Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

31 dic 2020

Saggezza - Michel Onfray (Saggio - 2019)

"Il fatto di non mettere al mondo dei figli non rientra nel campo dell'egoismo o dell'individualismo, ma, al contrario, in quello dell'altruismo, perché si tratta di evitare di infliggere dolore e sofferenze ad altre persone, salvaguardandole in maniera un po' radicale dalla negatività del mondo ed evitando, visto che è possibile, che ad essa debbano essere esposte; basta far funzionare la propria ragione e la propria intelligenza".


Ultimo capitolo della trilogia Breve enciclopedia del mondo, dopo Cosmo e Decadenza Onfray descrive adesso un modello propositivo a cui ispirarsi, e nel farlo guarda al passato, alla storia romana, alla sua grandezza, alla sua saggezza appunto. Maestri di vita, i Romani, diversi dai metafisici Greci, hanno guardato alla vita e alla carne con praticità, guardando alla terra e non al cielo o ai dietro mondi o agli ultra mondi. Sono esempi fatti di sangue, di corpo, di muscoli. Diviso in tre parti, la prima è dedicata al sé e a come vivere una vita degna di essere vissuta, senza paura della morte, ma accettandola per quella che è: una notte, un sonno senza sogni, la decomposizione di atomi che si ricompongono in altri composti. La seconda parte è dedicata agli altri, a una morale altruistica. L'ultima sezione, invece, è dedicata al mondo, all'ecologia, alla responsabilità verso la natura. Onfray sostiene, quindi, che bisogna avere cura di noi, di ciò che amiamo, della natura e affrontare così il dolore della vita, la vecchiaia, il tempo, la morte; un modo per saper vivere e quindi saper morire. Sapere è dovere, com'è doveroso amare i propri amici ed è doveroso saper morire. Plinio il Vecchio, che è vissuto ai piedi del Vesuvio, è esempio di vita filosofica, capace di vivere di curiosità, di affrontare serenamente l'eruzione del Vesuvio, di aiutare gli altri, di morire. Sono esempi anche Quintiliano e la sua arte del pensare, della retorica; Plinio il Giovane e il suo otium epicureo, Muzio Scevola e la sua stoica sopportazione del dolore e poi ancora, tra gli altri, Catone, Attilio Regolo, Lucrezio, Lucrezia, il greco romano per adozione Plutarco. Perché avere cura di noi significa anche avere cura degli altri e il primo passo da compiere, il primo atto d'amore, sarebbe, prima di tutto, non mettere al mondo dei figli. Solo chi non pensa seriamente può pensare che la procreazione sia un dono. Ma significa anche amare veramente, come Tiberio Gracco amò sua moglie. Significa amicizia vera, come quella di Volumnio e Lucullo.

Una specie di controstoria della storia romana, dunque, in cui trovano spazio degno di memoria uomini e donne dignitosi di essere ricordati; magari figure minori, ma almeno coerenti e giuste (a differenza dei vari Cicerone e Seneca che dell'incoerenza e dell'ingiustizia sono stati alti maestri).

È, insomma, l'esaltazione della filosofia stoica, la filosofia della sopportazione, ma nelle vesti più sobrie e pragmatiche del carattere romano. In questa accezione, risultano toccanti i fugaci ricordi che Onfray dedica a suo padre, il contadino che guardava alla terra, che viveva di semplicità e che ricorre in tutta la trilogia. Un uomo saggio, coraggioso, quel coraggio romano, precristiano e annientato dal nichilismo cristiano; in breve, un libro per costruire una nuova idea di società, per un post cristianesimo che possa nascere dalle sue stesse ceneri.

26 dic 2020

Una visita a Beethoven - Louis Philippe Joseph Girod de Vienney (Saggio - 1843)

"Provate a immaginare quanto di più sporco e in disordine ci possa essere: pozze d'acqua sul pavimento; un vecchissimo pianoforte a coda su cui la polvere si contendeva pezzi di musica manoscritta e stampata. Sotto (non invento niente) un vaso da notte pieno. Di fianco, un tavolino in noce, abbinato al fatto che ciò che portava fosse spesso rovesciato; un mazzo di penne incrostate d'inchiostro a confronto delle quali le proverbiali penne degli alberghi avrebbero fatto un'ottima figura; e ancora della musica. Le sedie, quasi tutte di paglia, erano ricoperte di piatti con i resti della cena della sera prima, di abiti, ecc. Balzac o Dickens saprebbero continuare questa descrizione per almeno altre due pagine e altrettante ne impiegherebbero per descrivervi l'aspetto e il vestito dell'illustre compositore; ma poiché io non sono né Balzac né Dickens, mi fermo qui: ero in casa di Beethoven".


Il barone Vienney, poi divenuto barone di Trémont sotto Napoleone, amante della musica, mecenate e fine cultore delle belle arti, ebbe modo di incontrare Beethoven più volte a Vienna. Ebbe anche la fortuna di conoscere i più grandi musicisti romantici come Chopin, Liszt, Cherubini, Berlioz, eppure l’affetto che lo legò al compositore tedesco rimase indelebile, e le sue parole lo dimostrano. Nel 1809, con l'occupazione di Vienna da parte delle truppe napoleoniche, avvenne il primo incontro tra i due. Un incontro non programmato, ma cercato dal barone francese che, stranamente, fu accolto amichevolmente dal burbero Beethoven. Sin da subito il genio della musica ebbe una forte curiosità nei confronti di Vienney, tanto che i due si videro altre volte, divennero amici e progettarono persino un viaggio, poi mai concluso, a Parigi.

Le pagine sono cariche di ammirazione; il ritratto che emerge è emozionante; tuttavia il resoconto del barone è celebre soprattutto per la descrizione del disordine in casa di Beethoven, per quel vaso da notte non vuotato, dimenticato sotto il pianoforte, il giorno della sua prima visita. Vienney ci lascia anche una descrizione dell'aspetto e dell'umore (lo sappiamo: un orso) di Beethoven, ma ci lascia anche l’emozione e la sua forte fierezza dopo l'incontro con il genio della musica.

Il ricordo si conclude con una breve biografia di Beethoven che nulla aggiunge a quanto si sappia, ma che dimostra ancora una volta quanta riverenza ci sia nelle parole del diplomatico francese nei confronti del sublime compositore.

Insomma, una piccola chicca per i cultori della straordinaria musica di Beethoven.

9 dic 2020

Come Proust può cambiarvi la vita - Alain de Botton (Saggio – 1997)

"È ormai evidente che la gravità delle disgrazie di Proust non può che confermare la validità delle sue idee. Difatti, è proprio l'enormità della sua sofferenza che noi dovremmo prendere come prova nella sua acutezza. È quando sentiamo che l'amante di Proust morì in un incidente aereo al largo della costa di Antibes, che Stendhal sopportò una serie di strazianti passioni non corrisposte e che Nietzsche era reietto dalla società e deriso dagli scolaretti che possiamo essere certi di aver scoperto delle valide autorità intellettuali".


La tesi di fondo di questo intelligente e piacevolissimo saggio è che Proust sia un modello, un archetipo in grado di esaltare gli aspetti di felicità che si trovano nascosti nelle oscure pieghe della sofferenza e dell'abitudine. Dalla sofferenza, infatti, il gigante scrittore francese ha tratto quasi paradossalmente dei vantaggi (ricerca di sé, del senso di una vita che si esprime tra due nulla, dell'amicizia, dell'amore...) e attraverso un'analisi particolareggiata e profondamente sensibile del suo dolore fisico ed esistenziale ne è venuta fuori un'opera sublime e assoluta: la Recherche. In effetti questo sommo capolavoro ci indica prepotentemente, tra le altre cose, quali siano le cause che si celano nella perdita del tempo. Quanto tempo perdiamo nella nostra vita? Quanto spazio diamo alla routine, rassicurante sì, ma spesso capace di abbruttirci e mummificarci?

Per mezzo di un attento sebbene complesso e complicato profilo psicologico di Proust, sofferente di una sofferenza fisica e caratteriale che lo ha reso saggio e che l’ha aperto all'intelligenza e all'immaginazione, riusciamo a comprendere quanto universale siano le sue debolezze e le sue problematiche. Il dolore gli ha permesso di comprendere la realtà, la stessa realtà che quotidianamente si dipana nelle nostre vite. L'arte coinvolge la nostra esistenza e i romanzi che leggiamo sono connessi con la vita e le nostre esperienze personali. Inoltre hanno il vantaggio che il loro racconto sia descritto meglio di quanto noi non abbiamo fatto dentro la nostra mente e ci conducono così a intuire in modo più raffinato chi siamo.

Con il tipico humor inglese, sottile e a tratti illuminante, attraverso Proust e le sue parole l’autore ci lascia una lettura davvero acuta, piacevole e riflessiva.

4 dic 2020

La domenica di Bouvines - Georges Duby (Saggio – 1973)

"Qui stanno per essere troncati di colpo, fra mezzogiorno e le cinque del pomeriggio, i nodi più stretti degli intrighi politici che, da qualche tempo, s'intessono in Europa. Rancori e cupidigie di capi di bande, passioni personali, affari di famiglia, ripudi, adulteri, affronti mal digeriti, promesse non mantenute, amicizie tradite, sete di arraffare, di superare gli altri, di mettersi un rivale ai piedi per la soddisfazione di rialzarlo con aria bonacciona, sono i veri moventi di questi conflitti. I quali per l'interesse di una stirpe, di una casa, di un patrimonio, aizzano gli uni contro gli altri uomini iracondi e scaltri, avidi e munifici, che, fin dall'infanzia, da quando sono usciti dal mondo delle donne, si affrontano ovunque in continua competizione. Bouvines è veramente prima di tutto un duello fra gelosi, venuti lì per il piacere di azzuffarsi".


Il 27 luglio 1214, una domenica, il giorno del Signore, la tregua di Dio da non macchiare con il sangue della guerra, si è combattuta una delle più importanti battaglie della storia medievale, e non solo. Nella piana di Bouvines, tra Lille e Tornai, circa 15000 uomini, tra fanti e cavalieri, si scontrarono quella domenica. Da un lato le truppe del valoroso re di Francia Filippo Augusto, dall’altro quelle dell'imperatore germanico Ottone di Brunswick, al cui seguito troviamo lo spregiudicato e capriccioso re di Inghilterra Giovanni Senzaterra. Ma c'è anche Papa Innocenzo III nascosto nelle pieghe della battaglia, in aperto conflitto politico con l'imperatore già scomunicato e al fianco di Filippo. Dallo scontro tra il bene e il male, come dipinto dalle cronache dell’epoca, ne uscì vittorioso il francese e la sua idea di monarchia nazionale. Quella battaglia, quindi, è un piccolo mondo storico che, sezionato con l'acume e lo stile di Duby, diventa paradigma di un'epoca e di una società. Il Basso medioevo è rievocato magistralmente in tutti i suoi aspetti: sociali, economici, militari, e in quel sottofondo si staglia la battaglia intesa come liturgia, con i suoi riti, con le sue regole, con la sua riflessione sulla guerra, sui soldati, sul denaro, sulle armi.

Duby, che cerca una corrispondenza tra il fatto in sé e il suo significato, si serve come fonte della cronaca di Guglielmo il Bretone, testimone oculare al seguito di Filippo, di cui riporta l'intero testo. Ovviamente le parole di Guglielmo sono di parte; dal lato francese, infatti, leggiamo di cavalieri leali e valorosi, dal lato tedesco, invece, di soldati, soprattutto i fanti, diabolici, sovversivi dell'ordine sociale voluto da Dio.

La scrittura e la dimensione artistica del saggio conferiscono al lavoro dello storico un’universalità che si traduce in resistenza, in un classico della letteratura che ogni amante della storia dovrebbe leggere.

1 dic 2020

Furto di filosofia, furto di democrazia - Dario Antiseri (Saggio - 2019)

"E un sistema formativo che proibisca a un giovane lo studio della filosofia è un sistema che defrauda questo giovane delle cose più importanti prodotte nella storia dell'uomo. Si è più poveri senza formazione scientifica o senza gli strumenti per la fruizione delle opere d'arte; si è più poveri e si rischia seriamente di essere meno cittadini senza la consapevolezza critica che uno studio serio della storia delle idee filosofiche è in grado di offrire".


In questo piccolo opuscolo si tesse l’elogio della filosofia e del suo studio nelle scuole, auspicabilmente in tutte le scuole superiori. Lo sappiamo, ne siamo sicuri, la filosofia dà consapevolezza, dà senso critico e civico, ci permette di leggere il mondo che ci circonda e non permettere il suo studio equivale a un furto formativo. Questa, in sintesi, è la condivisibilissima tesi dell’autore. Se il primo capitolo, il più interessante e da leggere a tutti gli studenti di filosofia, è dedicato al perché bisogna studiare filosofia, e anche al perché le inevitabili, irriducibili teorie filosofiche possono in alcuni casi essere devastanti per la vita di una società, nel secondo capitolo sono trascritte due interviste che Reale (su cui l'autore ci lascia un sentito ricordo) ha fatto a Gadamer in cui si racconta dell’influenza che il filosofo tedesco ha avuto di Platone e della sua dimensione religiosa. Capitolo dunque che inserisce Gadamer dentro quel filone ontologico che da Platone, passando per Leibnitz e per Hegel arriva fino ad Heidegger. Nel terzo, Agassi, allievo di Popper, e Antiseri discutono di scienza, della sua storia, della sua relazione con la metafisica. Infine nel quarto capitolo, sempre Antiseri dialoga ancora con Reale sulla storia della filosofia (in particolare facendo riferimento al loro manuale scolastico) come storia dei problemi, delle teorie e delle dispute tra filosofi, di Platone totalitario e dell'importanza della fede.

Certo, alcune idee metafisiche e religiose che qua e là costellano i vari capitoli fanno storcere il naso; resta, tuttavia, il significato più bello sul senso della filosofia.

29 nov 2020

Dio e il nulla - (AA. VV. - Saggio 2019)

"Secondo Cioran, infatti, sarebbe stato meglio non essere mai stati, non essere mai nati e pertanto non aver mai conosciuto la disavventura, il disonore e la vergogna di essere stati gettati nel mondo, nella vita e nella storia. Questa è la colpa di Dio (qualora un Dio esistesse, qualora vi fosse un Dio): aver creato un mondo osceno, corrotto, obbrobrioso (il peggiore dei mondi possibili), impregnato di male e in cui l'uomo è vittima sacrificale, un martire innocente immolato sulla croce del Tempo".

A cura di Antonio Di Gennaro e Pasquale Giustiniani, questa raccolta di saggi, frutto di un convegno tenutosi a Napoli nel 2017 e cofinanziato anche dalla CEI, è dedicata alla "religiosità atea", come da sottotitolo, di Emil Mihai Cioran. Sappiamo che la dimensione religiosa è costante e centrale nella riflessione di Cioran. Agli antipodi rispetto al dio dei dogmi delle varie confessioni religiose, Cioran è uno scettico, un tragico, un monaco sui generis che ha lottato per tutta la vita contro un Dio funesto, maledetto, infimo. Il pensatore rumeno, lo sappiamo, è un credente, nel senso che crede nel nulla. Paradossalmente mistico, inquieto nella sua religiosità senza religione, accecato dal vuoto, è un filosofo vicino alla teologia negativa del mistico Meister Eckhart, in cui Dio e il nulla coincidono. Ossimorico, un teologo ateo, preda del male di vivere e dalla consapevolezza di essere caduto nel tempo e nella Storia, vorrebbe che Dio esistesse per insultarlo e accusarlo di aver creato il mondo e quindi il male. È la disperazione, il dolore, che lo porta a pregare un Dio non esistente, un Dio che non può consolare e che almeno dovrebbe ammettere il suo errore: la creazione.

28 nov 2020

Il vento attraversa le nostre anime - Lorenza Foschini (Saggio - 2019)

"Lontani da occhi indiscreti, dalle famiglie, dall'invadenza di Madame Lemaire, dalle mondanità di Parigi, Marcel e Reynaldo vivono il loro amore senza timore di dare scandalo, sotto lo sguardo ingenuo e benevolo degli abitanti del villaggio, dei contadini, degli ospiti della piccola pensione".


È il 1884 quando fiorisce ed esplode l’intensa storia d’amore tra Reynaldo Hahn e Marcel Proust. Una storia omosessuale che, sebbene clandestina, è sotto gli occhi di tutti e da tutti in qualche modo accettata. All'epoca Hahn è un ventenne prodigio musicista, ma già malinconico e pessimista. Proust, invece, di anni ne ha 23 ed è un assiduo frequentatore di salotti parigini. Sono giovani, ma già vestono le loro anime di inquietudine e di un’estrema sensibilità. I due sono appassionati, felici. Tuttavia, presto, la loro felicità si sgretola in momenti di assillante gelosia da parte di Marcel; gli stessi scatti che poi saranno raccontati nella Recherche, soprattutto nel capitolo dedicato all'amore travagliato di Swann e di Odette. E non è un caso che la storia tra i due giovani amanti, sul cui sfondo riecheggia la Parigi della Belle Époque e la divertente amicizia tra Proust e Lucien Daudet, si esaurirà nel giro di due anni. È un amore che però non si interrompe brutalmente, ma si trasforma, muta e diventa vera amicizia; fraterna amicizia interrotta solo dalla prematura morte di Proust.

Il racconto di questo appassionante legame, che si legge come un romanzo, è stato possibile grazie alla ricostruzione che l’autrice ha fatto del carteggio dei due ragazzi (almeno per la parte sopravvissuta alla censura delle famiglie) e per mezzo di una rilettura della Recherche. Emerge limpidamente la passione dell'autrice per il genio di Proust e questo volume, in qualche modo, ne rappresenta un suo sentito (e apprezzabilissimo) omaggio.

15 nov 2020

Favola del castello senza tempo - Gesualdo Bufalino (Racconto - 1998 prima edizione)

 

"Atropo è il mio nome, il mio reame sono le contrade della Notte. Onnipotente fino a ieri e terribile all'intero universo. Poiché dalla mia bocca spandevo un respiro micidiale e avevo mani maiuscole, da soffocare ogni respiro altrui. Sovrana dovunque, ma da un solo luogo respinta come lebbrosa, ch'è il Castello Senza Tempo..."


Vera e propria favola per bambini, in questa bellissima e preziosa edizione illustrata da Lucia Scuderi, Bufalino ci regala un unicum nella sua produzione. Unicum, però, che non smentisce la sua poetica, ma anzi ne marchia ancor di più la cifra stilistica. Simbolica, onirica, colta (e quindi post moderna nella possibilità di essere letta sia da un bambino - accompagnato da un adulto -, sia da un adulto stesso), il lettore incallito di Bufalino non farà fatica a ritrovare echi e atmosfere delle opere precedenti, specialmente di Diceria.

Il protagonista è Dino; lo stesso Bufalino, come spesso lo scrittore si firmava. Dino è un ragazzo coraggioso che durante una passeggiata si imbatte in una farfalla con una strana macchia sul dorso dalla forma di un teschio umano. È la falena Acherontia Atropus, il cui nome deriva da Acheronte, uno dei fiumi che porta le anime nell'aldilà, e deriva anche da Atropo, la Moira che ha il compito di recidere il filo della vita filato da Loto e fissato da Lachesi che ne stabiliva le sorti. La farfalla, dopo essere stata catturata, invita il giovane protagonista ad aiutarla e a seguirla fino a un castello i cui abitanti sono vittime di un maleficio. È il castello senza tempo, il palazzo degli immortali per cui Atropo (la morte), trasformata in farfalla da un gigantesco guardiano immortale a difesa della dimora, non può far nulla. Sono i suoi stessi abitanti, condannati da un Dio solo ed eterno, che bramano la morte. Dino quindi, grazie al suo coraggio e alla sua innocenza (virtù che si perdono con l'età...), raggiunto il castello e ingannato il guardiano con tre parole magiche suggeritegli dalla farfalla, riuscirà a sciogliere il maleficio. Riesce infatti ad addentrarsi nelle stanze e nei giardini del palazzo dove troverà i condannati che vogliono che il tempo li trafigga. E così la farfalla Atropo può entrare e liberare gli immortali del castello e consegnarli alla vecchiaia e quindi alla morte.

Saramaghiano antelitteram, questa favola ritorna a riflettere ancora una volta sul tema assoluto e fondamentale della morte come liberazione. La processione del tempo è inesorabile, così come il suo esito, e non accettare la morte equivale a vivere una vita di paura e immobilismo. L'immortalità dunque, le lancette dell'orologio ferme, non è senso, non è vivere. È persino peggiore della vecchiaia e della morte stessa, eventi inesorabili che però almeno danno significato in quel gioco dei contrari tanto amato dai Greci. Una vita che nella sua luce, fatalmente e irremovibilmente, deve lasciare spazio all'ombra, al lutto.

Bellissima poi l'ultima pagina della favola dedicata a Dino e alla sua avventura...

12 nov 2020

Il coccodrillo di Aristotele - Michel Onfray (Saggio - 2019)

"Si dice che abbia inventato la soggettività moderna: e cosa ha fatto invece l'amico di La Boétie? Lo si considera il padre del razionalismo moderno; ma come ci si può fidare di un uomo che crede nella ragione e allo stesso tempo in Dio? Di un uomo che dubita di tutto tranne che della religione del proprio re e della propria balia e che per questo motivo risparmia i propri colpi al cattolicesimo? Di un uomo che ritiene che comprendere cosa significa Dio quando ne parliamo è già una prova della sua esistenza (la cosiddetta prova delle idee innate, idee che solo lui può averci messo in testa) e non invece una prova dell'esistenza di gente che ci inculca credenze come quella?"


Trentatré tele, una più bella dell'altra, per altrettanti filosofi che raccontano nei particolari la loro visione del mondo. In un'immagine il pittore riesce a condensare il più possibile una visione filosofica. Ecco allora un oggetto, un dettaglio, un simbolo che aprono scenari interpretativi, che mirano al significato, al senso dell'opera. È l'analogon della fenomenologia, il particolare che riassume tutto il senso dell'opera. Una specie di sineddoche pittorica insomma. Dipingendo un'idea, la pittura si può permettere efficacemente di riassumere tutto un sistema filosofico. Onfray, con la sua cultura e la sua passione, ci accompagna in un viaggio tra capolavori artistici che ci illuminano con colori e figure sul pensiero di straordinari filosofi, da Pitagora fino a Derrida.

Naturalmente in questo libro di estetica e di storia della filosofia emerge tutto lo spirito polemico ed ironico di Onfray verso quei pensatori colpevoli di essersi allontanati dalla verità della materia. Quindi ci troviamo di fronte a scontri epocali come per esempio tra Democrito e Platone, tra Epicuro e Agostino, tra Montaigne e Cartesio, tra Proudhon e Marx.

Un volume di facile lettura, divertente, per la riflessione e anche per il piacere degli occhi.

1 nov 2020

Il libro della musica classica - A.A. V.V. (Saggio - 2019)

 

"Possedeva molti violini, fra i quali alcuni del liutaio cremonese forse più noto e più evoluto sotto l'aspetto tecnico di quel periodo: Antonio Stradivari. Una malattia cronica, che oggi si ritiene fosse la sindrome di Marfan, rese il violinista longilineo e macilento. Molti contemporanei sostenevano che, in cambio del suo talento, avesse stretto un patto con il diavolo"


In modo cronologico, dal 1000 all'epoca contemporanea, si dipanano i vari elementi della musica occidentale che hanno dato origine ai vari generi musicali. Ovviamente sono descritti sommariamente le vicende biografiche di quei compositori che con le loro opere hanno rivoluzionato la storia della musica. Ci sono alcuni approfondimenti su brani epocali che mostrano come sia progredita la composizione fino ai giorni nostri. Ricco di schede, non mancano i contesti storici e culturali (le pagine che più ho apprezzato) in cui questa evoluzione si è prodotta.

Insomma, un bel modo di ripassare la storia della musica e, perché no, per riscoprire e scoprire alcune importanti chicche. Grazie!

8 ott 2020

Il laboratorio giovanile - Vitaliano Brancati (Racconti - 1929/34)

 

"Nei meriggi di luglio, quando Catania, coi suoi arsi palazzi, pare un immenso gregge assetato che scenda verso il mare, il professor Trampolini suole passeggiare su quel tratto di via Etnea che corre lungo i cancelli del giardino Bellini.

Il marciapiede, tutto scuro nell'ombra degli alberi, è come una riva di vento e di frescura sull'immensità dell'abbaglio solare.

La città cuoce nel sole. L'acqua bolle dentro gli aerei canali di acciaio. La luce sulla lava pare fermenti.

In uno di questi meriggi, Trampolini, come al solito, passeggiava sul marciapiede inombrato"


La raccolta raccoglie tutti i racconti di Brancati divisi in sezioni cronologiche. In questi primi racconti, sebbene ancora a tratti acerbi, si trovano già tratteggiate quelle caratteristiche di umorismo, di ironia, di realismo che saranno la stella polare del giovane scrittore aretuseo. Sono storie di malintesi, come quella del Quasi cieco dove Trampolini si imbatte in una donna alle soglie del giardino Bellini, che idealizza e sogna, salvo poi scoprire essere una cortigiana; di noia; di tempo fugace; di felicità inafferrabile come nel Punto oscuro in cui il protagonista vive nel rimorso di un appuntamento volutamente mancato con una ragazza bellissima. La donna è un'ossessione nell'opera di Brancati, è al centro di tutto e l'erotismo ne è una chiave di lettura. Le donne sono viste attraverso la lente della sensualità, la sensualità dello sguardo che indaga e dà voce ai pensieri. Gli altri aspetti della femminilità quando vengono accennati rimangono spesso in superficie e si ha la sensazione che la prospettiva inizi dagli occhi dell'uomo (e quindi da un pregiudizio?). Altro tema significativo è quello della ricerca di una vita tranquilla, di una routine che possa armonizzare e dare senso alle giornate e allo scorrere del tempo. Il tempo che scorre, infatti, il tempo che con il suo incedere inesorabilmente si dirige alla vecchiaia e infine alla morte, insieme alla donna, è l'altro grande tema presente in questi racconti.

Sono racconti studio, racconti di ricerca. C'è molto spazio per le riflessioni più che per le azioni, e il giovane Brancati sa intelligentemente come si fa, nonostante non sempre riesca ad incollare alle pagine il lettore. C'è da aggiungere anche che l'uso della parola è già raffinato e sicuro, sebbene siano scritti giovanili.

23 set 2020

Una donna - Sibilla Aleramo (Romanzo - 1906)

"Certe sere, tutti se n'andavano lasciandomi sola: portavo il bimbo a letto e poi mi affondavo in un seggiolone di paglia nel giardino. La cupa volta cosparsa di mondi silenziosi attraeva il mio sguardo magneticamente; ma il mistero dell'universo non mi tentava, in quell'ore: un'angoscia umana, precisa, incalzante, mi possedeva intera; l'amarezza senza nome della mia solitudine, il vago timore di una morte possibile, prossima, lì tra quella gente ostile e straniera, senza aver lasciato traccia nella mia anima... Tanto spazio di cielo, ed io incatenata, curva sotto un giogo spietato, non capace più che di un lento pianto..."


Scritto in prima persona, è il racconto intimo e autobiografico di una donna che, dalla fanciullezza alla maturità, lentamente prende consapevolezza del suo stato di sottomissione nei confronti del marito e della società. Una consapevolezza, in un crescendo di maturazione esistenziale, che porterà la protagonista, attraverso un immane sacrificio, alla conquista della sua dignità. Dopo una fanciullezza di libertà e di gioia, in cui è intenso e tipicamente freudiano il rapporto con i genitori (pieno d’amore per il padre e ambivalente verso la madre), la quindicenne è costretta a lasciare gli studi e a sposare un uomo che l'aveva violentata, rubandole gli anni dell'adolescenza e della spensieratezza. Con un bimbo appena nato quindi, è reclusa in una prigione matrimoniale fatta di oppressione, di insensibilità, di rozzezza; destinata, come tante donne, a una vita di rassegnazione. È inevitabile che la giovane donna, a seguito delle ripetute violenze fisiche e psicologiche del marito, caduta in depressione, abbia tentato il suicidio. Ma l'amore smisurato verso il figlio, la passione per la scrittura e il trasferimento a Roma le daranno una parvenza, seppur fugace, di equilibrio e di indipendenza. Ma quando sarà costretta a ritornare nell'ormai odiato paese, i continui tradimenti e i feroci litigi con il marito la porteranno alla necessaria e anche alla più dolorosa decisione  che possa prendere una donna: scappare da tutti e da tutto, abbandonare luoghi e affetti, perdere persino l'amato figlio. E ritrovare così la libertà e l'ordine in sé. 

Con uno stile davvero avvincente ed emozionante, mentre la ribellione monta e dà forza a una donna che vuole solo riconquistare il suo ruolo e il suo ideale di libertà e felicità, leggiamo un libro dal forte sapore femminista che sarebbe utile, ancora oggi, assaporare e poi ricordare. 

19 lug 2020

Leggendo Lucrezio - Albert Einstein (Saggio - 1924)

"L'obiettivo principale che Lucrezio si propone col suo poema è di liberare l'uomo dalla paura che suscitano religione e superstizione e che ci rende schiavi; una paura alimentata e sfruttata dai sacerdoti per i propri interessi".

In questa concisa ed essenziale prefazione al De rerum natura di Lucrezio, Einstein non è morbido nei confronti del poeta e filosofo romano. Certo, Lucrezio non ha la conoscenza della fisica moderna, ma il premio Nobel per la fisica non può non rivolgere al poeta dure critiche verso una visione del mondo ormai superata. Eppure, nonostante l'apparente tono severo, si nota un certo grado di rispetto verso un poeta che ha cercato di liberare l'uomo dalle paure prodotte dall'ignoranza.
Il volumetto è corredato da un breve saggio di Ugolini sul rapporto tra Einstein e Lucrezio e anche su Einstein e Diels, il grande filologo dei presocratici che aveva curato la traduzione del poema di Lucrezio.

18 lug 2020

La memoria rende liberi - Enrico Mentana, Liliana Segre (Saggio - 2015)

"Arrivati ad Auschwitz, vedemmo i prigionieri che erano in lager già da un po' raccogliere le nostre cose e accatastare i bagagli, mentre i soldati ci ispezionavano. Fummo separati, uomini e donne, e io nei miei tredici anni spauriti, non conoscendo nessuna lingua straniera, senza capire dove mi trovavo e che cosa mi stava succedendo, io, senza saperlo, lasciai per sempre la mano del mio papà".


Nel 1938, con l'approvazione delle fasciste leggi razziali, l'Italia si è macchiata di un crimine vergognoso agli occhi della storia e dell'umanità. Liliana Segre, orfana di madre, ha nel padre, nel suo amore smisurato, tutta la dimensione della famiglia. Ha allora otto anni e da quel momento, senza alcun senso ma solo perché di origine ebraica, inizia una violenta discesa verso l'inferno che la porterà, insieme alla sua famiglia, ad Auschwitz-Birkenau. Da quel lager, alla fine della guerra, tornerà sola, in un'Italia distrutta da ricostruire. Il racconto, però, non si limita al ricordo dell'incredibile esperienza di Auschwitz, ma si sofferma anche sulla terribile marcia della morte, sul ritorno alla indigeribile banalità della vita borghese, sulla scoperta rivoluzionaria dell'amore e il matrimonio con Alfredo, sulla nascita dei figli, sulla depressione che ha spinto una non più giovane Liliana a testimoniare la sua esperienza di sopravvissuta e il suo stupore di fronte al male che gli uomini riescono a fare ai suoi simili; si sofferma, infine, sulla sua personale ricerca di senso verso una crudeltà che non può averne. 
Il giornalista Mentana raccoglie i ricordi della vita interrotta di una bambina nella Shoah, come recita il sottotitolo, in un libro lineare, semplice, diretto che ancora una volta ci obbliga a riflettere sulla nostra identità, sulla natura ambivalente dell'uomo, capace di amore e di odio anche senza un perché.

12 lug 2020

Il d'Holbach dell'ultimo Leopardi: tra materialismo e pessimismo - Paola Villani (Saggio 1996)

"È, quest'ultima [Il Buon senso], l'opera del Barone che sicuramente Leopardi lesse, e dalla quale trasse numerosi spunti. La principale prova holbachiana per la confutazione di ogni deismo o teismo è l'esistenza del male nel mondo: la creatura più perfetta di questo ipotizzato Dio, cioè l'uomo, è soggetto ad ogni sorta di imperfezione, e soprattutto non votato alla felicità, come invece dovrebbe accadere a colui per il quale tutto è stato creato".


Tra il 1823 il 1824 Leopardi approda a una seconda fase filosofica. Dopo quella illuministica, il poeta si spinge sempre più radicalmente nelle istanze del materialismo, soprattutto in quello di matrice holbachiana. Il rapporto tra Paul Henry Thiry d'Holbach, il grande filosofo materialista, e Giacomo Leopardi, il gigante poeta e pessimista cosmico, è noto sebbene poco esaltato dalla critica. Questo attento e puntuale lavoro accademico, però, cerca di rimediare e mette in luce i molteplici punti di contatto nel loro pensiero. 
Atei entrambi, per il Barone e il Poeta la felicità si identifica con il piacere e da questo assunto la natura e la società sono analizzate sotto la lente del materialismo. Nello studio non troviamo solo le affinità tra i due, ma anche sostanziali differenze. Il materialismo meccanicistico gnoseologico, per esempio, porterà Leopardi (non in contraddizione con lo spirito romantico della sua poesia che si nutre della visione settecentesca), a differenza di d'Holbach, a una visione morale radicalmente pessimista. L'uomo fisico, l'uomo naturale, l'uomo biologico è impossibilitato a vivere felice ed è condannato a non essere mai pienamente soddisfatto, perché non esistono piaceri che durano all'infinito. In d'Holbach, invece, almeno nella sua prima fase filosofica, la conoscenza contro le illusioni e le superstizioni dà libertà e l'uomo che scopre la realtà giunge consequenzialmente alla felicità. Quello leopardiano, invece, si prepara alla morte come liberazione da ogni male e infelicità.
L'esito del pessimismo e della mancanza di speranza potrebbe portare a considerare il suicidio come inevitabile, come conseguenza razionale. Ma, d'accordo, i due pensatori sostengono che il suicidio sia un atto contro natura. Non ci resta quindi che condannare le menzogne e prepararsi alla morte e all'avvento del nulla. L'autrice dunque non può non spendere alcuni richiami alle ovvie conseguenze politiche: anti assolutisti, Leopardi e d'Holbach si fanno fautori di un rinnovamento etico sociale che possa portare gli uomini a vivere una vita di consapevolezza; una coscienza che ancora tarda ad arrivare.
Un lavoro accademico notevole, imprescindibile se si vuole studiare Leopardi nel suo rapporto con il pensiero materialistico settecentesco.

7 lug 2020

La filosofia non è una barba - Matteo Saudino (Saggio - 2020)

"Tutti gli sguardi si concentrarono sul volto di Diogene, il quale restava impassibile, stringendo i denti, immobile come una statua di marmo. Anche la folla pareva trattenere il respiro. Dopo alcuni interminabili minuti, il corpo del filosofo si accasciò a terra privo di vita. Con una forza di volontà disumana era riuscito a trattenere il respiro fino a morire, lasciando tutti i suoi detrattori ancora una volta a bocca aperta. Per un'ultima volta che nessuno avrebbe mai dimenticato".


A proposito della condivisibile tesi secondo cui tra biografia e pensiero esiste un legame molto stretto e la morte spesso ne è una prova, in questo volume sono raccontate le memorabili morti di filosofi del calibro di Talete, Pitagora, Eraclito, Empedocle, Democrito, Socrate, Diogene di Sinope, Pomponazzi, More, Bruno, Cartesio, Fichte, Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche. Lo schema del libro è semplice: si inizia con il racconto aneddotico della morte del filosofo e dopo si spiega il suo pensiero, cercando di giustificarne la morte stessa. È il modo migliore per dimostrare che nella morte, nel modo di morire, c'è in fondo tutta l'essenza della filosofia seguita in vita.
Chiaro, consequenziale, curioso, senza note né riferimenti bibliografici, è un libro per tutti, soprattutto per chi si vuole approcciare alla filosofia in modo leggero e semplice.

23 giu 2020

Opinioni di un vagabondo - Charles Spencer Chaplin (Saggio - 2005)

"Io mi sforzo di non inserire nelle mie comiche nulla che non sia una caricatura di un aspetto della vita vera. Per quanto una cosa possa apparire assurda sullo schermo, credo che studiandola con attenzione la si possa ricondurre alla vita, ed è probabilmente qualcosa che avviene tutti i giorni, qualcosa che l'aspirante critico del mio film non avrebbe mai pensato che potesse essere divertente, neanche un po'"

In questo pregevole volume sono raccolti mezzo secolo di interviste, che raramente il timido Chaplin ha rilasciato per l'odio che ne aveva. Sono quindi utili per comprendere meglio la personalità del geniale cineasta e attore. Le interviste, infatti, ripercorrono la sua intera vita artistica, dal 1915 al 1967 (anno del suo ultimo film). Emerge chiaramente l'ottimismo e la fiducia nelle sue produzioni, ma anche l'intensità e lo sforzo che si nasconde dietro i suoi capolavori. Un lavoro maniacale, paziente, di ricerca spasmodica dell'equilibrio, della semplicità, della perfezione, al fine di svelare, tra una risata e una riflessione tragica, la natura umana. Dai pensieri rilasciati, affiora un uomo di cultura e di opinione, che ha idee semplici e definite di estetica, di letteratura, di politica, dimostrando anche quanto fosse attento al mondo che lo circondava e alle buffe quanto sciagurate persone che lo abitano ancora oggi.

21 giu 2020

Ricordando Cioran - Mario Andrea Rigoni (Saggio - 2011)

"Quando venne a trovarmi a Padova, prendendo alloggio in una semplice locanda così come aveva fatto a Venezia, la prima cosa che volle vedere non fu uno dei tanti monumenti storici o artistici della città, ma la Basilica di S. Antonio, con il sorprendente corteo di pellegrini che da sempre vi affluiscono da tutte le parti del mondo. Commentò, mi pare, che questa forma di devozione assolveva i medesimi compiti della psicanalisi. Visitando il Giotto degli Scrovegni, si soffermò un momento sulla rappresentazione dei Vizi e delle Virtù, osservando sarcasticamente che gli uni erano la verità e le altre la menzogna".


Un'amicizia lunga, quella tra l'italiano Rigoni e il filosofo franco-rumeno. E in questo brevissimo opuscolo sono raccolti pensieri personali, ricordi commoventi e aneddoti deliziosi del loro rapporto. L'autore spiega anche perché Cioran non era di moda negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso (un anti-Sartre, un anti-Heidegger non poteva avere spazio nel panorama intellettuale di quei decenni). Insiste sulla figura di un uomo che ha vissuto la filosofia sulla sua pelle: un pensiero, quello di Cioran, che nasce autenticamente e che inevitabilmente lo ha portato a ripristinare lo stile intenso, diretto e lucido della superba tradizione persa dopo Schopenhauer e Nietzsche.
Un ricordo genuino.

19 giu 2020

Racconti - Marcel Proust (Racconti - 1896)

"Ormai Alexis si era abituato alla malattia mortale dello zio come a tutto ciò che dura attorno a noi e, sebbene Baldassare fosse ancora vivo, per il solo fatto di aver versato una volta per lui quelle lacrime che tributiamo ai morti, il ragazzo aveva iniziato a comportarsi con lui come se, appunto, fosse già morto: aveva iniziato a dimenticarlo".


C'è un certo grado di ingenuità in questi racconti, una certa dose di poesia anche. C'è un bambino che ammira negli anni, tra alti e bassi, uno zio morente (racconto delizioso); c'è Violante, una ragazza che scopre i rimpianti, le pene d'amore e la vanità della mondanità; c'è la civetteria di una vedova ventenne che diventa prigioniera di un amore impossibile verso un uomo senza qualità; c'è una ragazza agonizzante dopo un tentativo di suicidio che confessa il suo distacco dalla pienezza della vita solitaria per sconfinare in quella peccaminosa e superficiale della vita mondana, per poi rinsavire, sentirsi meglio e infine peccare di nuovo (il racconto più bello e che più rievoca la Recherche); c'è una giovane coppia dolcemente innamorata che cade vittima della gelosia; c'è, infine, Madeleine che si innamora di un uomo mediocre e quest'ultimo è del tutto indifferente (racconto scoperto alla fine degli anni Settanta del secolo scorso).
Questi sei racconti sono preziosi per almeno due motivi. Uno, perché sono testi tratti da un'opera introvabile, I piaceri e i giorni; due, perché ci troviamo di fronte a un giovanissimo scrittore che ha già definito nettamente i confini dei temi che saranno centrali nel suo capolavoro. L'attesa della morte, le piccole morti dell'esistenza, le memorie volontarie e involontarie, il tempo, i tormenti mondani, l'amore, le illusioni, il vuoto che si nasconde dietro l'apparenza della vita mondana, la gelosia. È un modo grazioso, seppure ancora acerbo, per assaggiare il gusto corposo e sublime della Recherche. Ed è inevitabile che leggendo queste pagine tornino in mente, come intermittenze del cuore, alcune delle sue magnifiche immagini.

8 giu 2020

Bestiario - Julio Cortazar (Racconti - 1951)

"In fin dei conti era una vita triste. Isabel una notte si domandò perché mai i Funes l'avevano invitato a trascorrere l'estate con loro. Non aveva l'età per capire che non si trattava di lei, ma di Nino, un giocattolo estivo per rallegrare Nino. Riusciva soltanto a comprendere la casa triste, Rema come se fosse stanca, che non pioveva quasi e le cose, tuttavia, erano come umide e abbandonate. Dopo alcuni giorni si abituò all'ordine della casa, alla non difficile disciplina di quell'estate a Los Horneros"


Una grande casa condivisa da un fratello e da una sorella che sono costretti a lasciare perché occupata da non definite presenze; un uomo che confessa in una lettera che vomita conigli; una donna che sente la sofferenza di un'altra donna a Budapest e che, una volta incontrata, si scambiano i corpi e le vite; una donna che salita su un Omnibus è fissata in modo imbarazzante e inquietante da tutti, così come lo sarà un altro passeggero (il racconto più bello); un allevamento di mancuspie (animali inventati) da gestire mentre bisogna curarsi con l'omeopatia, perché quando gli animali stanno male trasmettono agli uomini una forte cefalea; una giovane Circe, Delia, che vede morire i suoi fidanzati; Mauro, che, invitato dal suo migliore amico ad andare in una milonga per dimenticare Celina, la compagna appena morta, vede quest'ultima ballare il tango; una bambina che fa in modo che lo zio finisca divorato da una tigre che si aggira indisturbata nella loro proprietà. Sono gli otto racconti neofantastici (manca del tutto l'atmosfera gotica) che spesso conservano un'atmosfera surreale, onirica (non è un caso che spesso i protagonisti sono insonni). 
La realtà sembra essere vista con gli occhi di un bambino, e le pagine sono allucinate, le situazioni sono irreali, anche se in contesti assolutamente ordinari e quotidiani. Gli elementi soprannaturali, però, non sono percepiti come anomali. La normalità si gonfia a tal punto da spezzarsi nella surrealtà, una frattura che purtroppo mai diventa terremoto di emozioni. I racconti sono semplici nella loro idea e nel loro sviluppo, ironici, asciuttissimi nello stile, e si spengono senza che ci sia stato un vero climax emotivo.

7 giu 2020

Per nulla al mondo - Friedgard Thoma (Saggio 2001)

"Passeggiammo di nuovo, anzi vagabondammo parecchio per Parigi; secondo Cioran, sarebbe diventata una sorta di patria per me. Sapeva esattamente dove aveva vissuto Pascal o il luogo in cui Mirabeau fu arrestato, conosceva tutte le storie di donne o le altre scaramucce dei defunti celebri. Negli anni seguenti il luogo usuale dei nostri incontri sarebbe stata l'Eglise St. Sulpice, al tempo di Napoleone una spaziosa scuderia, in cui a volte ci trovammo a discutere, irritando i fedeli in preghiera"


Un amore di Cioran, come recita il sottotitolo, è una raccolta di lettere tra il filosofo già settantenne e la sua amante Friedgard, una professoressa di filosofia di Colonia. È il racconto dei loro incontri, dell'amicizia che è nata tra Friedgard Thoma e Simone Boué, la compagna di vita del filosofo, ma è soprattutto la testimonianza unica di come l'amore appassionato e ardente possa salvare l'uomo, persino il più disperato, il più nichilista. Dal carteggio d'amore e dagli aneddoti deliziosi che inframezzano le epistole (struggenti i ricordi dei loro ultimi incontri, della loro passeggiata al cimitero, dell'ultimo saluto...), ne viene fuori, infatti, il lato più vulnerabile di Cioran. Il filosofo dello scetticismo si fa antiscettico. Il filosofo della rassegnazione riconosce nell'amore, nella sua infatuazione senile (a tratti finanche gelosa), un'ancora di salvezza, un approdo su cui aggrapparsi che gli possa permettere di sopravvivere. 
Le lettere sono state scritte in tedesco, quindi non si leggono gli slanci poetici che caratterizzano lo stile di Cioran. Eppure, nella corrispondenza iniziata all'inizio del 1981, nella storia che ha avuto inizio con una semplice lettera da parte di una curiosa ammiratrice e una cordiale risposta da parte del filosofo, nei loro incontri nella decadente Parigi, nei loro viaggi, nelle loro ossessive telefonate si può osservare come la poesia del sentimento sia onnipresente, costante, salvifica. Cioran, un vecchietto ossessionato dal pensiero del suicidio, nella figura di una giovane Friedgard (dalle sembianze di attrice e dalla spiccata intelligenza) si scopre in balia delle onde burrascose di un amore che lo metterà ancora una volta in discussione con se stesso e con il senso del mondo.
Sono raccolte anche alcune lettere di Boué a Friedgard, che rivelano un'intensa e bella amicizia. 

5 giu 2020

Cere perse - Gesualdo Bufalino (Saggi - 1985)

"Celle di chiostro o di carcere, chi vi si chiude, seppure ne ricavi ragioni per credere in Dio, altrettante ne fabbrica per disperare di amarlo... insomma, l'insularità è a un tempo un privilegio e una pena, pensateci due volte prima di venirci in vacanza, voi che abitate le grandi pianure dove si può camminare sempre davanti a sé. Non misurate il nostro respiro sul vostro. E, soprattutto, uomini di terraferma, abbiate pietà di noi che viviamo nelle isole: potremmo, da un momento all'altro, sparire"


Rileggere Bufalino, specialmente in prima edizione, è emozionante tanto quanto scoprirlo la prima volta. Il grande scrittore comisano è in grado di turbare e di meravigliare il lettore sempre con nuovi brividi. È, in sostanza, un'epifania di emozioni e di riflessioni. La sua scrittura, la sua poetica, il suo pensiero sono barocchi, eleganti, abissali. Nelle sue opere, infatti, scava psicoanaliticamente nei meandri profondi della memoria, ne fa riemergere i ricordi e dopo, nietzschianamente (e proustianamente), li trasvaluta per crearne fantasie e storie da trascrivere su carta, sotto forma di romanzi, racconti, poesie, articoli.
Diciamocela tutta, Bufalino è uno scrittore del sospetto. Eppure non è metafisico in senso stretto. Ritengo che nel suo pensiero non ci sia molto spazio per la metafisica, anzi a tratti trovo istanze anti-metafisiche nella sua opera, nonostante la maggioranza dei suoi critici la pensi diversamente. Basta ricordare che tutta la sua riflessione sulla memoria e sui ricordi si riconduce fondamentalmente alla materialità della mente e del proprio vissuto. Basta ricordare il suo rapporto con Dio, che, se e quando esiste, è conflittuale, è materiale (celebri le riflessioni di padre Anselmo, struggente il corpo morto di Marta, oltre alla sua memoria, che deve aiutare il narratore a superare il momento profondissimo di scoramento in Diceria; arcano il Padreterno de Le Menzogne della notte che non si sa chi sia e che alla fine non verrà mai conosciuto; evocativa la volontà del padre dell'avvocato Crisafulli di avere con sé un bastone nella tomba per colpire materialmente Dio nel caso esistesse in Tommaso e il fotografo cieco). Basta ricordare che se esiste (ed esiste, specialmente nei racconti) una volontà di sopravvivenza, questa si trova soltanto nella memoria e nei libri scritti. C'è spazio per un'analisi esistenziale semmai. Anzi, questa è una caratteristica fondamentale, una cifra assoluta, secondo me, del pensiero dello scrittore siciliano. L'angoscia della vita, la nostalgia per un passato che non c'è più, il bisogno di mettere in posa il tempo per poi imbellettarlo con i trucchi della retorica, le riflessioni sulla precarietà, la finitezza e l'assurdità della vita, la solitudine di fronte alla vecchiezza e alla morte sono temi tipicamente esistenziali. Temi da leggere non in chiave ontologica-heideggeriana, ma in senso nietzschiano-nichilista, o tutt'al più in senso ateo alla maniera di Camus, o al massimo nel senso agnostico-nichilista alla maniera di Cioran. Essere o riessere dunque, non in chiave ontologica, ma in chiave materialistica-esistenziale.
Anche in questi elzeviri e articoli di giornali usciti tra il 1982 e il 1985, raccolti per paura di perderli come la cera che si scioglie dopo l'utilizzo che ne fa lo scultore, sebbene solo sporadicamente, si può trovare traccia di tale cifra. La varietà dei temi trattati, vagabondi e amaramente ironici, sprofondano spesso in uno scetticismo chiaro e distinto; la Sicilia come ossimoro, come mito, la memoria e il ricordo di Sesta Ronzon, ma anche il valore della parola e al contempo del silenzio. Eppure si nota sempre un certo grado di coerenza, verso se stesso, verso il giudizio tagliente sui libri, sull'arte, sull'esistenza non solo tragica, ma anche nei suoi aspetti più banali. È come leggere un romanzo autobiografico, un diario intimo, una confessione sullo scrivere e sul leggere, sui sentimenti privati, sul rapporto con il tempo e la morte. Elzeviri appassionanti per il linguaggio, per lo stile e per le sfumature interiori ed esistenziali quasi alla Pascal, alla Montaigne, alla Baudelaire (peraltro citati più volte). Si capisce quindi che il filo conduttore è il libro, il suo elogio. I libri che consolano, terapeutici, che ampliano la conoscenza e ci danno coscienza, che sono nutrimento. I libri sulla Sicilia, i libri dell'amico Sciascia, persino il modello 740 per la denuncia dei redditi, la riabilitazione del romanzo giallo. Lo scrittore non è innocente e la curiosità diventa quasi morbosa verso gli autori prediletti e i loro personaggi di romanzo. Il riessere dunque è nella materia del libro, nella pagina imbrattata di inchiostro, è, insieme alla memoria, l'unica strada possibile per sopravvivere ancora.

18 mag 2020

La versione di Barney - Mordecai Richler (Romanzo - 1997)

"Al lago ho un vicino, uno dei sempre più numerosi pirati dell'etere, che si è fatto installare una parabola. Da noi le parabole sono fuorilegge, perché consentono di captare gratis un centinaio di canali americani a pagamento. Lui con un decoder da trenta dollari li becca tutti. Da un certo punto di vista mi trovo in una situazione molto simile: anch'io, nel mio crepuscolo, passo lunghe notti a ricevere dal passato un guazzabuglio di immagini criptate, ma a differenza del mio vicino non riesco a decodificarle. Ormai mi succede spesso di svegliarmi senza sapere più bene cosa accadde davvero quel giorno al lago. Mi viene persino il dubbio di avere ritoccato gli eventi a mio vantaggio, come del resto ho fatto con innumerevoli altri episodi mia vita"


Il ricco ebreo canadese Barney Panofsky, un produttore televisivo di un certo successo vicino ai settant'anni, decide di scrivere la sua biografia, una sua versione dei fatti della morte dell'amico Bernard Boogie Moskovich. Quest'ultimo è stato un vero amico per Barney, un eroe di guerra, un artista, un intellettuale, molto colto, amico di avventure giovanili e di sbronze, e non può averlo ucciso lui, anche se l'ultima volta che si sono visti hanno litigato. Sebbene un processo lo abbia già dichiarato non colpevole, Barney adesso deve difendersi dall'accusa di omicidio che gli ha rinnovato lo scrittore e vecchio amico Terry McIver. Il narratore, che ha molti vuoti di memoria (si scoprirà che soffre del morbo di Alzheimer), si racconta per mezzo di fulminanti associazioni di idee che spostano il racconto in avanti e indietro, in un bel gioco a incastri che si tiene sulla volontà di portare una difesa solida contro la nuova accusa. Quindi, tra Parigi e Montreal, narra una vita ricca di ricordi, di incontri, di bisogni, di disagi. Così come racconta del rapporto altalenante e conflittuale con i figli Michael, Saul, Kate e le nuore.
Il romanzo è diviso in tre parti, ognuna dedicata a una moglie (anche se le storie si intersecano tra loro). La prima, Clara, è un'artista cleptomane e dissoluta che muore suicida a Parigi. La Seconda Signora Panofsky, innominabile, è una ricca ereditiera dalla quale divorzia presto, dopo che era andata a letto con Boogie un attimo prima che quest'ultimo sparisse (da qui l'accusa di omicidio). E la terza, Miriam, madre dei suoi tre figli e vero grande amore, ma persa per una scappatella di Barney dopo trent'anni di matrimonio. È una vita dissipata quella di Barney, dedita all'alcol, scorretta e fuori misura. Spesso all'ombra degli altri, costellata di amici dissoluti e finti bohémien annoiati della loro esistenza. Eppure, almeno così sembra, non è stato lui ad uccidere l'amico Boogie...
Il figlio Michael, alla morte del padre, ha il compito di correggere e pubblicare l'autobiografia, corredata da un suo poscritto che chiarisce come sia morto veramente Boogie, e i vuoti di memoria e le imprecisioni sono riempiti e corrette nelle note che puntellano i piè di pagina.
Romanzo ironico e piacevole, anche se capita che ogni tanto pecchi di un certo grado di americanismo, di tratti da Beat Generation che raccontano fatti inutili e insignificanti, con quel modo di fare sciatto e senza spessore tipico degli scrittori americani del Novecento. Forse un po' diluito e lungo, ma l'aspetto più interessante rimane il suo essere caleidoscopico, un flusso di ricordi che non si arresta e che si intreccia, nonostante gli inciampi della memoria di Barney.

9 mag 2020

L'orologiaio cieco - Richard Dawkins (Saggio - 1986)

"Se camminiamo avanti e indietro su una spiaggia ghiaiosa, noteremo che i ciottoli non sono disposti in modo casuale. Quelli più piccoli tendono tipicamente a trovarsi in zone separate che corrono lungo la spiaggia, e quelli più grandi in altre zone o strisce a sé. I ciottoli sono stati scelti, sistemati, selezionati. Una tribù che vivesse in prossimità della spiaggia potrebbe meravigliarsi dinanzi a questa manifestazione di una scelta o disposizione ordinata nel mondo, e potrebbe sviluppare un mito per spiegarla, attribuendola per esempio a un Grande Spirito in cielo, con una mente precisa e uno spiccato senso dell'ordine. Noi potremmo sorridere con aria di superiorità dinanzi a una nozione così superstiziosa, e spiegare che la disposizione ordinata dei ciottoli è stata opera in realtà delle forze cieche della fisica, in questo caso dell'azione delle onde. Le onde non hanno alcun fine e nessuna intenzione, né una mente ordinata, e neppure una mente in generale".


Il biologo ed esponente di prestigio del neodarwinismo Dawkins, in questo corposo volume, integra la teoria dell'evoluzione per selezione naturale di Darwin con la teoria dell'ereditarietà di Mendel, con la matematica probabilistica e statistica della genetica della popolazione, con i dati della paleontologia, affronta il tema della complessità degli esseri viventi e spiega come l'improbabile perfezione della vita sia spiegabile con la conoscenza dei sistemi selettivi darwiniani.
Riprendendo l'argomento teleologico dell'orologiaio, tanto amato e sostenuto dai creazionisti, lo scienziato sostiene che questo orologiaio deve essere cieco; non pianifica, non ha alcun disegno intelligente da attuare. L'unico orologiaio, cieco, che non pianifica fini, è la selezione naturale. Gli occhi, il sonar dei pipistrelli sono esempi che possono far pensare a un disegno divino, a un progetto, ma in realtà sono solo il frutto dell'evoluzione e della selezione naturale. L'autore ribadisce più volte che è la mutazione a essere casuale, non la selezione naturale. Il processo cumulativo dei piccoli mutamenti è diretto da uno sviluppo come quello della sopravvivenza che non è casuale, ma automatico.
Utilizzando la matematica e il calcolo probabilistico, nonostante il nostro cervello non sia tarato per simili numeri, si arriva a capire che teorie come quella del brodo organico primordiale siano plausibili. I geni si selezionano in virtù della loro relazione con l'ambiente esterno e la selezione naturale può così essere spiegata come una forza costruttiva. Il Darwinismo non è una teoria del caso, checché ne dicano gli antidarwiniani. Ed è in questa prospettiva che si confutano le tesi dei creazionisti, dei saltazionisti, dei cladisti trasformati, dei lamarckiani.
L'incredulità di alcuni di fronte all'elegante teoria di Darwin è frutto dell'ignoranza e del bisogno di avere risposte veloci. Purtroppo il mutamento evolutivo è molto più lento del percepito del nostro cervello. Questo è uno dei motivi per cui si dubita ancora oggi della teoria di Darwin. Un altro motivo di incredulità risiede nel fatto che siamo abituati a credere che l'eleganza (di un occhio, di un sonar di pipistrello, ecc...) sia il frutto di un progetto, di un'intenzionalità, ma questo non è vero. Darwin, quindi, l'evoluzionista afinalista, contro Paley, il teologo creazionista che meglio ha descritto la prova teleologica.  

Dalla grande passionalità dell'autore che spiega argomenti davvero complessi con semplicità, viene fuori come la biologia sia una scienza molto articolata e difficile, ma allo stesso tempo affascinante e illuminante. Oltre all'evidenza dei fatti e delle scoperte scientifiche che sempre più portano prove alle teoria dell'evoluzione di Darwin, secondo me, è anche il rasoio di Ockham che ci suggerisce che non può esserci un confronto serio tra evoluzionisti e creazionisti. Dunque, alla domanda creazione o evoluzione? (come il sottotitolo del saggio), non c'è nessun dubbio su quale sia la risposta!

3 mag 2020

Il libro dell'inquietudine - Fernando Pessoa (Romanzo - 1982)

"All'improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno. Nel balenìo del lampo quella che avevo creduto essere una città era una radura deserta; e la luce sinistra che mi ha mostrato me stesso non ha rivelato nessun cielo sopra di essa. Sono stato derubato dal poter esistere prima che esistesse il mondo. Sono stato costretto a reincarnarmi, mi sono reincarnato senza di me, senza essermi reincarnato".


In quest'opera postuma e incompiuta, il protagonista, Bernardo Soares (evidentemente un Pessoa mutilato) redige un diario esistenziale, una confessione intima, un'autobiografia abissale. Soares, infatti, sonda il suo subconscio, un universo che condiziona la realtà che percepisce con i sensi. Per lui la vita è solo casualità, la quotidianità è grigia, anche se costellata da piccoli fulmini di rivelazioni. Scritto nei primi anni Trenta del Novecento, ci troviamo a Lisbona, più precisamente in rua Dos Douradores. Tutta la dimensione esistenziale del protagonista si trova lì, tra l'ufficio e l'alloggio al quarto piano. Da questa via, osserva il mondo esterno, ma soprattutto quello interno, un mondo che in fin dei conti non conosce veramente. Soares, un aiutante contabile alle dipendenze del signor Vasques (un uomo normale che simboleggia la banalità della vita), è incapace di vivere la quotidianità, contempla la sua vita con la sensibilità del poeta tragico. Non è un caso che soffra di insonnia. Nella piena consapevolezza di essere un polline che svolazza in balia del vento, non sono raccontati fatti e storie, soltanto riflessioni, emozioni e inquietudini. L'unico fatto è quello esistenziale dunque, un'esistenza dagli esiti conservatori e romantici. La realtà per lui è l'immaginazione, il sogno, e quindi è come se esistesse in un cimitero, un morto ambulante tra morti sepolti. Un'inquietudine, è inevitabile, che si traduce come tormento e tempesta. La solitudine (nel bene nel male), l'indifferenza, la noia, l'attesa, la stanchezza del pensiero e dell'intelligenza, l'inazione tratteggiano la complessità dell'animo di Soares e dell'uomo che trova il tempo per riflettere e collocarsi nello spazio e nel tempo.
Quattrocento frammenti poetici e simbolisti, uno zibaldone capolavoro della letteratura esistenziale.

26 apr 2020

Le lacrime di Nietzsche - Irvin David Yalom (Romanzo - 1992)

"È strano, ma nel momento stesso in cui, per la prima volta in vita mia, rivelo la mia solitudine in tutta la sua profondità, in tutta la sua disperazione, in quel preciso momento la solitudine si squaglia! L'istante in cui ti ho detto che nessuno mi ha mai toccato è stato esattamente quello in cui mi sono lasciato toccare. Un istante straordinario, come se un'enorme crosta intima di ghiaccio si fosse improvvisamente riempita di crepe, andando in frantumi"

Ottobre 1882, Venezia, caffè Sorrento. Joseph Breuer, noto medico viennese incontra Lou Salomé, una bellissima donna che teme per la vita del suo carissimo amico Friedrich Nietzsche. Il grande filosofo ancora sconosciuto, infatti, soffre di emicrania, nausea, insonnia, depressione, assume dosi massicce di morfina e minaccia di suicidarsi dopo la rottura con Salomé stessa. Breuer, in quegli anni turbato dalle convenzioni sociali e soprattutto dalla sua paziente Bertha, affascinato dalla bellezza e dalla volontà di Lou Salomé, decide di incontrare il filosofo, a patto di non rivelargli mai dell'incontro avvenuto a Venezia. Architettata la prima seduta a Vienna, Breuer è già convinto che la cura del corpo passi attraverso la cura dell'anima, recuperando lì la radice dei mali. La storia si costella quindi di incontri tra il filosofo Nietzsche, solitario risoluto, orgoglioso, sprezzante di tutto e di tutti e lo psichiatra Breuer, uomo non troppo sereno, sposato ma affascinato dalla paziente Bertha, un po' insicuro (è lui il vero protagonista del romanzo). Più che di incontri leggiamo di scontri tra due modi di pensare opposti, sottili partite a scacchi tra due intelligenze spiccate ed eccezionali. Breuer è anche amico di un giovane Freud assetato di sapere e con delle strane idee sui sogni e sulla non unitarietà dell'io. Con lui Breuer si confida sulle sedute che tiene con il riottoso Nietzsche. Per non farsi scappare l'opportunità di curarlo, Breuer decide di farsi a sua volta analizzare filosoficamente da quest'ultimo, di diventare un filosofo lui stesso, di voler essere se stesso fino in fondo e fino in fondo libero. Una proposta che il padre dell'oltreuomo accetta volentieri. Nei loro dialoghi ricolmi di citazioni, sembra di assistere alla nascita della psicoanalisi. Nietzsche cerca di liberare Breuer dalle sue ossessioni per Berta e utilizza le associazioni libere, l'interpretazione dei sogni; le ossessioni sono analizzate alla ricerca dell'origine, sono ricercate le relazioni edipiche; insomma l'inconscio è sondato nei suoi meandri più profondi. I due, che in un primo momento erano diffidenti l'uno con l'altro, diventano amici. Ed è qui che si ha una svolta: Breuer capisce l'origine dei suoi disagi, dei suoi turbamenti e si sente libero di confessare ogni cosa. Una consapevolezza che acquisisce alla fine anche lo stesso Nietzsche, quando compresa l'origine dei suoi mali, decide di dedicarsi unicamente a Zarathustra.
Sebbene i personaggi siano realmente vissuti, i loro rapporti e gli avvenimenti raccontanti sono inventati. Nel gioco letterario, mentre i verosimili intrecci emotivi e sentimentali si dipanano, emerge l'uomo con le sue malattie, la sua quotidianità, la sua solitudine. È un bell'esercizio che cerca di mostrare Nietzsche e Breuer nelle loro debolezze, nelle sofferenze che porteranno soprattutto il filosofo a svettare sulle più alte cime del pensiero. Una lettura decisamente spassosa.

13 apr 2020

Il piacere della lettura - Marcel Proust (Saggi - 1906)

"Non erano le campane rimbombanti che rientrando al villaggio - quando ci si approssimava alla chiesa che, da vicino, riprendeva la sua sagoma alta e austera, inalberando contro l'azzurro della sera il suo cappuccio d'ardesia punteggiato di corvi - si sentivano far volare in frantumi il suono, sulla piazza, 'per i beni della terra'. In fondo al parco arrivavano attutite e piene di dolcezza e non rivolgendosi a me, ma a tutta la campagna, a tutti i villaggi, ai contadini spersi nei campi, non mi costringevano assolutamente ad alzare la testa, mi passavano accanto, portando l'ora ai paesi lontani, senza vedermi, senza conoscermi e senza disturbarmi"


Nel saggio Sulla lettura, prefazione alla traduzione di una raccolta di saggi di Ruskin, Proust descrive la sua idea di lettura e del suo valore, anticipando inconsapevolmente l'approccio alla scrittura che sarà totale nella Recherche. A differenza del grande critico inglese che descrive l'atto della lettura come uno spazio per la conversazione, un dialogo con gli autori del passato, per il grandissimo scrittore francese leggere è un'esperienza solitaria, l'esperienza psicologica che ci permette di comprendere quanto forte sia il desiderio della solitudine. Leggere significa estraniarsi, significa evadere dagli altri, significa esercitare l'immaginazione che si dissolve inevitabilmente in presenza di altri. Un'introduzione quindi che significativamente va contro il pensiero del libro di Ruskin che, in teoria, avrebbe dovuto sostenere.
Per Proust, inoltre, nella lettura si coglie la differenza tra persone reali e personaggi dei romanzi. Quest'ultimi, nel racconto della loro vita, ci mostrano i meccanismi che ritroviamo nella nostra vita, ma in modo analitico, più veloce, e quindi ci è più facile comprenderli. E così il lettore, la persona reale, cambia muta, cresce, si disillude. Il tempo narrativo infatti, più veloce rispetto a quello della vita, ci permette di cogliere un senso che difficilmente potremmo capire nella quotidianità.
Ma al di là della generale teoria proustiana a cui non possiamo dare torto, le letture lasciano l'immagine, il ricordo dei luoghi e dei periodi in cui sono state fatte. Ed è in questo senso che si inserisce la rievocazione di un bellissimo e lungo racconto di un ricordo d'infanzia. Il ricordo di quando, durante le vacanze da bambino nella sua Combrai, Proust si immergeva nella lettura e il tempo si sospendeva, fino a quando non arrivavano gli altri a disturbarlo. E poi, quanto sentimento nel suo stile, quanta bellezza nella dettagliata e al contempo magica e onirica descrizione della sua stanza, la stessa del bacio della Recherche...
Oltre a questo saggio, il volume raccoglie un articolo, Giornale di lettura, pubblicato su Le Figaro e dedicato al telefono, al suono e anche alla lettura. Sono brani, quindi, per occasione di scrittura mondana, che però già ci suggeriscono le formidabili capacità scrittorie di un giovane Proust, e l'inizio di una primordiale elaborazione della teoria dell'intermittenza del cuore e della memoria involontaria.

8 apr 2020

In culo al mondo - António Lobo Antunes (Romanzo - 1979)

"Mi aspettavi, Sofia, e non c'è mai stata una parola fra noi, perché tu capivi la mia angoscia di uomo, la mia angoscia carica di odio di uomo solo, l'indignazione che la mia codardia provocava dentro di me, la mia sottomessa accettazione della violenza e della guerra impostami dai signori di Lisbona, capivi le mie disperate carezze e la tenerezza impaurita che ti offrivo, e le tue braccia scendevano lentamente lungo la mia schiena senza fastidio né sarcasmo, salivano e scendevano lentamente lungo il sudore ghiacciato dei miei fianchi, stringevano piano la mia testa contro la tua spalla dolce, e io ero sicuro, Sofia, che tu sorridevi nel buio con il silenzioso e misterioso sorriso delle donne quando gli uomini diventano all'improvviso bambini e si consegnano loro come figli fragili e inermi, stanchi lottare contro ciò che di se stessi li indigna"


Dal sapore fortemente autobiografico, piccolo gioiello della letteratura portoghese e non solo, il romanzo è scritto in prima persona. Il protagonista, nel bar di uno zoo, racconta a una donna che palesemente vuole conquistare, in un lungo monologo, la storia di quando era un giovane medico militare, mandato in Angola durante la guerra coloniale nel 1971. Il racconto è serrato, i dettagli sulla guerra e anche sul suo stato d'animo si susseguono in un ritmo forsennato, ma senza climax emotivi. Il tono è sempre lo stesso, magnifico, ma senza slanci verso l'alto o verso il basso. Quasi a dimostrare che ogni cosa è priva di senso, è indifferente. È come se vivesse in un limbo, in un luogo in cui non esiste la speranza.
Si legge del viaggio da Lisbona verso Luanda, e poi verso l'interno dell'Angola, sempre più a est, sempre più in culo al mondo. Tra un racconto e un altro, tra una riflessione e un'altra, il narratore-protagonista beve litri di alcol (un modo per evadere, ma anche per ritornare alla memoria e per sciogliersi nella confessione), fornendo alla ragazza descrizioni quasi fisiologiche della sua assunzione. Ogni cosa allora si confonde: la guerra è insensata e feroce, così come la vita, la quotidianità. Persino la notizia della nascita della figlia è motivo di dolore. Una figlia nata lontana, da un amore spento, senza profondità. La storia prosegue con una licenza che permetterà al protagonista di rientrare a Lisbona. Qui vive sempre con maggiore forza un senso di straniamento; la città, in un capitolo straordinario stracolmo di emozioni e di malinconia, gli appare in tutta la sua deludente decadenza. E anche il pensiero di ritornare in Angola lo tormenta. Mentre continua a chiacchierare con la donna, mentre cerca di conquistarla, si susseguono i ricordi africani, di guerra, di uomini agonizzanti, di superiori che propagandano ideali vacui e violenti. A questo punto, il narratore-protagonista porta con sé l'amica silenziosa a casa sua. Durante il tragitto e a casa si intrecciano nuove riflessioni sofferenti sulla vita; persino il sesso con l'amica diventa sinonimo di rassegnazione e di inconsistenza. Durante l'amplesso il protagonista è travolto ancora dai ricordi di guerra, dal soldato suicida che si è sparato un colpo in gola, dai bambini affamati. Quando Lisbona si risveglia all'alba, l'incontro occasionale finisce tra delusioni e ancora rinnovate riflessioni sul non senso della vita e della solitudine. 
Con uno stile superbo, articolato, immaginifico, poetico, moderno, non è un romanzo per tutti i palati. I racconti si svolgono in modo non lineare, la tecnica del flusso di coscienza porta il lettore a viaggiare, in Africa, in guerra, a Lisbona, nell'inquietudine del protagonista. Un'inquietudine che in fondo è la stessa di ciascun uomo. 

1 apr 2020

Hume - Antonio Santucci (Saggio - 1971)

"Se il pensiero s'unisce all'estensione, deve esistere in qualche parte entro i limiti della stessa; e allora, o il pensiero esiste in una parte e quindi, essendo questa indivisibile, il pensiero è unito ad essa e non all'estensione, oppure, se va unito a ogni sua parte, pure lui risulta esteso e divisibile non meno del corpo, il che è assurdo"

Più che un'introduzione a Hume, filosofo del progetto sistematico di una scienza della natura dell'uomo, il grande pensatore scettico e della provocazione, il saggio è uno studio accademico. Per leggerlo occorre conoscere la storia della filosofia e, quindi, sapersi orientare tra gli innumerevoli intellettuali citati e il linguaggio specifico della materia. 
Il libro contestualizza il dibattito morale e gnoseologico in Scozia e in Francia, le influenze culturali del filosofo scozzese e analizza attentamente il pensiero del Trattato sulla natura umana e delle altre sue opere principali, mostrandone sia i punti di forza, sia i punti di debolezza.
Un saggio specialistico, da seguire con molta attenzione.

31 mar 2020

Apologia dell'ateismo - Giuseppe Rensi (Saggio - 1925)

"L'inesistenza di Dio è dunque un ovvio principio di logica elementare; una questione di semplice logica. Chi la impugna è fuori della logica, fuori della ragione, fuori della sanità mentale. Non capisce nemmeno con precisione cosa vuol dire, è, o se l'ha capito, non sa tener fermo a ciò che ha capito, e, con incredibile confusione mentale, ritorna a dire è di ciò che non è, ad affermare l'Essere di ciò che egli stesso sa non possedere quelli che ha poc'anzi scorto come i soliti carattere dell'Essere".


In queste settimane di quarantena in cui si sente tanto invocare l'intervento e la benedizione di Dio (ma quindi si è rifiutato di intervenire prima del virus e, di conseguenza, ci avrebbe maledetto?), in cui i riti apotropaici si moltiplicano, in cui le inutili preghiere e le superstizioni sono fomentate dalla paura, in cui assistiamo a un atteggiamento di fuga dalla realtà (mentre adesso abbiamo bisogno di capire che anche i timori e le speranze, sentimenti umani, devono essere compresi per capirci, per affrontare le paure e gestire meglio la speranza), l'unica arma che a me sembra corretta usare è quella della conoscenza di sé e della realtà vera. Una realtà che sì definisce i nostri limiti e ci atterrisce, ma che, anziché scappare da essa con rituali magici o danze della pioggia, sarebbe meglio capirla e quindi combatterla con le armi della ragione, con la scienza, con la tecnologia. E leggere un libro del genere, oggi, è un toccasana per la mente.
In un'Italia culturalmente dominata dal neoidealismo e dall'influenza massiccia del clericalismo sostenuto dal fascismo, il discusso filosofo italiano, nella sua fase scettica e materialistica, scrive un saggio sull'irrazionalità dei credenti. Rensi sostiene che la fede è follia ed è contrapposta all'ateismo, che rappresenta l'unico bastione della ragione. Con uno stile polemico e un rigore argomentativo di stampo illuministico-kantiano, il filosofo antifascista giunge a definire il Dio delle religioni come il Nulla, il non-Essere. La vera religione, quindi, non è quella che riflette sul Nulla, ma quella che ricerca insopprimibilmente di interpretare il mondo, l'Essere concreto. Anche gli attributi di Dio come personalità, mente, bontà, eternità, onnipotenza cadono nella illogicità, nella follia. Così come l'idea di un Dio impersonale, quello di Spinoza, di Fichte, di Hegel, risulta essere assurdo.
Accennando a un percorso genealogico già intrapreso da Schopenhauer e Nietzsche, Rensi anticipa pure alcune conclusioni freudiane. Se la religione è pazzia, è malattia, è menzogna, l'ateismo dunque diventa superamento delle nevrosi, cura, realtà. Ateismo che si traduce anche in filosofia morale, in etica della responsabilità. L'ateo, infatti, è l'uomo che non può far ricadere le sue colpe nelle scelte originarie di un essere fittizio, ma è lui che in prima persona si impegna a evitare i pericoli della colpa.
Il saggio si conclude, come conseguenza logica, affermando che l'ateismo è da considerarsi una religione, la più pura e la più vera. Come le religioni si spinge ad interpretare il mondo, con la differenza che questa ricerca è razionale e sana.

Il saggio è spassoso, il tono è polemico e a tratti irrisorio. Più che di una difesa, di un'apologia, siamo di fronte a un vero e proprio attacco contro l'irrazionalità. Da menzionare l'importante prefazione di Nicola Emery che contestualizza storicamente il saggio e ne rende più semplice la comprensione del fine per cui è stato scritto.

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