Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

15 set 2009

Questionario Proust (settembre 2009)



(Risposte ad un questionario sulla falsariga di quello a cui rispose Proust nel 1885 sull’album di Antoinette Faure, e Bufalino sul quotidiano Il Messaggero il 4 settembre 1986).




1. Qual è il colmo della miseria?
Cercare di sconfiggerla.
2. Dove le piacerebbe vivere?
In un quadro di Constable…, lontano…, in montagna.
3. Il suo ideale di felicità terrena?
L’ozio, la gola e la lussuria sono le sole virtù in grado di esaltarmi.
4. Per quali errori ha più indulgenza?
Per gli errori inconsapevoli, quelli impossibili da predeterminare.
5. Qual è il suo personaggio storico preferito?
Sono in due: Annibale e Federico II.
6. I suoi pittori preferiti?
Friedrich, Bocklin, Caravaggio…
7. I suoi musicisti preferiti?
Amo la musica assoluta: Beethoven, Chopin, Liszt, Rachmaninov, Tchaikovsky…
8. I suoi registi preferiti?
Tornatore, Chaplin, Kubrick, Bergman, Spielberg (ma non sempre)…
9. Quale qualità predilige in un uomo?
Quando è assente. Se non è possibile, il silenzio.
10. Quale qualità predilige in una donna?
Quando esiste, la pudicizia truccata.
11. Quale sport pratica?
Da giovane il calcio; oggi alleno la mente nell’attuare il fuori gioco alle mediocrità.
12. Sarebbe capace di uccidere un uomo?
Solamente se dovessi scegliere tra me e l’altro: mors tua vita mea.
13. Qual è la sua occupazione preferita?
Emozionarmi e conoscere sempre di più.
14. Chi le sarebbe piaciuto essere?
Oberon, un folle, o Dio.
15. Qual è il tratto distintivo del suo carattere?
L’egoismo e la pigrizia.
16. Che cosa apprezza di più nei suoi amici?
Tutto dipende a quali amici si riferisce…
17. Qual è il suo principale difetto?
Non essere fino in fondo misantropo.
18. Qual è la prima cosa che la colpisce in una donna?
Le labbra, gli occhi e la timidezza.
19. Qual è il colore che preferisce?
L’azzurro cielo, il verde cipresso.
20. Qual è il suo fiore preferito?
Non mi piacciono i fiori, ma se devo sceglierne uno il glicine.
21. Quali scrittori preferisce?
Domanda difficile: Bufalino, Shakespeare, Poe, Dostoevskij, Voltaire, Nietzsche…
22. Quali poeti?
Non impazzisco per le poesie, ma Leopardi, Bufalino, Baudelaire, Pascoli (il primo però, quello di Myricae e dei Canti di Castelvecchio), alle volte riescono a rivoltare qualcosa in me.
23. Quali sono i suoi eroi nella vita reale?
I veri intellettuali infelici e discreti.
24. Quali sono i suoi nomi preferiti?
Simone, Clara, Enrico, Chiara.
25. Che cosa, più di tutto, detesta?
La superficialità e la volubilità della vita.
26. Quale talento naturale le piacerebbe possedere?
Mi piacerebbe essere più veloce…
27. Crede nella sopravvivenza dell’anima?
La mia non l’ho mai conosciuta da vivo, figuriamoci se potrà mai materializzarsi da morto.
28. Di che morte vorrebbe morire?
Di vecchiaia, in un letto solitario.

14 set 2009

da Frammenti di me stesso (Aforismi e pensieri)

Lo studio della filosofia mi occorre affinché possa sostenere d’essere. Muovermi, invece, dentro le chiome parlanti della letteratura giova al mio modo d’essere per morire, poi ciclicamente resuscitare ed infine ricordarmi d’essere.


Purtroppo ho paura che sia stato detto tutto.


Che fortuna: se Adamo non avesse mangiato quella mela vivremmo tuttora come stupide vacche che pascolano nei campi.


Non capisco come mai dopo l’Illuminismo, dopo Sade, dopo Nietzsche, dopo Russell e la manifesta irragionevolezza della fede esistono al mondo persone che non solo seguitano a credere ma che nientemeno hanno potere.


Com’è strano il mio modus apparendi, pretendo sempre di essere capito e poi faccio di tutto per non esserlo.


Bello brutto, giusto sbagliato, bene male, ma che ne so.


Potenzialmente, se ci penso, mi sento un serial killer.


Se esiste la perfezione? Certamente, la Sinfonia n. 9 in re minore di Ludwing van Beethoven.


Dio dovrebbe imparare da Beethoven.


Il cielo stellato dentro me, la coscienza morale fuori di me.


La gola, la lussuria e la superbia, non necessariamente in quest’ordine, sono le mie virtù preferite.


Come un buon epicureista vivo nascosto.


In natura, forse, soltanto i libri possiedono un’anima. Alcuni però hanno una maggiore prepotenza rispetto agli altri; com’è nella natura delle cose.


L’immortalità, in ogni caso, non perdurerà nel tempo.


Contra dico, ergo sum.


Non mi importava di essere da più o da meno degli altri uomini, mi bastava di essere diverso.
(I. U. Tarchetti – Fosca)

13 set 2009

Una maledizione


Un promettente scrittore, non ancora immerso nelle luci della ribalta, soffriva di una malattia mortale. Non erano né l’angoscia né la disperazione intuite da Kierkegaard a perseguitarlo, bensì una maledizione colta nel momento stesso in cui scrisse ingenuamente il primo libro, una raccolta di scritti polemici sulla religione cristiana e non solo. Questo talentoso autore, fino ad allora incapace di ottenere un consenso per un’eventuale pubblicazione, aveva attirato su di sé l’anatema più terrificante che un narratore possa sopportare: era obbligato da una forza invisibile a scrivere incessantemente senza nemmeno una pausa, pena la morte o, nelle migliori delle ipotesi, l’oblio assoluto. In verità gli era concesso il riposo notturno, a patto che il sonno lo cogliesse mentre era intento a scrivere; ma, come è facile intuire, il pensiero di quel limite poco chiaro e ambiguo non lo rassicurava, e accadeva, alle volte, che non si addormentava affatto per dei giorni e delle notti intere. La sua donna, una ragazza dai capelli color tramonto, mossi nel modo in cui le onde del mare si sfiorano con lo zefiro di luglio, era fedelmente sempre vicino a lui. Stava continuamente lì, nello studio del ragazzo, del suo scrittore preferito, pronta ad esaudire qualunque ovvia necessità. Gli preparava da mangiare, lo lavava e lo vestiva, lo copriva con la coperta quando si addormentava, lo accarezzava tra i capelli nei momenti smisurati di sconforto; insomma lo amava. Dal canto suo, la esaltava nei fogli che vergava in una quantità impressionante, non esisteva altra musa, altra ispirazione più efficace. C’erano tuttavia, ed in realtà erano predominanti, lunghissime ore ininterrotte di assoluto vuoto, e in quei frangenti non poteva interrompere la scrittura, rischiava la pena già descritta. E così si abbandonava nelle pagine a sconfinati flussi di coscienza. Esprimeva istintivamente la rabbia contro la maledizione e, a sua volta, scatenava altrettante dannazioni addosso alla maledizione stessa, rasentando a tratti il parossismo della pazzia. In certi momenti, nel mentre la penna continuava a rigare pagine e pagine traboccanti urla e tuoni, meditava persino il suicidio, pensando di privarsi della scrittura. Eppure erano le parole stesse ad abbandonare tali propositi. L’incanto lo assoggettava; il piacere ineffabile capace di persuaderlo da qualsivoglia sospensione di giudizio, il pensiero medesimo di sussistere con le parole e per tramite delle parole era come esistere in decine, centinaia di vite insieme, era come vivere nell’Assoluto ed essere al contempo l’Assoluto… Dio. E godeva, godeva imparando a vivere quella vita resa possibile dall’inchiostro e dalla carta, dalle idee e dalle avventure, dai vaniloqui e dagli sproloqui. Un giorno però accadde l’imprevisto che segnò la sua vita. Astenendosi da un preannuncio palese, la biro, con la quale scriveva da pochi giorni ancora, terminò l’inchiostro, e la sua donna, la fedele ragazza ma ormai stanca di una cosiffatta vita, non aveva appositamente procurato di che sostituirla. Fu in uno sguardo di panico che lo scrittore dannato fissò gli occhi di lei, e dopo morì.

Un'ipotesi di romanzo tratto da:"Vaniloqui" di Salvatore Calafiore
Settembre 2005

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