Un blog di postille irrazionali. Un blog personale insomma; tanto per contraddirmi.
Presentazione
Presentazione
Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.
Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.
È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.
27 apr 2011
Biblioteca - Fozio (Recensioni - IX sec. d. C.)
22 apr 2011
Eros e Priapo - Carlo Emilio Gadda (Saggio - 1967)
19 apr 2011
Il piccolo principe - Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry (Favola - 1943)
16 apr 2011
H. P. Lovecraft - Michel Houellebecq (Saggio - 1991)
Dal saggio, viene fuori dunque la rappresentazione della filosofia pessimista di Lovecraft, sprovvista di qualsiasi sbocco verso un attimo di positività. Solo l'immaginazione, e quindi il suo velleitario ordinamento per mezzo della scrittura, può sollevarlo dal nulla a cui pensa sia destinata la sua vita e quella dell'intero universo. Ecco che si spiega il sottotitolo del testo: "contro il mondo, contro la vita”. E infatti l'autore francese dà rilievo a un aspetto delicato della figura di Lovecraft: il profondo sdegno verso chi non aveva le sue stesse origini, un’intolleranza tanto estrema da portarlo a immaginare nelle sue storie l'annientamento dell'uomo da parte di mostruose civiltà aliene superiori. Ecco perché il profondo razzismo, l’odio verso il mondo, verso il non senso delle cose, del denaro, del sesso, della vita in tutte le sue sfaccettature.
Grandissimo neo di questa monografia è l'assenza di note e di riferimenti bibliografici. Sarà scritto come se fosse un romanzo, come confessa lo stesso autore, ma resta pur sempre un saggio con tanto di citazioni e riferimenti; grave peccato.
Testo rapsodico, comandato dalla passione e dall'istinto dello scrittore francese. Manca lo spessore della ricerca di approfondimento.
Il volume si chiude con una postfazione di Stephen King. Il breve articolo, rapsodico anch'esso, se ne critica acutamente alcune affermazioni, sostiene le tesi di fondo del saggio di Houellebecq: Lovecraft è uno dei più grandi scrittori americano del XX secolo; Lovecraft, e la letteratura horror e del soprannaturale, affermano un assordante rifiuto della realtà e della vita.
12 apr 2011
François le Champi - George Sand (Romanzo - 1848)
François il trovatello, un poverissimo bambino di animo semplice e sincero, è aiutato da Madeleine Blanchet, la moglie di un mugnaio che ben presto si disamorerà della moglie. Nasce all'istante un amore profondissimo tra ‘il bambino trovato nei campi’ e Madeleine, la quale, a un tratto (e la velocità delle azioni in questo romanzo è disarmante), diventa la madre adottiva del piccolo. Cresciuto tra la fatica del lavoro e l’amore della madre, ancora adolescente, è costretto dal geloso mugnaio ad allontanarsi dalla casa che l’aveva ospitato. Dopo qualche anno, morto il marito della donna, adesso malata ed economicamente in rovina, i due si ritrovano e si amano quasi senza ostacoli. Fortunatamente per il lettore, questo amore nasconde un'ossessione che, solo alla fine purtroppo, si sfogherà in un vero e proprio incesto; i due protagonisti infatti decideranno di sposarsi.
C'è, forte, qualcosa del vissuto della straordinaria, quanto scandalosa, scrittrice francese. Eppure il romanzo, che può essere definito senza problemi di formazione, non dà pregio a una donna intelligente e trasgressiva come la Sand. Qua e là si infiltra il suo pensiero politico, religioso, sociale (derivato da, come si scriveva, da Rousseau), ma il modo di manifestarlo è così ingenuo che non mi viene nemmeno voglia di spiegarlo.
Sempliciotta è la narrazione, la forma, il dialogo spesso affettato, il sentimento dei protagonisti espresso in uno stile mieloso; allo stesso modo i pretesti che portano alle decisioni o agli eventi che sono sviluppati con banalità e superficialità. Non ci sono profondità né caratterizzazione dei personaggi, gli avvenimenti avvengono senza che se ne capiscano fino in fondo le cause; tutto è in balìa della volontà della scrittrice. Persino il gioco tra gli attori è banale. I personaggi 'positivi', ispirati dalla carità cristiana, sono vittoriosi su quelli 'negativi', su quelli che sui primi pretendono l'assoggettamento. Ma se gli eroi alla fine riusciranno attraverso il dolore a salvarsi, gli antieroi hanno un'unica fine, la morte. Schema, ovviamente, ordinario e dozzinale. Romanzo mediocre insomma.
Se proprio si deve cercare un elemento interessante del libro, si troverà di certo nel saggio introduttivo di Cinzia Bigliosi. Saggio che, tra l'altro, in modo penetrante e pertinente mette in parallelo il romanzo della Sand e il capolavoro proustiano della 'Recherche'.
10 apr 2011
Gandhi e la nonviolenza nell'era atomica - Franco Toscani (Saggio - 1999)
Il saggio si sofferma nel mettere in risalto la profondità della filosofia gandhiana, evidenziando le sottili, ma spesso abissali, contraddizioni delle azioni umane. E l'idea della 'nonviolenza' diventa la ricerca di se stessi, dello stare insieme con gli altri, della democrazia, dell'armonia in buona sostanza. Tutte riflessioni che porteranno il professore piacentino a un importante paragrafo finale che si interroga sul problema del male nell'uomo, dell'inevitabile ambiguità di quest'ultimo e quindi della difficoltà di esercitare fino in fondo la nonviolenza.
Certo, l'ascetismo del Mahatma, così come il suo pensiero religioso, è agli antipodi del mio pensiero, e ciò da sempre mi ha allontanato dal considerarlo un esempio 'filosofico'. Resta comunque, anche per me, un grande personaggio storico (figura data per scontata nel saggio) che però, come sottolinea l’autore, è stato un singolare e per certi aspetti moderno pensatore del '900. Se inoltre si paragona la sua idea della nonviolenza alla situazione che vede l'atomo uno strumento violento e di distruzione, il pensiero dell’uomo politico e leader nazionalista indiano ci illumina con la sua modernità.
8 apr 2011
Diario di scuola - Daniel Pennac (Autobiografia - 2007)
La prospettiva del libro si fa interessante: un Somaro con la S maiuscola, divenuto poi professore, si autoanalizza, e tra ricordi e riflessioni intelligentemente dosate si racconta per amore, l’amore di chi ha creduto nei propri allievi. Le due esperienze, quella di somaro e di insegnante, si fondono dunque, e la polpa che ne viene fuori è densa di ironia e di una selvaggia delicatezza che ti catturano e ti fanno pensare.
Pennac (Pennacchioni nel libro) - un Tom Sawyer contemporaneo, che sogna durante le ore scolastiche, che cerca l'avventura, che sente il bisogno della libertà, del riscatto, che avverte il suo disagio di essere in un mondo che non comprende -, nel raccontare la sua carriera di somaro, intrufola momenti della sua futura carriera da insegnante. E così le pagine scintillano di consigli, di digressioni sulla pedagogia, sulla passione, sul ruolo degli insegnati stessi, dei maestri. Ma come ci si riscatta da somaro? Scoprendo la passione, sembra suggerirci il professor Pennac. Le letture, i professori appassionati che non si limitano a seguire i programmi, i primi amori adolescenziali...
I capitoli, come piacciono a me, brevissimi, si concludono quasi sempre con una nota di struggente ironia o di ardente dolcezza o di melanconici ricordi. Solo raramente lo stile nelle descrizioni decade: singhiozzante, eccessivamente veloce, sincopato, che non sopporto granché. Ma quando il racconto diventa dialogo, quando diventa riflessione la punteggiatura si scioglie e il pensiero e l'ironia si espandono fino ai limiti del fascino.
Chissà se anch'io, tra vent'anni magari, avrò l'onore di essere chiamato per strada da un ex studente con una citazione di una mia lontana lezione dimenticata.
5 apr 2011
Allegro ma non troppo - Carlo Maria Cipolla (Saggio - 1988)
Composto da due non lunghi saggi, gli scritti di questo volume che il grande storico pavese ci lascia sono ingegnosi e certamente ironici. Soprattutto il primo direi: il saggio dedicato all'importanza e ai meccanismi del pepe nel Medioevo. Qui l’umorismo è indirizzato sul modo di fare storia degli storici. Persino le note a piè di pagina disegnano le linee del comico. Non scarseggiano nemmeno le battute sui colleghi e sulle definizioni che questi hanno dato sui concetti studiati. Non è un caso che per spiegare il Medioevo e il suo sviluppo, il grande storico analizzi le influenze che il pepe ebbe nell’arco dell’intero periodo, mostrando come si possa fare storia, pure dell’ottima storia, prendendo come pretesto qualsiasi fonte e qualsiasi aspetto economico e sociale. Cipolla si diverta (e diverte) nel descrivere (e nel prendere in giro) gli aspetti sociali ed economici che sarebbero stati condizionati dalla scarsezza o dall’abbondanza del pepe nella società europea, dalla caduta di Roma al Rinascimento. Il pepe avrebbe contribuito allo scontro nel Medioevo tra Occidente e Oriente (una spezia che faceva gola a molti europei, santi soprattutto, e che li indusse alle Crociate), e dopo alle guerre europee, specie quella dei Cent’anni, che avrebbero segnato per lungo tempo le sorti dell’Europa. È, in breve, una velocissima e spassosissima digressione che abbraccia l'intera storia medievale che considera il pepe un elemento indispensabile per capirla. Come dire: una spolverata di pepe sta bene su ogni storia.
Ma l'umorismo, si sa, nasconde qualcosa di tragico. E la lettura delle pagine dello storico ci pone costantemente di fronte alla vacuità e alla tragedia della vita e del mondo che ci circonda. E si arriva così al secondo saggio, quello dedicato al tema della stupidità dell'uomo. Lo scritto vuole essere un antidoto contro l’imbecillità dell’uomo che tanto limita la nostra felicità. Per tentare di guarirci, Cipolla tratteggia delle leggi che manifesterebbero, umoristicamente e allo stesso tempo tragicamente, quanto la stupidità sia diffusa. Sembra quasi che nessuno sia escluso da momenti di simile malattia. Il saggio quindi propina delle leggi, universali potremmo dire, e, aiutato da grafici cartesiani, invita il lettore a stare attento, a evitare l’ottuso che è vicino a lui e che è dentro ognuno di noi. Lo stupido, colui il quale provoca un danno agli altri e pure a se stesso, è sempre attorno a noi, più di quanto possiamo immaginare.
Più volte ho riso (da solo) nel leggere questo piccolo gioiello di letteratura storica e nel farlo, tenacemente, ho avuto sempre in mente l’altro lato della moneta dell’umorismo: il senso di tragico che ci sta dietro.
3 apr 2011
Il sosia - Fedor Michàjlovic Dostoevskij (Romanzo - 1846)
La storia non è complessa. Goljadkin, dopo essersi presentato con tutte le sue manie da un medico, dopo una disturbante notte di ballo, in preda al tormento, terribilmente, si ritrova di fronte un altro se stesso, identico in tutto e per tutto; un sosia appunto. Seguiranno altri incontri. Costretti a lavorare insieme, dopo un primo approccio amichevole, il sosia si rivelerà un approfittatore e uno spregevole personaggio. Ma soltanto il nostro eroe, angosciato, vede come suo identico l'uomo del suo terrore. Gli altri personaggi, pur vedendolo, colgono di uguale solo il nome e una certa somiglianza. Lo scontro quindi diventa inevitabile, ma ad avere la peggio è sempre il primo Goljadkin. Umiliato, offeso, deriso, scavalcato dalla prepotenza del sosia, il protagonista non riesce a reagire se non manifestando assillanti ripetizioni gestuali e ossessive manie. Il pensiero dell’eroe è espresso nei dettagli della sua insicurezza, paranoica, che pensa spesso anche alle più piccole facezie. E anche se la narrazione è in terza persona, lunghi momenti di prima persona ne caratterizzano la figura di Goljadkin. Il racconto si fa angosciante; i due si rincorrono, si odiano, e se anche si trovano innanzi alla possibilità di confrontarsi una volta per tutte, c'è sempre qualcosa (spesso architettato dal sosia) che intralcia, che li separa, e il primo è di continuo costretto a inseguire. Fino alla fine, fino a quando Goljadkin, invitato con uno stratagemma a un ballo, si ritroverà a fare i conti con la sua pazzia.
Se è da ammirare il modo in cui l'analisi della tortuosa psicologia di Goljadkin sia caratterizzata dalle ossessioni, dalle dimenticanze, dai lapsus (che interessano anche gli altri personaggi), il racconto, così ridondante, a tratti estenuante, appare meno accattivante degli altri capolavori dostoevskiani.
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