anche e soprattutto le luci) raccontando le avventure e le disavventure di un uomo dal carattere eroico e megalomane allo stesso tempo.
Turbolento capo di una banda di ladri di frutta, Giovanni vive un'infanzia scanzonata che mostra già il suo spirito avventuriero. Arruolato in Marina negli anni della guerra, fino all'8 settembre il Ballonaio dimostra il suo carattere poco incline agli ordini e alla disciplina, e non poteva essere altrimenti. Dopo quella fatidica data, il giovane Lazzetti fa parte della banda Piccoli, uno dei primi nuclei partigiani piacentini e, contemporaneamente, si arruola nella fascista Compagnia della Morte (al solo scopo di beffare i repubblichini). Il corso degli eventi lo porta tra i ranghi di Giustizia e Libertà dove sarà protagonista di esaltanti e spericolate azioni come il rapimento del federale Maccagni, il colpo fragoroso degli ottocento fucili e subito dopo quello fortunoso della caserma Sant'Anna di Piacenza, azioni che gli permisero di diventare probabilmente vicecomandante e quindi il vice di Fausto Cossu. Il volume continua a ricordare le successive e innumerevoli imprese del Ballonaio: quindi leggiamo dell'agguato al convoglio di Castelvetro in cui si mosse insieme al Valoroso; la costituzione della volante autonoma Audaci Ballonaio, prima e unica volante autonoma all'interno di Giustizia e Libertà; la beffa giocata ai nazifascisti nel novembre del '44, forse la più importante della storia della Resistenza (che mise in ridicolo addirittura il maresciallo Graziani e il generale delle SS Wolff, ma che costò a Lazzetti l'accusa di tradimento da parte dei suoi stessi amici); il grande rastrellamento che annientò l'intera Giustizia e Libertà; il tradimento da parte di una spia, la cattura, il processo farsa e la fucilazione alla schiena.
Durante la lettura, soprattutto quando si giunge alla morte del Ballonaio e ai successivi commenti da parte dei suoi amici, non possiamo non vederlo all'interno di un dualismo in cui spavalderia ed esibizionismo si mescolano a eroismo e moralità. Eppure in questa esplosiva miscela umana occorre sempre tenere a mente il fine ultimo delle missioni di Giovanni Lazzetti: la ricerca della libertà.
Un ricordo dunque, su un uomo di avventura, vanitoso quasi al punto di far storcere il naso; un racconto che invita alla riflessione su un periodo, quello della Resistenza, in particolare quella piacentina, che non dovrebbe essere dimenticato né sottovalutato.

18 set 2017

Sicilia. La fabbrica del mito - Matteo Collura (Saggio - 2013)

"Esseri umani disperati che l'istinto di sopravvivenza nel tempo ha spinto a livelli di adattabilità altrove impensabili; maschere che di volta in volta assumono le sembianze di feroci mafiosi o, al contrario, di docili esseri umani dalle sagge parole e dall'ospitalità tanto generosa da apparire servile. Ed è in questa duttilissima adattabilità, in queste verosimiglianti maschere che si annida la mentalità mafiosa. Quel che si vuol dire, insomma, è che la mafia si può affrontare e persino vincere, mentre è assai più difficile liberarsi di quella che abbiamo definito mentalità mafiosa".

In bilico tra le notizie di cronaca e di mafia (una delle protagoniste del libro) e la storia e la bellezza di una terra estrema, in questo volume si cerca di raccontare i grandi miti che sono nati dalla fucina di paradossi che è, appunto, la Sicilia. Così il mito di Persefone (unico mito classico raccontato, inteso, però, come storia di una fuitina, che ricompare anche nel ricordo della storia d'amore tra Elio Vittorini e Rosa, sorella di Salvatore Quasimodo), la misteriosa morte di Vincenzo Bellini, la storia del bandito Giuliano, i racconti di morti (come, per esempio, quella di Ippolito Nievo), i sequestri mafiosi, la vicenda di Cagliostro o del satanista Crowley, la misteriosa fine di Ettore Majorana e le stravaganze del principe di Palagonia diventano nuove favole, amare, terribili, suadenti allo stesso tempo, ma pur sempre storie che si idealizzano e si vestono con i panni traslucidi del fantastico. 
Un libro colto, ricco di citazioni, ma anche di rimandi a fatti o relazioni che, apparentemente, possono sembrare distanti tra loro. A tratti una raccolta di storie di fiele, che della bellezza di alcuni miti lascia trapelare il disincanto dell'essere siciliano oggi. Leggende che, infatti, condizionano un'isola che continua a ritenersi l'ombelico del mondo.

Terra di contraddizioni e di eccessi, la Sicilia di Collura è, e non poteva essere altrimenti, personale e di memoria. Con lo stile di chi conosce la letteratura, specie quella siciliana, lo scrittore, in qualche modo, parla di sé. E si avverte, forte, la nostalgia verso la sua terra natia e di infanzia, nonostante tutto...

7 set 2017

Confessioni e anatemi - Emil Mihai Cioran (Saggio - 1987)

"I soli avvenimenti notevoli di una vita sono le rotture. Sono anche quelle che svaniscono per ultime dalla nostra memoria".

"Voglia di ruggire, di sputare in faccia alla gente, di trascinarla per terra, di calpestarla... Mi sono esercitato alla decenza per umiliare la mia rabbia, e la mia rabbia si vendica appena può".

"Tutte le anomalie ci seducono, in primo luogo la Vita, anomalia per eccellenza".


L'ultimo libro pubblicato quando Cioran era in vita è un libro stanco, senza guizzi di originalità; un ultimo respiro sempre amaro e tragico. Ai margini dell'esistenza, ancora più vicino a posizioni orientali, scettico e disingannato di fronte agli istanti, al tempo, alle esasperazioni della quotidianità e dell'insonnia il filosofo ride della vita e ammicca alla morte. E in questa drammatica perplessità, si avverte la sua nefasta frattura con l'esistenza.
Aforismi che hanno in sé un che di chiaroveggente, nefasto, greve ma pur sempre prossimo al vero.

6 ago 2017

Il vaccino non è un'opinione - Roberto Burioni (Saggio - 2016)

"Ci vogliono anni di lavoro, esperimenti complicatissimi, studi in doppio cieco. Però alla fine di tutto, invece di vaghe e inutili falsità, come: "Nella mia esperienza l'epilessia è causata dalla vaccinazione", oppure: "Il bambino era sano e la vaccinazione l'ha rovinato", c'è una spiegazione, una verità scientifica, che illustra come i vaccini non causino in alcun modo l'epilessia. Insomma, è necessario un sacco di sudore, ma alla fine si ha un fatto e non un'opinione".

Per una congenita difficoltà a mettermi in gioco pubblicamente nelle diatribe di opinione e di attualità - mi piace "vivere nascosto" - di fronte all'avanzata della post-verità e alla forte deriva antiscientista che stiamo assistendo, provo a giocare un po' anch’io. 
Il libro del medico e virologo Burioni, nella sostanza, spiega molto semplicemente, contro la preoccupante massa di antivaccinisti e anche per chi ha voglia di conoscere, come i vaccini siano sicuri, siano efficaci, siano utili, rinforzino il nostro sistema immunitario, rendano la nostra comunità più forte, non causino l'autismo o altri gravi malattie e come non siano un complotto delle multinazionali del farmaco. Nel farlo, Burioni riporta dati statistici, grafici, fonti, ma usa similitudini spassose e un linguaggio davvero divulgativo, rendendo il saggio alla portata di tutti. Non mancano neanche una breve storia del vaccino, dalle prime osservazioni alle scoperte sul virus, e alcune storie di donne e di uomini che, per il bene degli altri, si sono messi in discussione e hanno avuto ragione. Donne e uomini che, applicando il metodo scientifico, sono riusciti a scongiurare malattie orribili, nonostante le ferocissime critiche di chi non riconosceva l'evidenza delle scoperte. Nei vari capitoli, purtroppo, si raccontano anche di bimbi che, a seguito delle errate convinzioni dei genitori antivaccinisti, hanno subito gravi danni e addirittura sono morti perché non vaccinati. Questo in sintesi il contenuto del libro.
Eppure, al di là delle evidenze scientifiche riportate, le parole di Burioni danno spunti di riflessione sul valore della scienza e sulla sua validità che dovrebbe trascendere le opinioni, politiche e non solo... Nello scontro tra fatti e opinioni, tra episteme e doxa, tra il saggio scientifico e il post su Internet, tra vaccinisti e antivaccinisti insomma, ci troviamo a mettere a confronto il metodo scientifico ortodosso contro l'oscurantismo, il complesso e non sempre suadente rigore scientifico contro il facile e affascinante pensiero magico. Nuove e pericolose mode antiscientifiche sostenute da altrettanto pericolosi individui che si definiscono nuovi stanno dilagando oggi, soprattutto grazie al web. Di fronte a fatti provati scientificamente, la verità è accettata come vera solo se corrisponde a emozioni e convinzioni personali. Non si effettuano alcune analisi sulla veridicità o meno dei fatti; si preferisce credere a chi non possiede legittima autorità piuttosto che allo specialista, al primo che dopo un semplice articolo frutto di incompetenza sostiene che la terra sia piatta anziché credere a chi dopo tanti anni di duri sforzi sostiene inconfutabilmente che la terra non lo sia. E allora le correlazioni tra causa ed effetto non sono coerenti, la logica non si mantiene su un piano consequenziale e si accettano i suggerimenti dei sesti sensi o dei vaneggiamenti di chi non crede nella scienza.
Non ci resta che studiare! L'unico modo per educarsi alla verità, oltre che alla bellezza. Ma studiare significa sofferenza, applicazione, metodo, sudore, ricerca; non significa accontentarsi della prima notizia che circola in rete, dell'opinione di qualcuno che non ha sofferto, che non ha sudato e si è sacrificato per anni nell'applicazione di un metodo, quello scientifico, tanto complesso quanto affascinante e carico di speranze. Non lasciamo dunque che la faciloneria diventi sinonimo di verità, che l'opinione oscurantista di un gruppo di inesperti possa essere messo alla stessa stregua delle prove degli esperti e della comunità scientifica. Siamo già lontani dalla verità, siamo già molto lenti nella nostra ricerca; non rallentiamo ancora il nostro percorso verso un senso. Il rischio è di un ritorno al medioevo e al rogo delle streghe. Sappiamo tutti come è andata a finire…

15 lug 2017

47 gradini al buio - Simone Lega (Romanzo - 2016)

"I morti erano dappertutto, adagiati nelle nicchie; i prelati della famiglia imbacuccati nell'abito talare erano stati legati in modo da tenerli in piedi contro il muro e con le mani giunte in preghiera. La fiamma delle fiaccole illuminava i volti accartocciati. Ogni nucleo familiare aveva il proprio corridoio. I più antichi si perdevano nelle profondità oscure dei cunicoli. A Riccardo pareva di vivere un sogno".

Due soldati che portano un vassoio di vivande e libagioni in una cripta profonda quarantasette gradini, il terrore dipinto sui loro visi e sulle loro movenze; così esordiscono le prime pagine del romanzo. Tutte le notti, a turno, i vari servitori della corte di Riccardo da Castroverde, da anni, sono obbligati a scendere nella cripta, a lasciare sull'altare piatti da banchetti e a subire le provocazioni del terrore. Un terrore che nasce sia per il mistero che si cela dietro il macabro rituale che pretende Riccardo, sia per le orribili leggende che si tramandano da sempre. La cripta infatti, che conserva i corpi defunti degli avi di Riccardo e da poco della bella e ancora giovane moglie Costanza (seppellita prima del funerale), sembra abitata da oscure e maligne presenze. Non è un caso che i due soldati sentiranno gelarsi le vene quando dalla cripta una voce conosciuta ma defunta chiama uno dei due...
Saputo della morte di Costanza, Vittoria, sua figlia, decide di rientrare da Pavia dove era stata tenuta in esilio da Riccardo, suo padre. Vittoria è una figura dolce, amata da tutti, amorevole persino con il padre; l'antitesi di Riccardo insomma, figura invece malvagia, pederasta, tiranna. Ma un'altra visita stravolge Castroverde, l'antica e cupa rocca del Ducato di Pavia: l'arrivo di uno strano monaco, un vecchio amico di famiglia, da tutti ritenuto un santo, di nome Armando. Il racconto allora, con un flashback, rivive il passato di Riccardo, di sua madre, di suo fratello e di suo cugino e, piano piano, le misteriose leggende sulla cripta iniziano a svelare i loro arcani: i morti nella cripta, dalla fondazione della rocca, da quando un santo l'aveva infettata con una maledizione, tutte le notti, banchettano e festeggiano l'arrivo dei nuovi defunti. Castroverde allora diventa la vera protagonista del romanzo. Luogo che in origine era insignificante, è preda di un maleficio che ha il volto di una maligna divinità distruttiva e delle sue fedelissime streghe, il Dio Stanco. E Armando è lì per annientare la maledizione... 
Il racconto prosegue poi, tra un'analessi e un'altra, marcando lo scontro tra Riccardo e Vittoria, emblemi del male e del bene, tra chi sente sulle spalle tutto il peso della malvagità e chi, invece, avverte un profondo senso di bontà pervaderle il corpo e lo spirito. Eppure, in verità, con lo sviluppo della storia, lo scontro tra gli opposti, tra il bene e il male non è così netto. Riccardo e tutti i suoi avi sono vittime del maleficio, sono solo dei burattini governati dalle mani invisibili di un destino più grande di loro, in cui tutto è già scritto e ogni cosa rimane immutabile. Non è un caso, infatti, che lo stesso Riccardo conservi momenti di bontà nei confronti della figlia (chiave di volta di tutto il racconto) e che la stessa Vittoria dimostri una vena di malignità sotto la pelle. Lo scontro se in un primo momento è feroce, via via che il confine tra bene e male si scioglie e gli estremi si mescolano, in seguito diventa assoluto solo tra le mani dei burattinai. Fino al finale in cui un sacrificio mette fine alla maledizione...
Il romanzo ha tutti gli stilemi del gotico: una cripta (la cui descrizione ricorda le catacombe dei cappuccini di Palermo), il medioevo di sottofondo, assassini senza scrupolo, misteri da svelare, la lotta tra il Male e il Bene, una rocca sperduta tra fitti boschi, scene di orge, di incesti, di stupri, di cannibalismo, di torture. Sade, Le Fanu, Lewis sono dietro l'angolo e non si sforzano di nascondersi troppo.
Una storia che si legge velocemente, nonostante l'intrigo delle vicende, anche grazie a uno stile che predilige periodi semplici e paratattici.

1 lug 2017

L'invenzione del piacere - Michel Onfray (Saggio - 2002)

"Contro la lettura classica della filosofia greca che favorisce l'asse ontologico di Parmenide, l'idealismo di Platone, il gusto stoico per l'autopunizione, l'alessandrinismo mistico di Plotino e l'odio contro se stessi tanto caro ai Padri della Chiesa, possiamo preferire un'altra linea di forza che presupponga invece: l'atomismo di Democrito, il relativismo soggettivo dei sofisti (anche loro da de-platonizzare), il Socrate restituito a se stesso, Diogene con la sua coorte cinica, Aristippo con i suoi Cirenaici e infine l'Epicureismo di Lucrezio. Un continente idealista della rinuncia e dell'ideale ascetico innervato dalla pulsione di morte; e un altro materialista, chiaramente alimentato da una pulsione di vita ludica ed entusiasta".

Possiamo considerare questo libro un'appendice alla storia della filosofia che Onfray sta riscrivendo. Una storia, come sappiamo, dedicata ai vinti, a tutti quei pensatori che la tradizione occidentale, fortemente cristiana, ha volutamente dimenticato. Questo volume è dedicato, infatti, alla figura di Aristippo di Cirene, un allievo di Socrate e padre spirituale di Epicuro, che del piacere e della sua ricerca ha fatto una categoria filosofica ed esistenziale. Aristippo dunque, il filosofo dell'esaltazione del corpo e del pericoloso piacere, che si contrappone alle filosofie platoneggianti che vedono la carne come maceria dello spirito e che esaltano il cilicio e la punizione fisica a tutto vantaggio di una fantomatica anima. Aristippo contro Platone, il mondo concreto e dei sensi contro il mondo delle idee e della mortificazione del corpo.
In verità, il libro, dopo una breve e spassosa (per stile e arguzia) presentazione, raccoglie i frammenti e le testimonianze che spaziano dalla biografia alla teoria critica di Aristippo e dei suoi seguaci, nel tentativo di far emergere dall'oblio uno degli innumerevoli filosofi che ancora oggi avrebbero qualcosa di illuminante da dire.

29 giu 2017

La prigioniera - Marcel Proust (Romanzo - 1923)

"Allora, sentendo che era nel pieno del sonno, che non avrei urtato contro scogli di coscienza ricoperti ora dall'alta marea del sonno profondo, deliberatamente salivo senza rumore sul letto, mi sdraiavo accanto a lei, le cingevo con un braccio la vita, posavo le labbra sulla sua guancia e sul suo cuore, poi su tutte le parti del suo corpo, la sola mano che mi era rimasta libera, anch'essa, come le perle, sollevata dalla respirazione della dormiente; io stesso venivo leggermente cullato da quel movimento regolare: mi ero imbarcato sul sonno di Albertine".

Il possesso che nasce dai tormenti della gelosia. Questo potrebbe essere il sottotitolo esplicativo del quinto capitolo della Recherche.
Direttamente collegato al capitolo precedente, a Parigi, di rientro da Balbec, il narratore insieme ad Albertine, inizia a vivere la quotidianità della convivenza; una convivenza non facile però. Parigi infatti, lentamente, gli appare come una nuova Balbec, un luogo dove le occasioni per mentire da parte di Albertine non sono difficili da trovare. Dopo aver espresso la sua volontà di sposarla, il protagonista sente crescere la morbosità della gelosia. Una morbosità, come sappiamo, che nasce già nel capitolo precedente ma che qui si fa esplosiva. 
Durante le assenze di lei, per esempio quando Albertine passeggia per le vie di Parigi, Marcel (è la prima volta che il narratore nomina il suo nome) inizia a fantasticare sui suoi possibili tradimenti o addirittura sul suo passato in una forma di gelosia retrospettiva. Ma che meraviglia le pagine in cui guarda Albertine addormentata, e non c’è altro spazio per la gelosia. Sono le pagine in cui la ragazza, tra le mille conosciute, mostra solo il suo corpo, solo la sua superficie, l'unica zona di luce che Marcel ama veramente. Albertine in quegl'istanti è completamente sua.
In questa cornice malata e possessiva, continuiamo a leggere il contrappunto della relazione omosessuale del barone di Charlus con Morel (coppia speculare a quella tra il narratore e Albertine). Incontrati durante le visite da madame de Guermantes, sono pagine in cui non mancano i pettegolezzi e gli atteggiamenti snobistici, o le discussioni sulle scarpe e gli abiti da sera... Ma la relazione tra il barone e il violinista, anch'essa malata, piena di continui sotterfugi, di gelosie e di calcoli, è solo una parentesi.
Il racconto, infatti, ritorna sulla decisione di Marcel di fare sorvegliare la ragazza dal suo autista e da Andrée, la sua amica (una delle fanciulle in fiore che non sempre è limpida nei suoi racconti). Via via cresce tra gli amanti una tensione spasmodica e incommensurabile. Non ci sono personaggi, non ci sono azioni come nei precedenti capitoli; ogni cosa, ogni gesto, è Albertine. È un'analisi continua di ricordi, di espressioni, di intonazioni e sfumature facciali. Il mondo esterno, gradualmente, sparisce. A eccezione della breve parentesi sulla morte dello scrittore Bergotte e della parte dedicata al ricevimento dei Verdurin, pochissime sono le vicende narrate. Durante la serata dai Verdurin, dove il geloso Marcel non è accompagnato da Albertine, Charlus e Morel vedranno conflagrare la loro relazione, già compromessa, anche a seguito dei pettegolezzi dell'autoritaria e gelosa padrona di casa. È anche la sera del Settimino di Vinteuil, che porterà il narratore a riflettere, seppur brevemente, sulla bellezza e sull'esperienza dell'arte quale salvezza dalla vanità del mondo, dell'amore e della morte. Se l'amore è egoismo, incomunicabilità, menzogna e tormento, l'arte, invece, permette di sventrare l'universo degli altri, di vedere il mondo con gli occhi dell'artista. Non è l'amore l'ancora di salvezza per l'uomo, ma l'arte, quell'incontro quasi mistico con la bellezza.
Ma sono riflessioni che scorrono velocemente. Dopo la serata dai Verdurin, infatti, Marcel, a casa, litiga furiosamente con Albertine di cui scopre tutte le menzogne ripetute. 
La loro rottura prima sembra definitiva, ma la notte si conclude con una pace tra i due amanti. Nelle pagine seguenti, nei giorni seguenti, nonostante tutto sia apparentemente normale, si avverte ancor di più la pesantezza della loro condizione: di prigionia per Albertine, di schiavitù per Marcel. Qui l'abisso che si è creato tra i due è incolmabile. Non si amano più, ogni azione è spenta, sebbene sia colma di sensi. Così il narratore lotta con tutte le sue contraddizioni, con tutte le molteplici e antitetiche volontà. Si abbandona allo sconforto, al desiderio di andare a Venezia e allo stesso tempo di non lasciare andare Albertine da casa sua. Ma lei, sempre più fredda, sempre più esausta, scappa dalla sua prigione dorata e il volume si chiude con Marcel che scopre la fuga.

È evidente che il capitolo richiami il primo. La storia d'amore tra Marcel e Albertine ricorda inevitabilmente quella tra Swann e Odette, in un gioco di specchi e di rimandi che dimostrano come ogni dettaglio ne rifletta un altro (non mancano nemmeno i ricordi dei baci della mamma e delle madelaine) e come sia solida l’architettura dell’intero romanzo. Un capitolo greve, da digerire gradualmente, che conferma l'estrema sensibilità della riflessione proustiana.

2 giu 2017

Pensieri - Blaise Pascal (Pensieri - 1662)

"Quando mi son messo qualche volta a considerare il vario agitarsi degli uomini e i pericoli e le pene a cui si espongono, nella Corte, in guerra, donde nascono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso malvagie, eccetera, ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non sapere starsene in pace, in una camera".

I dissidi dell'uomo (la sua grandezza e, allo stesso tempo, la sua miseria, i suoi limiti naturali, il dualismo  tra lo spirito di geometria e quello di finezza) non possono essere colmati dalla filosofia, tutt'al più può solo riconoscerli. Tocca, invece, alla fede religiosa giungere nell'ambito interiore del cuore che permette all'uomo la possibilità di conoscere Dio, la verità del cristianesimo, la risoluzione di ogni contraddizione. Ecco, in sintesi, la trama apologetica del pensiero pascaliano.
Nel difendere la sua religione, Pascal si dedica all'analisi dell'uomo e al suo stare nel mondo. È il Pascal più interessante, il più lontano, però, dalle dichiarazioni di onestà del ben più grande Montaigne (preso di mira più volte perché, in fondo, più che agli uomini, le riflessioni dell'autore scettico sono mirate verso se stesso in quanto singolo). E allora il filosofo di Port-Royal distingue l'uomo senza Dio, quello misero, triste, incompleto, e l'uomo con Dio, quello felice, ragionevole e dedito all'unico pensiero felice: il pensiero di Dio. La descrizione di una natura umana corrotta quanto inquieta e annoiata (mi sembra evidente che dietro il termine 'uomini'  si celi lo stesso Pascal) è affascinante. Ma quando si rivolge alla descrizione dell'uomo di fede, spesso, si respira una forte prepotenza, ma anche e soprattutto un che di stantio e di vecchio. Pascal, infatti, vomita odio verso chiunque non crede nell'unico vero Dio (quello cristiano) e insiste fortemente, noiosamente direi, su profezie, miracoli, scommesse, sensibilità; insomma su tutti gli strumenti paolini e agostiniani che affermano la superiorità della fede sulla ragione e la superiorità del credente sullo scettico. Quanta superbia senza avere nulla tra le mani.

Nell'analisi dell'uomo che oscilla tra la miseria e la continua vocazione alla grandezza sta tutto il genio di Pascal, ma il suo resta comunque un libro per rinfrescarsi la memoria sugli effimeri tentativi di rendere l'assurdo sensato e la menzogna verità.

24 apr 2017

Malomondo - Giovanni Soriano (Aforismi - 2013)

"Per trovare piacevole la vita è sufficiente essere dotati di gusti alquanto grossolani. Agli sfortunati dal palato fine, invece, non resta che imparare a convivere con la nausea e fare l'abitudine al disgusto".

"Non esistono genitori responsabili; quale genitore responsabile, conoscendo il mondo, vi farebbe nascere un figlio?".

"Che ancora oggi la maggior parte della popolazione mondiale sia orgogliosamente cristiana, islamica, induista, scintoista, giainista o chissà quale altra stramba religione, la dice lunga sul progresso morale e spirituale raggiunto dall'umanità".

Scritto come uno sfogo contro un mondo dominato dalla stupidità in tutti i suoi settori (società, politica, cultura, religione), contro un mondo radicalmente malato, Soriano ci regala un libro amaro, tragico, uno di quelli che fanno riflettere. Eppure l'autore sa che, se non ci fosse la stupidità a imprimere questa energia vitale al mondo, il mondo stesso crollerebbe in una crisi spaventosa. Il mondo infatti, nelle mani di pochi saggi, precipiterebbe nella rovina e l'uomo sarebbe destinato a un'estinzione precoce (tanta agognata però). Ma la stupidità è dell'uomo, ne è parte costitutiva e allora ci sarà sempre bisogno di produrre stupide canzonette, di affollare le chiese, di partorire figli, di riempire gli stadi, di consultare maghi, astrologi, sacerdoti, pranoterapeuti, santoni. Senza la stupidità tutto ciò non potrebbe sopravvivere!
Contro la politica, contro gli scrittori mediocri (l'emblema è Coelho) che scrivono per lettori mediocri (interessanti in questo contesto risultano gli spunti di riflessione sulla scrittura e sul ruolo dello scrittore contro l'insensatezza della vita stessa), contro chi decide di generare figli, contro le credenze religiose e ovviamente contro le menzogne propugnate da millenni dalle chiese, contro l'idea di progresso, contro i carnivori e chi fa soffrire gli animali, contro i grandi sistemi filosofici, siamo di fronte a uno scritto e a uno scrittore bilioso (uno dei tanti, ma mai abbastanza...) che hanno il coraggio di raccontare la verità: viviamo ancora nel medioevo e bisogna prenderne atto per uscire da questo lunghissimo momento di paralisi intellettuale, morale e spirituale.
Con uno stile arguto, ironico, profondo, provocatorio e a tratti persino volutamente disturbante, "In lode alla stupidità", è un moderno elogio della follia; è un libro per continuare a prendere coscienza, per continuare a tuffarsi nelle torbide acque dell'insensatezza della vita e della sua stupidità.

10 apr 2017

L'ora di lezione - Massimo Recalcati (Saggio - 2014)

"Aprire vuoti nelle teste, aprire buchi nel discorso già costituito, fare spazio, aprire le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il corpo, aprire mondi, aprire aperture impensate prima. Non è questa la materia di cui è fatta l'erotica dell'insegnamento? Non è questo il gesto che fa esistere un insegnamento in grado di generare effetti infiniti di soggettivazione? Non è questo il significato ultimo della trasformazione degli oggetti del sapere in corpi erotici che dovrebbe realizzare ogni insegnamento?"

Dopo una feroce fotografia della scuola italiana di oggi - in cui esistono colpe, ma anche meriti -, una scuola che è costantemente mortificata dalla politica, dalla società, da alcuni insegnanti stessi, nella convinzione che una sola ora di lezione possa cambiare la vita a qualche studente, Recalcati descrive le possibilità di "un'erotica dell'insegnamento", come recita il sottotitolo stesso. In una prospettiva socratica, psicoanalitica, lacaniana, passando in rassegna gli stili di insegnamento (non solo diacronicamente, ma anche sincronicamente), lo psicoanalista illustra la scuola del conflitto (Edipo) che andrebbe recuperata dalla sua malattia, dal sentiero che ha smarrito, con un modello di rapporto simile a quello tra Telemaco e Ulisse. Descrive, poi, la scuola della collusione, quella tra il narcisismo dei figli e dei genitori (scuola Narciso) e quella di Telemaco, appunto. Quest'ultima è la scuola del desiderio, oltre che della nostalgia; è la scuola della carica erotica, della parola che diventa oggetto d'amore, della conoscenza vera. L'insegnante, qui, deve creare un vuoto nella mente degli allievi, deve sconquassare certezze di verità e così indurre i ragazzi verso nuove verità, personali, intime. È l'unico modo che esiste per creare un rapporto d'amore con la conoscenza. Gli insegnanti dovrebbero aprire a nuovi mondi, dovrebbero aprire alla bellezza, suscitare desiderio erotico verso la conoscenza, non travasare e imporre contenuti precostituiti, da accettare e basta.
In un'Italia in cui gli insegnanti sono sottopagati e dove hanno perso il loro ruolo sociale di primaria importanza, il capitolo autobiografico dedicato alla giovane professoressa che è stata in grado di accendere nell'autore il fuoco e l'eros della conoscenza risulta essere significativo, oltre che personale.

Un libro per riflettere sulla scuola, sul significato di insegnamento, sulla possibilità di partorire curiosità nei nostri studenti.

20 feb 2017

Il contrario di uno - Erri De Luca (Racconti - 2003)

"Mi contavo i muscoli, le ossa, com'ero poco, mi contavo gli anni, le monete: come potevo tenerla? Lei cresceva, era un'estate di fichi d'India e una catena di baci esauditi. Non avevo altro da desiderare oltre l'uscio dei baci. Più della libertà ho aspettato il minuto bollente in cui quattro labbra sospendono il respiro e si mischiano per gustare se stesse attraverso altre due e si confondono per appartenersi"

La vergogna di scappare da una carica della polizia durante una manifestazione; i deliri di febbre vissuti alla fine di un freddo febbraio; una ragazza con la gonna blu e la camicia bianca che aiuta un gruppo di ragazzi dalle idee rivoluzionarie; la scalata su una montagna di uno scrittore e una donna che vuole essere uccisa; un amore romano perduto che ti segna la vita; una lotta con un coltello su una montagna; il ricordo di una Napoli in guerra e di uno zio; un pescatore sopravvissuto a un campo di sterminio; un viaggio in Africa; un tradimento subito: alcune delle storie che raccontano esperienze di lotta e di rivolta contro un ordine costituito che non ha alcuna parvenza morale e di giustizia. 
Sono racconti che cercano un senso, un significato di equità che va oltre la legge scritta. E questo significato si trova nel rispetto verso la natura, nel suo respiro e nei suoi silenzi. Allora le storie si trasformano in canti di libertà, di amore e di giustizia da ricercare tra montagne, viaggi, boschi, desideri di solitudine e di libertà.

Racconti molto semplici nella trama e nella sintassi; elegante, invece, l'uso dei verbi.
Un autore nuovo, un'altra visione; grazie!

16 gen 2017

Classifica: i più belli e il più deludente del 2016

Dopo le morti si susseguono, in forme diverse, le rinascite; si sa, è legge di natura. E il 2016 potrebbe essere considerato l'anno della svolta, il tentativo di una nuova rinascita. Restano però i pochissimi libri letti (solo sedici, mai così pochi), il poco tempo avuto per l'ozio, gli importanti impegni lavorativi, ma restano pure i viaggi desiderati e i luoghi di incanto attraverso cui ho avuto modo di pensare alla mia ricerca di lentezza e bellezza. È anche l'anno di un monumento barocco che, con le ombre e le luci dei suoi riccioli e volute, mi ha offerto brevi parentesi di illusioni...
Eppure ne brilla una stella; una fiammella che ho scoperto e osservato d'estate, una stella che nel buio della verità (sì, perché la verità non si trova nell'apparenza della luce) è riuscita a rischiarare le mie notti.

Ma vediamo quali libri meritano un posto d'onore nella mia ormai tradizionale classifica annuale.

1. L'ordine naturale delle cose
2. Sodoma e Gomorra
3. Squartamento

Il romanzo di Antunes è stato una rivelazione, un meccanismo a incastro perfetto, dove costruzione ed emozioni si incontrano e raggiungono vette altissime di bellezza. Proust non può non essere tra i primi, la sua eleganza, la sua dolcezza, la sua sensibilità, il suo stile come esempi massimi di scrittura profonda. Cioran infine, con la solita visceralità, l'intima consapevolezza di essere un dannato.
Tra i pochi libri letti non ci sono stati momenti poco interessanti degni di menzione. A parte quel libro su Kafka e Praga, un libro per turisti, anche se carico di ricordi.

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