Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

23 giu 2020

Opinioni di un vagabondo - Charles Spencer Chaplin (Saggio - 2005)

"Io mi sforzo di non inserire nelle mie comiche nulla che non sia una caricatura di un aspetto della vita vera. Per quanto una cosa possa apparire assurda sullo schermo, credo che studiandola con attenzione la si possa ricondurre alla vita, ed è probabilmente qualcosa che avviene tutti i giorni, qualcosa che l'aspirante critico del mio film non avrebbe mai pensato che potesse essere divertente, neanche un po'"

In questo pregevole volume sono raccolti mezzo secolo di interviste, che raramente il timido Chaplin ha rilasciato per l'odio che ne aveva. Sono quindi utili per comprendere meglio la personalità del geniale cineasta e attore. Le interviste, infatti, ripercorrono la sua intera vita artistica, dal 1915 al 1967 (anno del suo ultimo film). Emerge chiaramente l'ottimismo e la fiducia nelle sue produzioni, ma anche l'intensità e lo sforzo che si nasconde dietro i suoi capolavori. Un lavoro maniacale, paziente, di ricerca spasmodica dell'equilibrio, della semplicità, della perfezione, al fine di svelare, tra una risata e una riflessione tragica, la natura umana. Dai pensieri rilasciati, affiora un uomo di cultura e di opinione, che ha idee semplici e definite di estetica, di letteratura, di politica, dimostrando anche quanto fosse attento al mondo che lo circondava e alle buffe quanto sciagurate persone che lo abitano ancora oggi.

21 giu 2020

Ricordando Cioran - Mario Andrea Rigoni (Saggio - 2011)

"Quando venne a trovarmi a Padova, prendendo alloggio in una semplice locanda così come aveva fatto a Venezia, la prima cosa che volle vedere non fu uno dei tanti monumenti storici o artistici della città, ma la Basilica di S. Antonio, con il sorprendente corteo di pellegrini che da sempre vi affluiscono da tutte le parti del mondo. Commentò, mi pare, che questa forma di devozione assolveva i medesimi compiti della psicanalisi. Visitando il Giotto degli Scrovegni, si soffermò un momento sulla rappresentazione dei Vizi e delle Virtù, osservando sarcasticamente che gli uni erano la verità e le altre la menzogna".


Un'amicizia lunga, quella tra l'italiano Rigoni e il filosofo franco-rumeno. E in questo brevissimo opuscolo sono raccolti pensieri personali, ricordi commoventi e aneddoti deliziosi del loro rapporto. L'autore spiega anche perché Cioran non era di moda negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso (un anti-Sartre, un anti-Heidegger non poteva avere spazio nel panorama intellettuale di quei decenni). Insiste sulla figura di un uomo che ha vissuto la filosofia sulla sua pelle: un pensiero, quello di Cioran, che nasce autenticamente e che inevitabilmente lo ha portato a ripristinare lo stile intenso, diretto e lucido della superba tradizione persa dopo Schopenhauer e Nietzsche.
Un ricordo genuino.

19 giu 2020

Racconti - Marcel Proust (Racconti - 1896)

"Ormai Alexis si era abituato alla malattia mortale dello zio come a tutto ciò che dura attorno a noi e, sebbene Baldassare fosse ancora vivo, per il solo fatto di aver versato una volta per lui quelle lacrime che tributiamo ai morti, il ragazzo aveva iniziato a comportarsi con lui come se, appunto, fosse già morto: aveva iniziato a dimenticarlo".


C'è un certo grado di ingenuità in questi racconti, una certa dose di poesia anche. C'è un bambino che ammira negli anni, tra alti e bassi, uno zio morente (racconto delizioso); c'è Violante, una ragazza che scopre i rimpianti, le pene d'amore e la vanità della mondanità; c'è la civetteria di una vedova ventenne che diventa prigioniera di un amore impossibile verso un uomo senza qualità; c'è una ragazza agonizzante dopo un tentativo di suicidio che confessa il suo distacco dalla pienezza della vita solitaria per sconfinare in quella peccaminosa e superficiale della vita mondana, per poi rinsavire, sentirsi meglio e infine peccare di nuovo (il racconto più bello e che più rievoca la Recherche); c'è una giovane coppia dolcemente innamorata che cade vittima della gelosia; c'è, infine, Madeleine che si innamora di un uomo mediocre e quest'ultimo è del tutto indifferente (racconto scoperto alla fine degli anni Settanta del secolo scorso).
Questi sei racconti sono preziosi per almeno due motivi. Uno, perché sono testi tratti da un'opera introvabile, I piaceri e i giorni; due, perché ci troviamo di fronte a un giovanissimo scrittore che ha già definito nettamente i confini dei temi che saranno centrali nel suo capolavoro. L'attesa della morte, le piccole morti dell'esistenza, le memorie volontarie e involontarie, il tempo, i tormenti mondani, l'amore, le illusioni, il vuoto che si nasconde dietro l'apparenza della vita mondana, la gelosia. È un modo grazioso, seppure ancora acerbo, per assaggiare il gusto corposo e sublime della Recherche. Ed è inevitabile che leggendo queste pagine tornino in mente, come intermittenze del cuore, alcune delle sue magnifiche immagini.

8 giu 2020

Bestiario - Julio Cortazar (Racconti - 1951)

"In fin dei conti era una vita triste. Isabel una notte si domandò perché mai i Funes l'avevano invitato a trascorrere l'estate con loro. Non aveva l'età per capire che non si trattava di lei, ma di Nino, un giocattolo estivo per rallegrare Nino. Riusciva soltanto a comprendere la casa triste, Rema come se fosse stanca, che non pioveva quasi e le cose, tuttavia, erano come umide e abbandonate. Dopo alcuni giorni si abituò all'ordine della casa, alla non difficile disciplina di quell'estate a Los Horneros"


Una grande casa condivisa da un fratello e da una sorella che sono costretti a lasciare perché occupata da non definite presenze; un uomo che confessa in una lettera che vomita conigli; una donna che sente la sofferenza di un'altra donna a Budapest e che, una volta incontrata, si scambiano i corpi e le vite; una donna che salita su un Omnibus è fissata in modo imbarazzante e inquietante da tutti, così come lo sarà un altro passeggero (il racconto più bello); un allevamento di mancuspie (animali inventati) da gestire mentre bisogna curarsi con l'omeopatia, perché quando gli animali stanno male trasmettono agli uomini una forte cefalea; una giovane Circe, Delia, che vede morire i suoi fidanzati; Mauro, che, invitato dal suo migliore amico ad andare in una milonga per dimenticare Celina, la compagna appena morta, vede quest'ultima ballare il tango; una bambina che fa in modo che lo zio finisca divorato da una tigre che si aggira indisturbata nella loro proprietà. Sono gli otto racconti neofantastici (manca del tutto l'atmosfera gotica) che spesso conservano un'atmosfera surreale, onirica (non è un caso che spesso i protagonisti sono insonni). 
La realtà sembra essere vista con gli occhi di un bambino, e le pagine sono allucinate, le situazioni sono irreali, anche se in contesti assolutamente ordinari e quotidiani. Gli elementi soprannaturali, però, non sono percepiti come anomali. La normalità si gonfia a tal punto da spezzarsi nella surrealtà, una frattura che purtroppo mai diventa terremoto di emozioni. I racconti sono semplici nella loro idea e nel loro sviluppo, ironici, asciuttissimi nello stile, e si spengono senza che ci sia stato un vero climax emotivo.

7 giu 2020

Per nulla al mondo - Friedgard Thoma (Saggio 2001)

"Passeggiammo di nuovo, anzi vagabondammo parecchio per Parigi; secondo Cioran, sarebbe diventata una sorta di patria per me. Sapeva esattamente dove aveva vissuto Pascal o il luogo in cui Mirabeau fu arrestato, conosceva tutte le storie di donne o le altre scaramucce dei defunti celebri. Negli anni seguenti il luogo usuale dei nostri incontri sarebbe stata l'Eglise St. Sulpice, al tempo di Napoleone una spaziosa scuderia, in cui a volte ci trovammo a discutere, irritando i fedeli in preghiera"


Un amore di Cioran, come recita il sottotitolo, è una raccolta di lettere tra il filosofo già settantenne e la sua amante Friedgard, una professoressa di filosofia di Colonia. È il racconto dei loro incontri, dell'amicizia che è nata tra Friedgard Thoma e Simone Boué, la compagna di vita del filosofo, ma è soprattutto la testimonianza unica di come l'amore appassionato e ardente possa salvare l'uomo, persino il più disperato, il più nichilista. Dal carteggio d'amore e dagli aneddoti deliziosi che inframezzano le epistole (struggenti i ricordi dei loro ultimi incontri, della loro passeggiata al cimitero, dell'ultimo saluto...), ne viene fuori, infatti, il lato più vulnerabile di Cioran. Il filosofo dello scetticismo si fa antiscettico. Il filosofo della rassegnazione riconosce nell'amore, nella sua infatuazione senile (a tratti finanche gelosa), un'ancora di salvezza, un approdo su cui aggrapparsi che gli possa permettere di sopravvivere. 
Le lettere sono state scritte in tedesco, quindi non si leggono gli slanci poetici che caratterizzano lo stile di Cioran. Eppure, nella corrispondenza iniziata all'inizio del 1981, nella storia che ha avuto inizio con una semplice lettera da parte di una curiosa ammiratrice e una cordiale risposta da parte del filosofo, nei loro incontri nella decadente Parigi, nei loro viaggi, nelle loro ossessive telefonate si può osservare come la poesia del sentimento sia onnipresente, costante, salvifica. Cioran, un vecchietto ossessionato dal pensiero del suicidio, nella figura di una giovane Friedgard (dalle sembianze di attrice e dalla spiccata intelligenza) si scopre in balia delle onde burrascose di un amore che lo metterà ancora una volta in discussione con se stesso e con il senso del mondo.
Sono raccolte anche alcune lettere di Boué a Friedgard, che rivelano un'intensa e bella amicizia. 

5 giu 2020

Cere perse - Gesualdo Bufalino (Saggi - 1985)

"Celle di chiostro o di carcere, chi vi si chiude, seppure ne ricavi ragioni per credere in Dio, altrettante ne fabbrica per disperare di amarlo... insomma, l'insularità è a un tempo un privilegio e una pena, pensateci due volte prima di venirci in vacanza, voi che abitate le grandi pianure dove si può camminare sempre davanti a sé. Non misurate il nostro respiro sul vostro. E, soprattutto, uomini di terraferma, abbiate pietà di noi che viviamo nelle isole: potremmo, da un momento all'altro, sparire"


Rileggere Bufalino, specialmente in prima edizione, è emozionante tanto quanto scoprirlo la prima volta. Il grande scrittore comisano è in grado di turbare e di meravigliare il lettore sempre con nuovi brividi. È, in sostanza, un'epifania di emozioni e di riflessioni. La sua scrittura, la sua poetica, il suo pensiero sono barocchi, eleganti, abissali. Nelle sue opere, infatti, scava psicoanaliticamente nei meandri profondi della memoria, ne fa riemergere i ricordi e dopo, nietzschianamente (e proustianamente), li trasvaluta per crearne fantasie e storie da trascrivere su carta, sotto forma di romanzi, racconti, poesie, articoli.
Diciamocela tutta, Bufalino è uno scrittore del sospetto. Eppure non è metafisico in senso stretto. Ritengo che nel suo pensiero non ci sia molto spazio per la metafisica, anzi a tratti trovo istanze anti-metafisiche nella sua opera, nonostante la maggioranza dei suoi critici la pensi diversamente. Basta ricordare che tutta la sua riflessione sulla memoria e sui ricordi si riconduce fondamentalmente alla materialità della mente e del proprio vissuto. Basta ricordare il suo rapporto con Dio, che, se e quando esiste, è conflittuale, è materiale (celebri le riflessioni di padre Anselmo, struggente il corpo morto di Marta, oltre alla sua memoria, che deve aiutare il narratore a superare il momento profondissimo di scoramento in Diceria; arcano il Padreterno de Le Menzogne della notte che non si sa chi sia e che alla fine non verrà mai conosciuto; evocativa la volontà del padre dell'avvocato Crisafulli di avere con sé un bastone nella tomba per colpire materialmente Dio nel caso esistesse in Tommaso e il fotografo cieco). Basta ricordare che se esiste (ed esiste, specialmente nei racconti) una volontà di sopravvivenza, questa si trova soltanto nella memoria e nei libri scritti. C'è spazio per un'analisi esistenziale semmai. Anzi, questa è una caratteristica fondamentale, una cifra assoluta, secondo me, del pensiero dello scrittore siciliano. L'angoscia della vita, la nostalgia per un passato che non c'è più, il bisogno di mettere in posa il tempo per poi imbellettarlo con i trucchi della retorica, le riflessioni sulla precarietà, la finitezza e l'assurdità della vita, la solitudine di fronte alla vecchiezza e alla morte sono temi tipicamente esistenziali. Temi da leggere non in chiave ontologica-heideggeriana, ma in senso nietzschiano-nichilista, o tutt'al più in senso ateo alla maniera di Camus, o al massimo nel senso agnostico-nichilista alla maniera di Cioran. Essere o riessere dunque, non in chiave ontologica, ma in chiave materialistica-esistenziale.
Anche in questi elzeviri e articoli di giornali usciti tra il 1982 e il 1985, raccolti per paura di perderli come la cera che si scioglie dopo l'utilizzo che ne fa lo scultore, sebbene solo sporadicamente, si può trovare traccia di tale cifra. La varietà dei temi trattati, vagabondi e amaramente ironici, sprofondano spesso in uno scetticismo chiaro e distinto; la Sicilia come ossimoro, come mito, la memoria e il ricordo di Sesta Ronzon, ma anche il valore della parola e al contempo del silenzio. Eppure si nota sempre un certo grado di coerenza, verso se stesso, verso il giudizio tagliente sui libri, sull'arte, sull'esistenza non solo tragica, ma anche nei suoi aspetti più banali. È come leggere un romanzo autobiografico, un diario intimo, una confessione sullo scrivere e sul leggere, sui sentimenti privati, sul rapporto con il tempo e la morte. Elzeviri appassionanti per il linguaggio, per lo stile e per le sfumature interiori ed esistenziali quasi alla Pascal, alla Montaigne, alla Baudelaire (peraltro citati più volte). Si capisce quindi che il filo conduttore è il libro, il suo elogio. I libri che consolano, terapeutici, che ampliano la conoscenza e ci danno coscienza, che sono nutrimento. I libri sulla Sicilia, i libri dell'amico Sciascia, persino il modello 740 per la denuncia dei redditi, la riabilitazione del romanzo giallo. Lo scrittore non è innocente e la curiosità diventa quasi morbosa verso gli autori prediletti e i loro personaggi di romanzo. Il riessere dunque è nella materia del libro, nella pagina imbrattata di inchiostro, è, insieme alla memoria, l'unica strada possibile per sopravvivere ancora.

Archivio blog