"Anche se la madeleine non venisse mai mangiata,
Combray continuerebbe a essere lì, perduta nel tempo. E solo quando il
pasticcino viene inzuppato nel tè, quando la memoria viene richiamata in superficie,
che la CPEB ritorna alla vita. Il gusto del dolcetto scatena un flusso di nuovi
trasmettitori verso i neuroni che rappresentano Combray e, se si raggiunge il
punto di svolta, la CPEB attiva infetta i dendriti vicini. Da questo fremito
molecolare nasce il ricordo".
Nelle buone intenzioni del libro, le neuroscienze sono messe
in relazione con l'arte e la letteratura, cercando di definire, in ambito
teoretico, i limiti della scienza e affermando quanto quest'ultima non sia
l'unica disciplina in grado di darci risposte dimostrabili. Poeti, scrittori,
pittori, musicisti, infatti, hanno descritto funzioni della mente che solo nel
XXI secolo saranno scoperte dalla linguistica, dalla chimica, dalle
neuroscienze. Con una penna abbastanza chiara e divulgativa, l'autore cerca di
spiegare concetti non facili. Trova una sintesi nella tesi secondo cui le due
culture, quella scientifica e quella umanistica, debbano collaborare. Arte e
scienza devono andare a braccetto perché noi siamo fatti di sogni e atomi, e qualsiasi
descrizione della mente umana deve sintetizzare le due culture. Esperimento e
calcolo insieme alla poesia e all'immaginazione dunque.
Ecco allora Walt Whitman che pensava, contro Cartesio e
vicino al trascendentalismo di Emerson, che mente e corpo siano inseparabili.
Le neuroscienze oggi affermano che, in effetti, le emozioni sono generate dal
corpo. La scrittrice George Eliot aveva intuito che il cervello si adatta alle
circostanze, che non è una pura macchina, così come la biologia molecolare spiega
quanta indeterminatezza sia provocata dal DNA (c'è ancora spazio, quindi, per
la libertà). L'inventore del brodo di vitello August Escoffier, che con il
glutammato aveva trovato un gusto in più (l'umami), avrebbe scoperto il ruolo
dell'individualità del nostro vissuto. L'idea di memoria legata ai sensi di
Marcel Proust è stata dimostrata da uno studio neuropsicologico del 2002. Secondo
tale studio, i sensi del gusto e dell'olfatto sono in collegamento diretto con
l'ippocampo, quella parte del cervello che ha un ruolo decisivo nella
formazione della memoria. Per Cézanne, così come per la scienza, le impressioni
sensoriali esigono un passaggio in più, un'interpretazione, uno sguardo che
crea ciò che vediamo. Stravinsky, invece, con le dissonanti note della Sagra della primavera aveva colto che il
senso dell'udito è in evoluzione, ed era convinto, come per le neuroscienze,
che il cervello avrebbe corretto gli errori delle dissonanze e che con il tempo
quei suoni sarebbero stati apprezzati. Gertrude Stein, anticipando Chomsky,
aveva intuito dai suoi esperimenti di scrittura automatica che linguaggio umano
ha una struttura e quest'ultima è costruita nel cervello. Virginia Woolf,
infine, pensava, a ragione, che l'io non sia univoco, ma un flusso di coscienza
composta da frammenti.
Tutti esempi per cui arte e scienza devono integrarsi,
cercando di bilanciarsi, di tenere in equilibrio le scoperte del riduzionismo
scientifico e quelle dell'arte sull'esperienza umana.
Il testo, però, non sempre guarda con attento occhio
filosofico. Ci sono termini usati dall'autore che si sovrappongono nei loro
significati, ma che invece andrebbero specificati, come per esempio libertà,
indeterminismo, coscienza, mente, pensiero. Sono presenti quelli che in
filosofia si definiscono idola, ovvero
quei pregiudizi che dipendono dal nostro bisogno di avere risposte veloci a
problemi difficili. L'autore tira le somme molto in fretta, anziché aspettare e
sospendere il giudizio, al solo fine di dimostrare che la nostra fallibilità
(come se non si sapesse già) dipenda da tutto ciò che non si può ridurre (a
favore di una visione olistica).