Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

28 feb 2021

Ritratto di Marcel Proust - Edmund White (Saggio - 1999)

"Proust può essere più adatto ai lettori di oggi rispetto a quelli del passato perché, man mano che la sua vita si allontana nel tempo e la storia della sua epoca si sfoca, viene letto più come uno scrittore di favole che un cronista, come un creatore di miti piuttosto che il portavoce della Belle Époque. Nell'ambito di questa nuova prospettiva, Proust emerge come il supremo compositore dello spirito. Non misuriamo più i suoi racconti in rapporto a una realtà che conosciamo. Piuttosto, leggiamo le sue favole di castità e lussuria, virtù familiare e vizio sociale, devastazioni della gelosia e consolazioni dell'arte, non come dei resoconti di fatti, ma come delle favole. Lui è la nostra Sharazad".


Questo appassionante saggio è un racconto della vita, delle passioni e delle opere di Marcel Proust. Una biografia, insomma, ma diversa dalle altre. L'ironia (oltre l'abilità critica), infatti, è lo strumento usato dall'autore americano che rende la lettura piacevole e scorrevole. Della vita di Proust, del suo rapporto con la madre, dei suoi amori omosessuali, della sua mondanità, della sua ipocondria, della sua clausura, della sua morte sappiamo già, eppure una biografia come questa ci catapulta dentro la figura di un genio tanto complesso quanto contraddittorio, il cui segno è rimasto profondissimo nella storia. 

Libro scorrevole quindi, con uno stile asciutto, immediato; si legge quasi come un romanzo e le intelligenti riflessioni personali dell'autore sono ben incastrate nel racconto. Anche le pagine dedicate alla Recherche sono stuzzicanti e la lettura ti rapisce. Da leggere assolutamente.

18 feb 2021

Niente di nuovo sul fronte occidentale - Erich Maria Remarque (Romanzo - 1929)

"E io so che tutto ciò che affonda in noi, come una pietra, finché siamo in guerra, risalirà alle nostre menti a guerra finita, e solo allora comincerà la resa dei conti sulla vita e sulla morte.

I giorni, le settimane, gli anni trascorsi in trincea ritorneranno, e i nostri camerati morti si alzeranno e marceranno al nostro fianco. Avremo la mente limpida e uno scopo; e così marceremo, con i nostri morti accanto a noi e con gli anni al fronte dietro le nostre spalle: ma contro chi, contro chi?"


Un insegnante, Kantorek, un nazionalista convinto, anziché riflettere sul senso della vita e sui valori fondamentali, incita i suoi studenti a partecipare da volontari alla Grande guerra. I suoi giovani studenti, presi dalla foga, si lasciano convincere e si arruolano. Kropp, Müller, Leer, Paul Bäumer (il narratore) sono cresciuti insieme tra i banchi di scuola e insieme decidono di vivere l'esperienza della guerra. In trincea conosceranno Tjaden, Westhus, Detering, Katczinsky, altri compagni, altri amici con qualche anno in più e con più esperienza militare sulle spalle. Presto, però, tutti loro si accorgono di quanto la lora vita sarà segnata dalla guerra e quanto la loro generazione sia fondamentalmente distrutta dal conflitto mondiale.

Insieme condividono il senso dell'amicizia vera, dell'essere parte di un gruppo in cui ognuno sente di essere qualcuno per l'altro, mentre chi ha voluto la guerra li considera come carne da sacrificare. Condividono anche la condizione del soldato al fronte, l'assurda disumanità dell'uomo che diventa cosa naturale. La morte è una presenza costante e uno a uno saranno tutti contagiati da lei. Sono fratelli che vivono lo stesso senso di morte, respirano la stessa aria di tragedia; giovani che si sentono vecchi. Tra azioni pericolosissime strisciando nel fango, con i pidocchi, con i topi, al freddo, sotto i bombardamenti, le urla dei compagni feriti, il micidiale gas asfissiante e tra momenti di stasi e di lunghi e snervanti ozi in attesa di mangiare qualcosa o di dormire su un po' di paglia, questi ragazzi diventano improvvisamente vecchi nel cuore e nella mente. Il racconto sulla licenza di Bäumer  è emblematico. Paul, a casa per due settimane, preferisce stare da solo che raccontare delle sue battaglie al fronte. Adesso ha altre battaglie da combattere: contro la normalità, contro la quotidianità, contro la giovinezza che ormai è svanita nella trincea. 

Ci sono opere che segnano profondamente l'animo di chi le scopre. Per questa è così, struggente per il cuore e per la mente. Un capolavoro che in fondo, nelle micidiali descrizioni della guerra, in cui si sentono davvero gli scoppi dei bombardamenti e si vedono davvero i corpi martoriati e senza vita di quei ragazzi affossati nel fango, è un esaltante inno alla pace.

17 feb 2021

Anche Kant amava Arancia meccanica - Giuseppe Pili (Saggio - 2019)

"Come si comprende bene da questa ricostruzione sommaria per temi, la violenza non cessa con la raffinazione dell'intelletto, la brutalità non diminuisce, ma si trasforma con la sofisticazione della mente. Tanto più il potere si accresce, tanto più le forme di violenza possibili diventano sofisticate, incisive e prive di umanità. L'intellettuale, il signor Dolin, e lo scienziato, il dottor Brodsky, indirizzati da una precisa necessità politica sono le due figure che più di qualsiasi altra cosa mostrano che l'essere umano non migliora di per sé con la conoscenza. Essi, piuttosto, sono come Alex, violenti e brutali, ma molto più sofisticati di lui".


I film di Kubrick, tutti capolavori, affascinano sempre per le loro immagini stupefacenti, per le musiche sconvolgenti, per la potente tecnica estetica, ma anche per i loro prepotenti messaggi filosofici. Messaggi profondissimi, totali, fondamentali; sull'uomo e sulla sua natura, sulla società che costruisce per mezzo della storia, sul rapporto tra noi e l'universo.

In questo interessante saggio, l'autore commenta le visioni filosofiche del geniale cineasta americano che aveva trasfigurato in immagini, suoni, dialoghi. Attraverso un'interpretazione organicistica della filmografia kubrickiana, l'uomo, l'oggetto principe della sua riflessione, è un miscuglio di sopraffazione, istinto, sessualità, ma anche di ragione, calcolo, al fine di trovare un monolite che possa un giorno dargli una speranza, una redenzione. Un uomo dunque antinomico, oscillante  tra istinto e ragione, spinto dalla pulsione sessuale, ma anche capace di costruire navicelle spaziali. Una visione antropologica in cui l'uomo si colloca tra Hobbes e Rousseau insomma.

Dal monolite apparso agli ominidi di 2001 ad Alexander DeLarge, passando per Spartacus, Barry Lyndon, la grande guerra, la guerra del Vietnam, la guerra atomica, la storia umana si sviluppa nella violenza della specie, ma con la consapevolezza che sia possibile dell'altro. Di costruire per esempio, in un percorso quasi hegeliano, famiglie, società civili, Stati, diritto internazionale. Ma sempre con un occhio che scorge contraddizioni. Basta pensare alle famiglie di Lolita, di Alex, di Barry Lyndon, alla famiglia di Shining, oppure alla coppia in Eyes Wide Shut. Uomini e donne che vivono in famiglie tutte a loro modo infelici e che si relazionano con una società malata in cui altre famiglie sono in competizione tra loro. 

Dopo questa interessante riflessione antropologica, sociale e storica, l'autore è convinto che se si dovesse accettare il tipo di filosofo che è stato Kubrick si dovrebbe pensarlo come il Kant del cinema, un illuminista che credeva nella ragione umana, nonostante tutti i suoi limiti.

Un saggio su cui riflettere, su cui tornare per provare a sintetizzare un complesso pensiero filosofico tradotto in estetica cinematografica.

9 feb 2021

Sylvie - Gerard de Nerval (Racconto - 1853)

"La melodia terminava a ogni stanza con quei trilli tremolanti cosi bene eseguiti dalle voci giovanili quando imitano con una specie di brivido modulato la tremula voce delle vecchie. E, mentre ella cantava, l'ombra scendeva dai grandi alberi e il chiaro di luna incipiente calava su lei sola, isolata dal nostro cerchio silenzioso e assorto. Poi ella tacque e nessuno osò turbare quel silenzio. Il prato era tutto avvolto di vaghi vapori condensati che deponevano i loro bianchi fiocchi sui fili d'erba. Ci sembrava di essere in paradiso"


Sylvie, Adrienne e Aurélie sono le tre donne che agli occhi del protagonista appaiono amori ideali. Sylvie è l'amica di infanzia, Adrienne è una ragazza che incanta il protagonista con la sua voce, Aurélie è un'attrice che incarna in qualche modo le abilità canore di Adrienne e la grazia di Sylvie. Tutte e tre si trovano sospese tra spazi di realtà e sogno che si intersecano indefinibilmente. Tutto è illusione, come in fondo l'amore ideale. Nel racconto ricordi ed emozioni si intersecano, si sovrappongono, così come si sovrappongono suoni e motivi.

La storia inizia a teatro, a Parigi. Qui il giovane protagonista si innamora di un'attrice, Aurélie, che di notte sogna nel dormiveglia. Qui, in questo sogno che in realtà è più un ricordo, appare Sylvie, l'amica di infanzia già suo primo amore. Inizia a desiderarla e decide di cercarla sempre nei suoi sogni, nei suoi ricordi di infanzia a Valois. Gli appare Adrienne che con la sua voce incanta il giovane e Sylvie piange di gelosia. Dall'affiorare di questo ricordo decide di andare a trovare la povera Sylvie che non vedeva da anni. Con lei ormai non più bambina, bella, tra i vari villaggi, i boschi, le atmosfere di campagna e i ricordi antichi vive momenti di serenità e a tratti anche di euforia, fino a quando non capisce che Sylvie è come una sorella. I giorni passano e i suoi pensieri si distraggono da lei mentre ritornano ad Aurélie e a Parigi. Dopo un viaggio in Germania il giovane rientra nella capitale francese e qui finalmente conosce l'attrice. Tra i due sembra maturare un sentimento d'amore, tanto che il giovane l'accompagna nei suoi tour. Ma anche questo amore è fatto di illusione e si dissolverà quando il ragazzo le racconta di Adrienne e della sua voce. Così, illuso e disilluso, dopo che è ritornato nei suoi amati villaggi, in compagnia di Sylvie che ormai si è sposata, si ricorda di una loro vecchia conversazione in cui realizza che Adrienne era morta qualche anno prima.

Siamo di fronte a un racconto in cui le tre donne sono come dei fantasmi, eteree e sognanti, come il modo di amare del giovane intellettuale parigino. In questa vana ricerca di felicità, solo i ricordi si fanno materiali, corporei, carnali.

Capisco perché Proust e Umberto Eco abbiano ammirato questo racconto.

7 feb 2021

Proust e la filosofia contemporanea - Anne Simon (Saggio - 2004/09)

"Una delle cause più illusorie della cristallizzazione proustiana sta nel fatto che le donne sono desiderate oltre che amate, perché in loro, nella tessitura stessa della loro carne, si tratteggia ora un mondo sognato, ora una regione dove il narratore ha lasciato una parte di sé, oppure un paesaggio proibito. Così queste donne, con lo scorrere dei giorni, fra una rottura e un incontro, finiscono per incarnare temporalità diverse. Il corpo diventa un vasto e globale organo dei sensi, anche un organo del senso temporale".


In questi quattro saggi che affrontano gli affascinanti nodi che legano la creazione letteraria e quella filosofica nell'opera di Proust, la Recherche è letta nei diversi approcci filosofici in cui è stata recepita nel corso del Novecento. In particolare l'autrice raffronta il pensiero di Husserl alle scoperte del soggetto proustiano, si sofferma sulle divergenze interpretative di Ricoeur e quelle post fenomenologiche di Merleau-Ponty, ma guarda anche a Roland Barthes che vede in Proust un suo alter ego, a Sartre che invece ne scova un nemico di famiglia, a Deleuze e all'idea del romanzo come risorsa per la filosofia, oppure a Foucault convinto che la parola proustiana solchi strade e discorsi indefiniti.

Husserl e Proust sono più che lontani nella loro visione del mondo e dell'io. Il primo, infatti, descrive la coscienza come trascendentale, logica, fuori dal tempo. Per il secondo, invece, l'io è incarnato in un corpo di sensi e di temporalità. Eppure le domande che i due si pongono sono simili: il soggetto, il tempo, la coscienza, gli altri. Inoltre in Proust all'io si accede per mezzo di una specie di ascesi in cui il mondo e tutti i desideri sono messi in parentesi, come in qualche modo è in Husserl (e anche in Cartesio ovviamente).

Anche Ricoeur pensa che il racconto sia possibilità di stabilizzazione dell'identità del soggetto. Intravede nella metafore di Proust la conferma della sua idea secondo cui la metafisica è viva ed esprime davvero la realtà nella sua complessità, una realtà che poi dovrà essere concettualizzata dalla filosofia. In modo opposto, però, Proust sostiene che la polimorfica realtà può essere descritta anche e soprattutto in un'opera d'arte.

Merleau-Ponty sembra il più vicino alle posizioni dello scrittore parigino. Sembrerebbe che secondo loro, dal carattere carnale della produzione di senso del soggetto ne segue l'impossibilità di un pensiero puro. Nelle descrizioni proustiane il filosofo è convinto quanto il romanziere e quanto la filosofia siano in relazione con il mondo. In questa cornice diventa interessante l'analisi che Merleau-Ponty pone tra il paesaggio in generale e il corpo della donna che nello scrittore francese diventa a sua volta paesaggio.

Ciò che più emerge da questa lettura è quanto Proust, nell'osservare la relatività del rapporto con il tempo, con lo spazio, con gli altri, l'inconscio, la sensazione, il corpo, sia un anti idealista per cui la verità non coincide mai con la metafisica. È uno scrittore del soggetto, introspettivo, psicologico, anti spiritualista, post fenomenologico, carnale. Il soggetto per lui è incarnato nel mondo, è vittima di un tempo complesso, non lineare; è uno zimbello del divenire, dell'oblio, ma anche della memoria. Un soggetto quindi che si fa multiplo, labirintico, sfuggente, instabile, che lentamente si costruisce con l'azione, più nello specifico con l'azione della scrittura.

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