La Recherche, opera di per sé luminosissima, quasi abbagliante, è tale anche perché i colori la pennellano e la attraversano per intero. Lo stile di Proust è, infatti, coloratissimo, probabilmente il più colorato della letteratura. Scopriamo questa simbiosi inscindibile tra parole, idee, personaggi e colore dalle parole dell'autrice, un'autentica cultrice (oltre che studiosa) dell'opera proustiana. Secondo lei, e adesso sarà difficile confutarla, la teoria dei colori, l'atlante cromatico individuabile nella Recherche è la memoria stessa, una delle protagoniste assolute. Il colore è racconto, è storia; si sostituisce alla parola e riesce a cogliere legami e trame sottili che lega tra loro idee e personaggi. È, in fondo, un grimaldello che ci permette di scovare nei sotterranei della memoria le sinapsi tra i diversi ricordi. Proust dipinge impressioni che, fluide, scorrono nel tempo. La Recherche è, in questa originalissima luce, una pinacoteca i cui quadri sono le raffigurazioni cromatiche dei personaggi, di ciò che rappresentano in quanto concetti, e gli incolori corridoi rappresentano il tempo che scorre. Il colore è parola dunque, ma è anche simbolo, carico di senso, che racchiude in sé un microcosmo semantico ed emotivo. È, insomma, un'ossessione proustiana.
L'autrice, con la sua brillante rilettura, ci illumina e ci accompagna dentro questa galleria sterminata e affascinante che è il capolavoro proustiano. Così troviamo il giallo, il colore dell'aristocrazia, dei paesi difficili da raggiungere, della leggenda dei Germantes e dell'ipocrisia. Il blu è, invece, l'innocenza, l'ingenuità e la meraviglia che aristotelicamente ci spinge alla conoscenza. Il verde è il Tempo stesso, è il fiume eracliteo che scorre inesorabile e spietato. Il rosa, colore quasi stucchevole, è l'inconsistenza, l'artificiosità. Il viola è Odette in quanto forma immutabile, nonostante la mutevolezza delle sue categorie. Il rosso è l'arma del prestigio, è il colore dei potenti, ma anche della crudeltà e della pochezza di quest'ultimi. C'è spazio anche per una riflessione sul non colore, la non tinta del movimento veloce, della fugacità, come fugace è, in fondo, Albertine. Infine trovano spazio i silenziosi bianco e nero delle riproduzioni artistiche di fine Ottocento e primo Novecento, che hanno permesso a Proust di creare e urlare tutti i colori nella sua immaginazione.
Il volume è prezioso, sia per le singolari intuizioni dell'autrice, sia per le ricchissime e bellissime illustrazione che lo corredano. Una chicca per gli appassionati, ma anche per chi vuole trovare un approccio diverso verso quel mondo, adesso coloratissimo, che è la Recherche. Da collocare in un posto di rilievo nella personale biblioteca proustiana.
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