Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 dic 2022

Proust e Vermeer - Lorenzo Renzi (Saggio - 1999)

"Ma in Proust la rivolta contro lo spirito del positivismo e del naturalismo coincideva con un dato di natura. Proust non era uno spirito esatto e, con il favore delle idee del tempo, non gli importava di esserlo".


Una figura appassionante della Recherche è sicuramente Bergotte, il vecchio scrittore che muore, quasi comicamente, davanti al quadro di Vermeer, La veduta di Delft. In quelle toccanti e magistrali pagine della Prigioniera, come sappiamo, c'è dietro un racconto autobiografico. L'episodio, infatti, ricalca l'esperienza che lo stesso Proust ha vissuto (con le ovvie dovute differenze) nel maggio del 1921, quando visitò l'esposizione di arte olandese al Jeu de Paume.

Bergotte muore fissando un dettaglio del quadro di Vermeer, l'ormai celebre petit pan de mur jane, il muretto giallo che può essere considerato la cifra e il senso della stessa opera artistica, e, come si sa in Proust, della vita stessa. Eppure quell'importantissimo dettaglio, così come descritto da Proust-Bergotte non è di facile identificazione. Secondo l'autore il muretto è un dettaglio che addirittura non esisterebbe; se non nella pagina del romanzo. Un oggetto che in molti hanno provato a individuare, ma che non trova una condivisione, nonostante rimandi al tema determinante nella poetica proustiana dell'immortalità dell'arte, dell'arte come resurrezione. Per il linguista vicentino, potremmo trovarci di fronte a una divisione, a uno sdoppiamento che porterebbe a un'associazione. Il piccolo muro del quadro, infatti, potrebbe essere all'estrema destra del quadro, mentre il colore giallo sarebbe quello del tetto colpito dal sole, un po' più verso il centro. Il muretto giallo, dunque, sarebbe il frutto di una condensazione tra verità oggettiva e soggettiva. Perché Proust non cerca l'esattezza positivista (come da sottotitolo Apologia dell'imprecisione), ma la verità del singolo, del soggetto che vede con i suoi occhi il mondo che lo circonda e di cui ne è parte allo stesso tempo.

15 dic 2022

Proust. I colori del tempo - Eleonora Marangoni (Saggio - 2022)

"Dalla vita si è presa tutto quel che poteva e, in fondo, con più grazia di altri. Non sono soltanto gli abiti che indossa a essere un capolavoro, è la sua stessa storia. Dissoluto, impuro, fortunato e astuto, il viola è l'unico in grado di conciliare le prepotenze del rosso e la tenerezza del blu, come Odette è stata l'unica a far incontrare la strada di Swann con quella dei Guermantes".


La Recherche, opera di per sé luminosissima, quasi abbagliante, è tale anche perché i colori la pennellano e la attraversano per intero. Lo stile di Proust è, infatti, coloratissimo, probabilmente il più colorato della letteratura. Scopriamo questa simbiosi inscindibile tra parole, idee, personaggi e colore dalle parole dell'autrice, un'autentica cultrice (oltre che studiosa) dell'opera proustiana. Secondo lei, e adesso sarà difficile confutarla, la teoria dei colori, l'atlante cromatico individuabile nella Recherche è la memoria stessa, una delle protagoniste assolute. Il colore è racconto, è storia; si sostituisce alla parola e riesce a cogliere legami e trame sottili che lega tra loro idee e personaggi. È, in fondo, un grimaldello che ci permette di scovare nei sotterranei della memoria le sinapsi tra i diversi ricordi. Proust dipinge impressioni che, fluide, scorrono nel tempo. La Recherche è, in questa originalissima luce, una pinacoteca i cui quadri sono le raffigurazioni cromatiche dei personaggi, di ciò che rappresentano in quanto concetti, e gli incolori corridoi rappresentano il tempo che scorre. Il colore è parola dunque, ma è anche simbolo, carico di senso, che racchiude in sé un microcosmo semantico ed emotivo. È, insomma, un'ossessione proustiana.

L'autrice, con la sua brillante rilettura, ci illumina e ci accompagna dentro questa galleria sterminata e affascinante che è il capolavoro proustiano. Così troviamo il giallo, il colore dell'aristocrazia, dei paesi difficili da raggiungere, della leggenda dei Germantes e dell'ipocrisia. Il blu è, invece, l'innocenza, l'ingenuità e la meraviglia che aristotelicamente ci spinge alla conoscenza. Il verde è il Tempo stesso, è il fiume eracliteo che scorre inesorabile e spietato. Il rosa, colore quasi stucchevole, è l'inconsistenza, l'artificiosità. Il viola è Odette in quanto forma immutabile, nonostante la mutevolezza delle sue categorie. Il rosso è l'arma del prestigio, è il colore dei potenti, ma anche della crudeltà e della pochezza di quest'ultimi. C'è spazio anche per una riflessione sul non colore, la non tinta del movimento veloce, della fugacità, come fugace è, in fondo, Albertine. Infine trovano spazio i silenziosi bianco e nero delle riproduzioni artistiche di fine Ottocento e primo Novecento, che hanno permesso a Proust di creare e urlare tutti i colori nella sua immaginazione. 

Il volume è prezioso, sia per le singolari intuizioni dell'autrice, sia per le ricchissime e bellissime illustrazione che lo corredano. Una chicca per gli appassionati, ma anche per chi vuole trovare un approccio diverso verso quel mondo, adesso coloratissimo, che è la Recherche. Da collocare in un posto di rilievo nella personale biblioteca proustiana.

14 dic 2022

Fra i miei occhiali e i tuoi - Gesualdo Bufalino, Marcello Venturoli (Lettere - 1979/1996)

"Creda dunque che conservo i miei bravi cadaveri nel cassetto. Solo che - ma a questo punto il discorso rischierebbe di farsi patetico - ogni mio tafferuglio con la pagina scritta (come certi amori che il possesso estingue) è stato a termine e volutamente privato. Sarà stato un precoce contatto col pensiero della morte (in gioventù ho sofferto per due anni di un male, certo di morirne); sarà un abito di disincanto acquistato frequentando i cataloghi d'antiquariato librario, veridici camposanti di ambizioni e commozioni sbagliate; sarà l'avarizia un po' narcisa di conservarmi lettore unico, privilegiato, non contestabile, delle mie cose, oppure, più umilmente, la difficoltà di accesso alle segrete macchine editoriali... certo finora ho cercato meno ascoltatori che complici".


Il carteggio tra il grande scrittore siciliano e il critico d'arte e poeta romano, che possiamo leggere per la prima volta, ha un che di affascinante e curioso. Tutto inizia nel 1978, quando Bufalino pubblica, come curatore, l'antologia fotografica Comiso ieri e manda una copia al famoso critico Venturoli. Da questo semplice pretesto, e dall'intuito di Venturoli, nasce uno scambio epistolare di alto livello culturale, ma anche, e direi soprattutto, di amicizia e intima stima. Tanto che Bufalino manderà alcuni dei suoi dattiloscritti inediti e, quando ormai famoso, scriverà la prefazione di alcune poesie e revisionerà molte delle opere edite, ma anche inedite, del poeta romano. 

Bellissime le primissime lettere di Venturoli, intuitive, intelligenti nell'individuare nella prosa bufaliniana una profondità letteraria non comune. Oltre che amico sincero (toccanti le lettere in cui si racconta come amico), è un raffinato lettore dell'opera bufaliniana. Acuta e potente la sua lettura delle poesie, per esempio, o di Calende greche.

Di Bufalino sono pregevoli le confessioni sul suo essere diviso tra il benessere del silenzio e il "riessere" scrittore pubblicante, così come le analisi stilistiche che fa sul suo modo di scrivere e di intendere la letteratura. E più si trova invischiato nei meandri della fama e delle scadenze letterarie, più Bufalino rievoca nostalgicamente il tempo in cui era uno sconosciuto professore di provincia. Sorprende, ma non troppo, l'attenzione alla letteratura nazionale a lui contemporanea nei nomi di Manganelli, Calvino, Sanguineti. È interessante notare che nelle lettere si scoprono disseminate frasi, aforismi, pensieri che si troveranno nelle opere edite del comisano. 

È il racconto di un'amicizia vera, affettuosa, come quando Bufalino scrive della morte del padre e, commosso e fraterno, Venturoli risponde. Amicizia senza invidia anche, come quando Bufalino diventa famoso dopo la pubblicazione di Diceria e, invece, Venturoli fa fatica a pubblicare i suoi lavori poetici e narrativi.

Un'affascinante scoperta, da conservare nella memoria. 

4 dic 2022

Finestra sul nulla - Emil Mihai Cioran (Aforismi - 1943/45)

"Le persone si stendono nella vita come su delle lenzuola, e quando camminano passano come ombre felici attraverso il loro sonno. Il tempo non ha ancora aperto loro gli occhi, i loro piedi non toccano spine. Ma quando il veleno ti ha corroso le palpebre affinché il mondo possa ferirti gli occhi, quando ogni cosa ti sfugge da sotto i piedi come se la nascita ti avesse precipitato nel vuoto, la cui unica legge è la tua afflizione, siediti dunque dove vuoi: ogni posto è una tomba senza fondo, ogni istante una vertigine di caduta. Perché tenerti ancora aggrappato in questo vasto crollo, nell'orrido dello sprofondamento, e dove trovare un oggetto per il tuo sconforto? Scivoli senza scampo nel deserto generale, infinitamente triste di non trovare foss'anche una parola per la tua tristezza. La vita è una fontana avvelenata dalle tue stesse labbra".


Ritrovati nella biblioteca Doucet, questa raccolta di frammenti è l'ultimo scritto in rumeno di Cioran. Il fallimento politico, morale, religioso, esistenziale che il giovane esiliato a Parigi sente fin dentro le ossa è vicino all'inutilità e alla rabbia. Stravolgendo secoli di pensiero occidentale, accodandosi ai più freschi e ai più putrescenti filosofi tragici, Cioran anche qui dimostra la sua straordinaria bravura nel riconoscere, e nel riconoscersi, figlio del vuoto, del Nulla. Vivisezionandosi, trova la verità non tanto nell'essere, quanto nel suo opposto, ovvero il Nulla, in quella dimensione silenziosa che domina il prima e il dopo la vita stessa. 

Solitario, cinico, scettico, disilluso, tragico, misantropo, vagabondo, in queste pagine inizia un nuovo sentiero, quello del distacco, quello che gli permetterebbe di raggiungere e di affacciarsi da quella finestra che dà sul Nulla. Afflitto dalla contraddizione, il filosofo si sente intossicato dagli altri, dall'essere, dall'esistenza; la lacrima (e la musica) rimane l'unico strumento di sopravvivenza. Un uomo che si scruta dentro e trova solo disperazione e putrefazione, dove solo le macerie dominano e l'angoscia e i dubbi si dissolvono nel momento in cui si realizza che l'unica certezza è il Nulla. Solo la musica, come si accennava, in questa vita di miseria e afflizione per alcuni brevissimi istanti è in grado di sospendere l'uomo dai dolori e dai desideri dell'esistenza. Eppure, come è evidente, anche la musica è effimera, è destinata al nulla. Ogni cosa inevitabilmente è destinata alla rovina. 

I grandi temi (l'insonnia, il tempo, lo scetticismo, la mistica, il rapporto conflittuale con il divino, la morte, la malattia, la musica, la nobiltà del fallimento, la difficoltà della parola) sono descritti in forma meno suadente e distruttiva del Cioran maturo. Se stilisticamente non sempre incisivo, come nei suoi capolavori, ciò non vuol dire che la penna del rumeno non sia carica di testate nucleari pronte a distruggere ogni forma di certezza.

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