Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 dic 2022

Proust e Vermeer - Lorenzo Renzi (Saggio - 1999)

"Ma in Proust la rivolta contro lo spirito del positivismo e del naturalismo coincideva con un dato di natura. Proust non era uno spirito esatto e, con il favore delle idee del tempo, non gli importava di esserlo".


Una figura appassionante della Recherche è sicuramente Bergotte, il vecchio scrittore che muore, quasi comicamente, davanti al quadro di Vermeer, La veduta di Delft. In quelle toccanti e magistrali pagine della Prigioniera, come sappiamo, c'è dietro un racconto autobiografico. L'episodio, infatti, ricalca l'esperienza che lo stesso Proust ha vissuto (con le ovvie dovute differenze) nel maggio del 1921, quando visitò l'esposizione di arte olandese al Jeu de Paume.

Bergotte muore fissando un dettaglio del quadro di Vermeer, l'ormai celebre petit pan de mur jane, il muretto giallo che può essere considerato la cifra e il senso della stessa opera artistica, e, come si sa in Proust, della vita stessa. Eppure quell'importantissimo dettaglio, così come descritto da Proust-Bergotte non è di facile identificazione. Secondo l'autore il muretto è un dettaglio che addirittura non esisterebbe; se non nella pagina del romanzo. Un oggetto che in molti hanno provato a individuare, ma che non trova una condivisione, nonostante rimandi al tema determinante nella poetica proustiana dell'immortalità dell'arte, dell'arte come resurrezione. Per il linguista vicentino, potremmo trovarci di fronte a una divisione, a uno sdoppiamento che porterebbe a un'associazione. Il piccolo muro del quadro, infatti, potrebbe essere all'estrema destra del quadro, mentre il colore giallo sarebbe quello del tetto colpito dal sole, un po' più verso il centro. Il muretto giallo, dunque, sarebbe il frutto di una condensazione tra verità oggettiva e soggettiva. Perché Proust non cerca l'esattezza positivista (come da sottotitolo Apologia dell'imprecisione), ma la verità del singolo, del soggetto che vede con i suoi occhi il mondo che lo circonda e di cui ne è parte allo stesso tempo.

15 dic 2022

Proust. I colori del tempo - Eleonora Marangoni (Saggio - 2022)

"Dalla vita si è presa tutto quel che poteva e, in fondo, con più grazia di altri. Non sono soltanto gli abiti che indossa a essere un capolavoro, è la sua stessa storia. Dissoluto, impuro, fortunato e astuto, il viola è l'unico in grado di conciliare le prepotenze del rosso e la tenerezza del blu, come Odette è stata l'unica a far incontrare la strada di Swann con quella dei Guermantes".


La Recherche, opera di per sé luminosissima, quasi abbagliante, è tale anche perché i colori la pennellano e la attraversano per intero. Lo stile di Proust è, infatti, coloratissimo, probabilmente il più colorato della letteratura. Scopriamo questa simbiosi inscindibile tra parole, idee, personaggi e colore dalle parole dell'autrice, un'autentica cultrice (oltre che studiosa) dell'opera proustiana. Secondo lei, e adesso sarà difficile confutarla, la teoria dei colori, l'atlante cromatico individuabile nella Recherche è la memoria stessa, una delle protagoniste assolute. Il colore è racconto, è storia; si sostituisce alla parola e riesce a cogliere legami e trame sottili che lega tra loro idee e personaggi. È, in fondo, un grimaldello che ci permette di scovare nei sotterranei della memoria le sinapsi tra i diversi ricordi. Proust dipinge impressioni che, fluide, scorrono nel tempo. La Recherche è, in questa originalissima luce, una pinacoteca i cui quadri sono le raffigurazioni cromatiche dei personaggi, di ciò che rappresentano in quanto concetti, e gli incolori corridoi rappresentano il tempo che scorre. Il colore è parola dunque, ma è anche simbolo, carico di senso, che racchiude in sé un microcosmo semantico ed emotivo. È, insomma, un'ossessione proustiana.

L'autrice, con la sua brillante rilettura, ci illumina e ci accompagna dentro questa galleria sterminata e affascinante che è il capolavoro proustiano. Così troviamo il giallo, il colore dell'aristocrazia, dei paesi difficili da raggiungere, della leggenda dei Germantes e dell'ipocrisia. Il blu è, invece, l'innocenza, l'ingenuità e la meraviglia che aristotelicamente ci spinge alla conoscenza. Il verde è il Tempo stesso, è il fiume eracliteo che scorre inesorabile e spietato. Il rosa, colore quasi stucchevole, è l'inconsistenza, l'artificiosità. Il viola è Odette in quanto forma immutabile, nonostante la mutevolezza delle sue categorie. Il rosso è l'arma del prestigio, è il colore dei potenti, ma anche della crudeltà e della pochezza di quest'ultimi. C'è spazio anche per una riflessione sul non colore, la non tinta del movimento veloce, della fugacità, come fugace è, in fondo, Albertine. Infine trovano spazio i silenziosi bianco e nero delle riproduzioni artistiche di fine Ottocento e primo Novecento, che hanno permesso a Proust di creare e urlare tutti i colori nella sua immaginazione. 

Il volume è prezioso, sia per le singolari intuizioni dell'autrice, sia per le ricchissime e bellissime illustrazione che lo corredano. Una chicca per gli appassionati, ma anche per chi vuole trovare un approccio diverso verso quel mondo, adesso coloratissimo, che è la Recherche. Da collocare in un posto di rilievo nella personale biblioteca proustiana.

14 dic 2022

Fra i miei occhiali e i tuoi - Gesualdo Bufalino, Marcello Venturoli (Lettere - 1979/1996)

"Creda dunque che conservo i miei bravi cadaveri nel cassetto. Solo che - ma a questo punto il discorso rischierebbe di farsi patetico - ogni mio tafferuglio con la pagina scritta (come certi amori che il possesso estingue) è stato a termine e volutamente privato. Sarà stato un precoce contatto col pensiero della morte (in gioventù ho sofferto per due anni di un male, certo di morirne); sarà un abito di disincanto acquistato frequentando i cataloghi d'antiquariato librario, veridici camposanti di ambizioni e commozioni sbagliate; sarà l'avarizia un po' narcisa di conservarmi lettore unico, privilegiato, non contestabile, delle mie cose, oppure, più umilmente, la difficoltà di accesso alle segrete macchine editoriali... certo finora ho cercato meno ascoltatori che complici".


Il carteggio tra il grande scrittore siciliano e il critico d'arte e poeta romano, che possiamo leggere per la prima volta, ha un che di affascinante e curioso. Tutto inizia nel 1978, quando Bufalino pubblica, come curatore, l'antologia fotografica Comiso ieri e manda una copia al famoso critico Venturoli. Da questo semplice pretesto, e dall'intuito di Venturoli, nasce uno scambio epistolare di alto livello culturale, ma anche, e direi soprattutto, di amicizia e intima stima. Tanto che Bufalino manderà alcuni dei suoi dattiloscritti inediti e, quando ormai famoso, scriverà la prefazione di alcune poesie e revisionerà molte delle opere edite, ma anche inedite, del poeta romano. 

Bellissime le primissime lettere di Venturoli, intuitive, intelligenti nell'individuare nella prosa bufaliniana una profondità letteraria non comune. Oltre che amico sincero (toccanti le lettere in cui si racconta come amico), è un raffinato lettore dell'opera bufaliniana. Acuta e potente la sua lettura delle poesie, per esempio, o di Calende greche.

Di Bufalino sono pregevoli le confessioni sul suo essere diviso tra il benessere del silenzio e il "riessere" scrittore pubblicante, così come le analisi stilistiche che fa sul suo modo di scrivere e di intendere la letteratura. E più si trova invischiato nei meandri della fama e delle scadenze letterarie, più Bufalino rievoca nostalgicamente il tempo in cui era uno sconosciuto professore di provincia. Sorprende, ma non troppo, l'attenzione alla letteratura nazionale a lui contemporanea nei nomi di Manganelli, Calvino, Sanguineti. È interessante notare che nelle lettere si scoprono disseminate frasi, aforismi, pensieri che si troveranno nelle opere edite del comisano. 

È il racconto di un'amicizia vera, affettuosa, come quando Bufalino scrive della morte del padre e, commosso e fraterno, Venturoli risponde. Amicizia senza invidia anche, come quando Bufalino diventa famoso dopo la pubblicazione di Diceria e, invece, Venturoli fa fatica a pubblicare i suoi lavori poetici e narrativi.

Un'affascinante scoperta, da conservare nella memoria. 

4 dic 2022

Finestra sul nulla - Emil Mihai Cioran (Aforismi - 1943/45)

"Le persone si stendono nella vita come su delle lenzuola, e quando camminano passano come ombre felici attraverso il loro sonno. Il tempo non ha ancora aperto loro gli occhi, i loro piedi non toccano spine. Ma quando il veleno ti ha corroso le palpebre affinché il mondo possa ferirti gli occhi, quando ogni cosa ti sfugge da sotto i piedi come se la nascita ti avesse precipitato nel vuoto, la cui unica legge è la tua afflizione, siediti dunque dove vuoi: ogni posto è una tomba senza fondo, ogni istante una vertigine di caduta. Perché tenerti ancora aggrappato in questo vasto crollo, nell'orrido dello sprofondamento, e dove trovare un oggetto per il tuo sconforto? Scivoli senza scampo nel deserto generale, infinitamente triste di non trovare foss'anche una parola per la tua tristezza. La vita è una fontana avvelenata dalle tue stesse labbra".


Ritrovati nella biblioteca Doucet, questa raccolta di frammenti è l'ultimo scritto in rumeno di Cioran. Il fallimento politico, morale, religioso, esistenziale che il giovane esiliato a Parigi sente fin dentro le ossa è vicino all'inutilità e alla rabbia. Stravolgendo secoli di pensiero occidentale, accodandosi ai più freschi e ai più putrescenti filosofi tragici, Cioran anche qui dimostra la sua straordinaria bravura nel riconoscere, e nel riconoscersi, figlio del vuoto, del Nulla. Vivisezionandosi, trova la verità non tanto nell'essere, quanto nel suo opposto, ovvero il Nulla, in quella dimensione silenziosa che domina il prima e il dopo la vita stessa. 

Solitario, cinico, scettico, disilluso, tragico, misantropo, vagabondo, in queste pagine inizia un nuovo sentiero, quello del distacco, quello che gli permetterebbe di raggiungere e di affacciarsi da quella finestra che dà sul Nulla. Afflitto dalla contraddizione, il filosofo si sente intossicato dagli altri, dall'essere, dall'esistenza; la lacrima (e la musica) rimane l'unico strumento di sopravvivenza. Un uomo che si scruta dentro e trova solo disperazione e putrefazione, dove solo le macerie dominano e l'angoscia e i dubbi si dissolvono nel momento in cui si realizza che l'unica certezza è il Nulla. Solo la musica, come si accennava, in questa vita di miseria e afflizione per alcuni brevissimi istanti è in grado di sospendere l'uomo dai dolori e dai desideri dell'esistenza. Eppure, come è evidente, anche la musica è effimera, è destinata al nulla. Ogni cosa inevitabilmente è destinata alla rovina. 

I grandi temi (l'insonnia, il tempo, lo scetticismo, la mistica, il rapporto conflittuale con il divino, la morte, la malattia, la musica, la nobiltà del fallimento, la difficoltà della parola) sono descritti in forma meno suadente e distruttiva del Cioran maturo. Se stilisticamente non sempre incisivo, come nei suoi capolavori, ciò non vuol dire che la penna del rumeno non sia carica di testate nucleari pronte a distruggere ogni forma di certezza.

20 nov 2022

Proust senza tempo - Alessandro Piperno (Saggio - 2022)

"Il processo ricordava parecchio quello dell'ipnosi: la fitta pagina proustiana mi ondeggiava davanti agli occhi come un pendolo, provocando una specie di trance: la fusione tra me e il testo era talmente promiscua da favorire il dubbio un po' bizzarro che ciò che stavo leggendo lo conoscessi già. L'aria di famiglia che respiravo era l'effetto di un trucco, lo sapevo, ma per quanto stessi li a ripetermelo continuavo a sospettare di non essere alle prese con un nuovo libro da leggere ma con un flusso di cose già presenti in me, che quei segnetti sulla pagina contribuivano a far riemergere in superficie nel modo più libero e commovente".


Su Marcel Proust si è detto tutto (o quasi). Così la tendenza, oggi, è quella di raccontare il rapporto che il lettore ha, dall'accademico al lettore comune, con l'opera e la biografia del genio parigino. Diviso in due parti, la prima si può inserire all'interno di questo schema interpretativo. È, infatti, la presa d'atto di un momento particolare, di un momento epocale della vita di un ricercatore che per tutta la vita si è confrontato con l'immensa opera proustiana. È una confessione che segue la cifra stilistica e riflessiva che va da Agostino a Proust stesso passando per Montaigne; è un'autobiografia che l'autore racconta. Ovvero la sua storia con la Recherche di Proust, il cui primo volume ricevette come regalo di Natale durante l'ultimo anno di liceo. Perplesso inizialmente (lo stile tentacolare di Proust, si sa, la prima volta è spiazzante), ne rimane affascinato in modo inesorabile dopo. Un incontro felice, dunque, che lo scrittore romano ha coltivato intellettualmente per anni. Proust che diventa un veleno che non ha antidoti insomma, che si diffonde in ogni cellula e ti cambia la vita per sempre (argomenti e dinamiche che i proustiani riconoscono facilmente, che io riconosco). Ma nel suo racconto, nell'evoluzione della sua passione, c'è anche uno studioso che quasi (sebbene non sia possibile) prova a curarsi da quella malattia. Si avverte, infatti, quasi una forma di disincanto che prefigura, almeno sembra, una cesura nella sua vita di studioso e appassionato lettore proustiano. Con l'occhio dello scienziato, Piperno tratteggia un Proust un po' cinico, che non crede nell'amore perché non ne ha colto il senso, che ha come scopo esistenziale quello di essere ricordato anche dopo la morte. Un dialogo con se stesso alla ricerca di una verità che nel tempo si è evoluta, trasformata, che è diventata, da passione viscerale quale era, puro affetto filiale. E così Proust è diventato per Piperno il metro di giudizio per affrontare se stesso e anche gli altri autori incontrati durante la sua vita di lettore-studioso.

La seconda parte, difatti, è dedicata al confronto, per analogia o per contrasto, con altri autori. Alla maniera parallela di Plutarco, o alla maniera di Cioran, sono esercizi di ammirazione. Leggiamo quindi della comparazione tra Montaigne e Proust. Entrambi hanno vissuto un'infanzia felice, spensierata, di affetto genitoriale; hanno discendenza mista (ebrea e cattolica); sono scettici; si sono isolati per la loro opera e hanno analizzato le contraddizioni umane. 

Leggiamo di Proust e Céline. Sebbene antitetici (tutti ricordano i giudizi sprezzanti di quest'ultimo nei confronti dell'autore della Recherche), hanno entrambi avuto coscienza dell'importanza del loro stile. C'è la malattia, l'idea tragica della vita, hanno dato voce all'odio contro gli ebrei. 

Leggiamo di Proust e Nabokov. Nonostante quest'ultimo non sia del tutto attento alla magia del tono proustiano, condivide con il francese l'infanzia felice e il ritorno con la memoria a quell'epoca privilegiata. Una memoria, però, diversa: incostante e imprecisa quella del francese, precisa e perfetta quella del russo.

Leggiamo di Proust e Balzac. Stilisticamente differenti, ma con una spregiudicatezza compositiva e architettonica unica.

Leggiamo di Proust e Dante. Vicini per il tema della morte in loro così ossessiva, per il loro bisogno di salvezza, per il loro misticismo artistico, per la vendicativa legge del contrappasso. 

Leggiamo di Proust e Woolf, forse il saggio più bello. Entrambi snob, omosessuali, che mettono al centro della loro riflessione esistenziale l'arte, anziché la vita vissuta. 

Infine leggiamo di Proust e Roth, anche lui sedotto dal tempo ritrovato.

Nonostante tutto, nonostante quel senso di distacco e di presa di coscienza, con una penna seducente ma anche carica di inchiostro avvelenato, si legge tutta la passione che Piperno continua ad avere (e non potrebbe essere altrimenti) verso Marcel Proust.

6 nov 2022

Viva Gioconda! - Salvatore Fiume (Romanzo - 1943)

"La pioggia cadde per quindici giorni e quel maltempo, tutto d'un tratto, cambiò faccia al paese. Le case divennero scure e gonfie. Le grondaie piansero l'estate perduta, e gl'innamorati avevano paura d'uscire. Nel buio grigio della mia casa stavamo io e mia madre. Mio padre tornava due volte al giorno per mangiare e correva, con l'ombrello sulla testa, in bottega, appena finito. Mia madre rimaneva in cucina e mi guardava, da lì dentro, quando non mi sentiva più muovere io me ne stavo con le ginocchia strette, seduto vicino alla tenda dell'alcova e fissavo la finestra col vetro rotto, pensando alla Gioconda. Mio cugino non girava con suo padre per la posta, perciò da lei non avevo più lettere. Anche lei mi pensava da casa sua, sentendosi rimbalzare la mente in testa, perché io, da casa mia, la chiamavo col fiato, a bruciapelo".


In un'atmosfera crepuscolare, quasi notturna, si dipana il romanzo autobiografico di un pittore che sa bene come pennellare immagini anche con le parole. Il narratore è Totò (lo stesso Salvatore Fiume) che si innamora di Gioconda, una sua coetanea di 11 anni. Ma i veri protagonisti della storia non sono loro e la loro tormentata storia d'amore, ma sono Comiso e gli intrighi, i pettegolezzi, le superstizioni e le beghe dei comisani. C'è, infatti, il calzolaio Don Giovannino che scrive struggenti lettere d'amore alla figlia del sacrestano Maddalena, innamorata anche lei di un amore corrisposto ma vietato dai genitori; c'è il farmacista che si fa accompagnare dalle guardie dopo un alterco con il padre del narratore-fanciullo; c'è l'incompetente avvocato che non riesce a difendere il calzolaio; c'è il cugino di Totò, anche lui dispettoso e monello, che accompagna il padre postino e che ha il compito di recapitare le lettere che i due bambini si scambiavano. C'è, anche, il funerale del nonno del cugino; c'è il clima di fine estate che lentamente lascia spazio ai primi freschi autunnali; ci sono i genitori del ragazzo innamorato, con il racconto della loro storia d'amore e che con la loro saggezza popolare e i loro battibecchi accompagnano il lettore con ironia e tenerezza. Come quando il padre litiga con il farmacista e poi con il prete e per questo è accusato di diffamazione. C'è anche la beneficenza nel periodo natalizio per rinnovare la scuola; ci sono le rocambolesche serenate notturne sotto i balconi delle ragazze del paese; c'è l'arrivo della spagnola; c'è la Pasqua con i suoi misteri e la morte di un anziano ricco. È, dunque, un romanzo corale, in cui è descritta una povera Comiso che non c'è più, una Sicilia che non c'è più. Il romanzo si può leggere come un documento storico sugli usi e i costumi dei siciliani nella prima metà del Novecento, e anche un paio di decenni più in qua. 

Ma nell'intimo della sua bellezza, resta un regalo che l'autore ha donato alla memoria dei suoi genitori e alla sua infanzia ritrovata in queste pagine.

Lo stile, nonostante possa sembrare desueto, rimane fresco e allegro, pieno di saporite immagini e di affascinanti e raffinate metafore. Alcune pagine ricordano Bufalino. Forse un po' prolisso, rimane comunque un romanzo poetico, nostalgico, bellissimo. 

11 ott 2022

L'angelo della notte - Giovanni Macchia (Saggio - 1979)

"Una delle grandi intuizioni di Proust fu quella d'aver messo una realtà che muta di fronte ad un io che anch'esso muta, e che, nella confusione delle forme di un passato che si rivela, soltanto a tratti riesce a raggiungere una sua coscienza: a essere il portatore di verità. E poiché la verità è una cosa sola con l'arte, la scoperta della sua vocazione di scrittore si svolge lentamente, verso uno stadio di meditazione e di coscienza teorica. È il viaggio nell'esperienza di uno scrittore che mano a mano realizza con sempre maggior convinzione la certezza di non farcela, di essere un incapace, e giunge fino a maturare un disgusto sempre maggiore per la letteratura. Eppure il senso del proprio fallimento non gli impedisce di continuare a scrivere, a scrivere un romanzo dove quella coscienza resta aperta, dolorante, divisa".


L'angelo della notte è lo stesso Marcel Proust che come un gufo vive di notte, recluso e solitario nella sua stanza insonorizzata e che riesce a vedere chiaramente il pericolo della morte che incombe dietro l'angolo. Un angelo alleato con la volontà e il pensiero (altri angeli sterminatori). Paradossalmente, però, Proust, che in vita è stato accusato di essere privo di volontà, ha scritto un'opera che è il risultato più straordinario, caparbio e disperato della volontà stessa, di quell'angelo che gli stringeva una mano mentre con l'altra sul suo letto cambiava la storia della letteratura.

Scritto con una penna raffinata, il volume racconta la biografia (e la psicologia) dell'immenso scrittore parigino attraverso le sue opere. E così da I piaceri e i giorni, i racconti della morte, dell'innocenza e dell'adolescenza a Jean Santeuil, dove la stessa innocenza è lontana e i turbamenti che nascono dal conflitto psicologico di Proust nei confronti dell'omosessualità diventano meno estremi, passando dall'epistolario, si possono trovare dei grimaldelli per comprendere meglio la sua opera ultima, il suo capolavoro. Si arriva, quindi, alla Recherche, l'opera sublime di un malato che sa cos'è la morte. Ed è qui che si assiste a una trasformazione: l'amore (anche quello omosessuale, anche quello lontano nel tempo) diventa gelosia, diventa morbosa conoscenza, ricerca di verità e pure i peccati del passato devono essere conosciuti. Dunque, la malattia e la morte sono onnipresenti nella sua opera. Basti pensare a quanto la morte della madre segni un momento decisivo per Proust. Ma anche il tema dell'omosessualità è motivo di malattia. Il giovane Proust, infatti, che lotta contro la sua natura omosessuale è Andromeda, incatenato a uno scoglio in attesa che lo raggiunga la morte. Eppure, improvvisamente, arriva l'improbabile salvezza di Perseo, sotto le spoglie dell'Arte, che si innamora perdutamente di Andromeda-Proust. Così, come Noè nella sua Arca, Proust si è rinchiuso volontariamente nella sua camera-Arca. E allo stesso modo di una nuova Shahrazàd ha trovato la vita e la forza di lottare nell'Arte. 

Non mancano altri superbi spunti di riflessione. La vicinanza del parigino al sofferente e malato Dostoevskij  (il sadismo e il tema del parricidio presenti in entrambi, sebbene in Proust non sgorga alcuna goccia di sangue); la solitudine del peccatore come nei tragici greci; l'anticipatore di alcune intuizioni poi sviluppate da Freud; la vicinanza a Vermeer e le suggestioni della sua pittura. Curiosa e da approfondire, infine, l'ipotesi sull'ultima polmonite che porterà Proust alla morte, da imputare a un'uscita notturna e a una lunga attesa al freddo per incontrare un domestico a cui era particolarmente affezionato.

Libro necessario, da avere ad ogni costo nella libreria di un proustiano!

19 set 2022

Il monaco - Matthew Gregory Lewis (Romanzo - 1796)

"Colpa, ho detto? Ma in che cosa consiste la nostra, se non nell'opinione di un mondo in malafede? Se lasciamo che quel mondo ignori le nostre gioie, esse diventeranno divine e innocenti! I tuoi voti di celibato sono contro natura; l'uomo non fu creato per essere solo, e se l'amore fosse un delitto, Dio non l'avrebbe creato così bello e irresistibile. Allontana dunque quelle nubi dalla tua fronte, Ambrosio mio... abbandonati liberamente a quei piaceri senza i quali la vita diventa un dono spregevole. Cessa di rimproverarmi perché ti ho insegnato cos'è la felicità, e contraccambia la passione della donna che ti adora!"


Tra i più importanti e rappresentativi romanzi gotici, Il monaco possiede tutte le peculiarità del genere, sebbene sia stato scritto da un ventenne. La trama è abbastanza semplice, nonostante il racconto non sia sempre lineare. Il protagonista, Ambrosio, un orfano divenuto superiore dei Cappuccini di Madrid, vive nella santità, ma quando scopre che Rosario, il novizio che cerca di emularlo e lo segue in ogni passo, tanto da stringere un fortissimo legame di amicizia, in realtà è una ragazza, Matilde, cade nella tentazione e nel peccato della lussuria. Matilde, infatti, è seducente, irresistibile e per mezzo di arti magiche porterà alle più obbrobriosi azioni il giovane Ambrosio. Il monaco, ancora considerato santo da tutti, non più sazio di Matilde si innamora di Antonia, una giovane vergine che riuscirà a violentare, ma solo dopo aver ucciso Elvira, la madre della ragazza. Subito dopo il delitto, un gruppo di soldati scopre il nascondiglio dove si era consumata la violenza carnale e trovano Ambrosio con in mano il pugnale con il quale aveva appena ucciso Antonia. Insieme a Matilde, la sua complice, è consegnato all'Inquisizione, dove è torturato e condannato al rogo. Ambrosio, disperato e impaurito decide, come Matilde, di vendere l'anima al diavolo, così Lucifero lo fa evadere portandolo in volo su un dirupo. E qui gli svela la triste verità della sua storia di orfano e dei suoi edipici delitti commessi, indotti dallo stesso demonio sotto le sembianze di Matilde. Elvira, infatti, era sua madre e Antonia sua sorella...

Romanzo letto la prima volta una ventina di anni fa nella versione di Antonin Artaud, quando questo genere di storie andrebbe letto. Le impressioni, oggi, non sono inevitabilmente più le stesse. Resta comunque un romanzo da leggere per capire come nella storia la letteratura abbia in questo capitolo uno dei suoi momenti più importanti. Sebbene si avvertano in modo primordiale primi cenni psicologici dei personaggi che anticipano il romanzo ottocentesco, le situazioni restano ingenue. Gli amori descritti nascono con estrema semplicità; le storie d'amore negate si risolvono con sotterfugi e menzogne; gli intrighi amorosi sono frivoli e si dilungano per lunghissime pagine. Come la storia di Don Raymond marchese di Las Cisternas e Agnes che, in un modo un po' contorto, alla fine si interseca con quella centrale di Ambrosio, Matilde e Antonia. 

Resta in ogni caso un romanzo trasgressivo, violento, sadico, morboso. È, in fondo, un saggio sul bene e sul male, sulla tentazione, l'orgoglio e il peccato. È il romanzo sulla perdita dell'innocenza e la caduta dell'uomo verso gli abissi più bui dello spirito.

18 set 2022

Questa puttana mi farà morire - Louis de Rouvroy Duca de Saint-Simon (Saggio - 1749)

"Luigi XIV fu un uomo eccezionalmente egoista. Considerava gli altri, chiunque essi fossero, solo in rapporto a sé. In ogni sua disposizione, inflessibile. Nessuna delle dame di corte e delle sue amanti poté mai sottrarsi a uno spostamento, a prescindere dalle condizioni in cui si trovava. Che fossero incinte, malate o avessero partorito da un mese, non faceva differenza. Bisognava comunque essere eleganti, ingioiellate e strette nei propri corsetti. Bisognava che fossero sempre gaie, di compagnia, di buon appetito, desiderose di ballare fino a notte fonda, e non temere né caldo né freddo né polvere. La sua carrozza era sempre piena di donne: prima le sue amanti, poi le bastarde, le nipoti e altre se rimaneva posto".


Tratti dalle Memorie, gli aneddoti, gli intrighi, i pettegolezzi, gli scherzi, le disavventure e le facezie di corte raccontate in questo volume sono ambientate alla corte di Luigi XIV, il famigerato Re Sole. Documenti storici fedeli nella cronaca, ma prepotentemente passionali, hanno un altissimo valore letterario, tanto che Saint-Simon è stato fonte d'ispirazione, tra gli altri, anche di Proust.

La corte è il centro del mondo e i protagonisti (dame, principi, duchesse, duchi, conti, fratello e figlio del re, tutti gli intimi del sovrano insomma) e i loro complotti sono raccontati con il piglio dello storico e anche con lo sguardo dello psicologo. Saint-Simon pretende (e ci riesce) di scavare gli eventi, il carattere e la psicologia dei personaggi delle sue storie.

È un libro per farsi un'idea della sterminata opera dello scrittore francese, che offre un panorama illustrativo e a tratti desolante della corte di Luigi XIV.

Edizione colma di fastidiosi refusi.


8 lug 2022

Il bestiario di Proust - Daria Galateria (Saggio - 2022)

"Ecco dunque gli animali che servono a Proust a raccontare la sua vita di scrittore: la stanza notturna in cui è rinchiuso, e il tempo destinato ai suoi quaderni, e a quella specie di sua parziale resurrezione cui sono destinati. Si è identificato con le bestie che hanno gli organi destinati al piacere altrettanto mal congegnati del suo, ma ne ha scritto solo nei quaderni preparatori. A volte sono gli altri, che chiamano Proust col nome di animali".


Ne  Alla ricerca del tempo perduto, secondo l'autrice, non siamo solo di fronte a un'immensa cattedrale gotica, ma anche a un'arca di Noè carica di animali. Messi in salvo da Proust-Noè, sono i suoi animali perduti, vissuti in vita o nelle sue letture, descritti in lettere, poesie, racconti e romanzi. Sono soprattutto bestie che per la loro stessa conformazione fisica non possono amare, che non possono nemmeno baciarsi, come balene, cervi o ricci. Persino lo stesso Proust è un animale, è un gufo per via delle sue abitudini che lo portavano a vivere la notte più che il giorno. 

L'estrema sensibilità lo porta a pensare con orrore alla caccia, all'equitazione. Gli zoo sono motivo di sofferenza, come quello di Parigi che si staglia sullo sfondo dei ricordi con i suoi animali incatenati che hanno perso la loro storia e la loro sfida con il tempo. 

Saggio tematico che rivaluta la presenza degli animali nell'opera proustiana (fino adesso ritenuta, invece, priva o quasi di riferimenti bestiari) e che li cataloga tutti dalla A di Alcione alla Z di zebra. Per ogni bestia è descritta l'evoluzione simbolica nel Tempo, perché tutti, chi più chi meno, subiscono una metamorfosi che permette all'autrice di analizzare la psicologia, tra simboli e condensazioni, dell'animale notturno Proust che vola solo dopo il crepuscolo. 

26 giu 2022

I piaceri e i giorni - Marcel Proust (Racconti - 1896)

"Le sue mani si agitarono febbrilmente. Ad un tratto udì un piccolo suono argentino, impercettibile e profondo come un battito di cuore. Era il suono delle campane di un villaggio molto lontano che quella sera, grazie all'aria così limpida e al vento propizio, aveva attraversato molte pianure e fiumi prima di essere percepito dal suo orecchio fedele. Era una voce presente e pure antica; adesso udiva il suo cuore battere col suono armonioso, sospeso all'attimo in cui sembravano aspirarlo, morendo poi lungamente e debolmente con esse. In ogni momento della sua vita, quando udiva il suono lontano delle campane, ricordava suo malgrado la loro dolcezza nell'aria della sera, quando, ancor bambino, rientrava al castello dai campi".


Dedicata all'amico prematuramente scomparso Willie Heath, sullo sfondo del mondo dei salotti di Parigi, del quartiere del Fauborug Saint-Germain, del Decadentismo elegante del conte Robert de Montesquieu (il dandy che ha ispirato Proust per il suo pederasta Barone di Charlus) il volume raccoglie poemi in prosa, frammenti, improvvisazioni, poesie dedicate a pittori e musicisti e racconti brevi, che dal titolo rievoca le Opere e i giorni di Esiodo.

Introdotti brevissimamente dalla penna arguta di Anatole France, ci troviamo di fronte al primo tentativo letterario di un giovanissimo Proust che inizia il suo personale colloquio con il Tempo, con la mondanità, con l'abitudine, con la malinconia, con la gelosia, con i sogni futuri (i temi di fondo dell'opera) che in qualche modo anticipa ciò che sarà espresso magnificamente nella Recherche. Certo, sono piccole e raffinate pitture, ingenue se vogliamo, acerbe, languide, anche un po' snob, ma esprimono un sentimento vero e una sensibilità straordinaria già evidenti in alcune sporadiche pagine. Come ne La confessione di una ragazza, quando leggiamo ammaliati di un bacio della buonanotte della madre, quando avvertiamo un sentimento malinconico verso gli anni perduti dell'adolescenza e poi ritrovati nella memoria.

19 giu 2022

Le piccole speranze - Annalisa Trabacchi (Romanzo - 2021)

"Stasera, invece, il suo odore mi porta in un luogo conosciuto e familiare, senza accendermi. Lui mi abbraccia, recupera dalla tasca la mano e circonda le mie spalle con il braccio. Come due fratelli, come due alleati, come due amici.

Non diciamo niente, rimaniamo in piedi, mentre Pietro e Carlina si sono seduti più avanti, dove hanno trovato una larga pietra piatta al riparo dagli spruzzi. Guardiamo insieme i fuochi che stanno iniziando e, come sempre, sono barocchi e bellissimi. Nessuno dei due ha l'impulso di trasformare questo abbraccio in un bacio, in un contatto appassionato. La tenerezza di questo momento è struggente, profondamente intrisa di malinconia".


Con ironia (e si sa, l'ironia è sinonimo di intelligenza), con profondità sentimentale, con uno stile scorrevole e coinvolgente, in queste pagine leggiamo di una donna che sente il bisogno di cogliere e conquistare una maggiore consapevolezza di sé. Sembra un percorso dunque, in cui sono i piccoli eventi che smuovono la propria percezione, come il profumo di bagnoschiuma del marito, una scarpa con i tacchi da provare, una caduta. Momenti che portano Teresa, quasi pirandellianamente, a domandarsi del suo senso esistenziale, a vedersi come una donna a un bivio: o donna che continua a vivere nella routine, oppure donna condannata a cercare una libertà e una dimensione che la appaghino. 

L'abitudine, quindi, diventa protagonista in queste pagine; lascia a Teresa un senso di rimpianto, che, inizialmente, si tramuta in progetti e sogni ad occhi aperti. La sua vita galleggia su un fiume di normalità e ingenua insoddisfazione: un marito verso cui nutre un sentimento distaccato, due figli adolescenti, un lavoro che le lascerebbe spazio e tempo per sé, qualche buona amica. Non è solo lei, però, che avverte quel sentimento di mancanza; quasi tutti i personaggi percepiscono che qualcosa nella loro esistenza langue, manca. E tutti hanno piccoli sogni da realizzare, possibile speranze che in fondo sono là, dietro l'angolo, e basterebbe solo avere un pizzico di coraggio per acchiapparle. 

Nella routine di Teresa, però, arriva l'imprevisto, l'ingranaggio che mette in moto un altro motore della vita. Ricompare nella sua vita Caterina, un'amica di liceo e di università che da vent'anni si è dileguata nel silenzio. Insieme all'amica ritrovata c'è Ben, il figlio che vive nel limbo tra l'adolescenza e la maturità, a cui Teresa darà lezioni di italiano e di vita. Il confronto (e anche lo scontro) con Caterina la destabilizza, pone Teresa di fronte a nuove possibili visioni del mondo. Ed è in questa nuova prospettiva che l'insoddisfazione matura, cresce fino ad esplodere alla fine del romanzo (ma già annunciato sin dalle primissime pagine) in un atto di rottura volontario in fondo, cercato, desiderato; ed è così che si trova un nuovo equilibrio; si trovano quelle nuove piccole speranze che ci permettono di sorridere alla vita.

Un romanzo sul coraggio e la voglia di cambiare la propria vita. Piacevolmente scorrevole, da portare dentro di sé e il cui ricordo ci accennerà un sorriso tra le labbra. Brava!

5 giu 2022

I miei paradossi - Emil Mihai Cioran (Saggio - 1974)

"Ebbene, per me è un'esperienza personale. Quando vedo un bambino, o ad esempio un neonato, divento terribilmente triste. Quando i miei amici mi spediscono un annuncio di nascita, non so mai come rispondere. Non posso affatto rispondere. Non potrei assolutamente assumermi la responsabilità di gettare qualcuno in questo mondo. E se la vita, l'uomo, la storia, domani dovessero cessare, non sarei triste".


L'intervista con Leonhard Reinisch, di cui possiamo leggere in appendice un breve saggio del 1982, E. M. Cioran, il maestro della rovina, è centrata soprattutto sul valore del pessimismo, sulla morte (e quindi sulla vita e quindi sul suicidio) e sul valore mistico del paradosso. Cioran, assurdo ed estremo nel suo scetticismo e cinismo, ha sempre vissuto ai margini della vita; una vita inconcepibile, ma a 65 anni si meraviglia di essere vivo, di non essere ancora morto. Ciò lo deve, come sappiamo, all'idea della possibilità del suicidio, un'idea che paradossalmente alimenta la vita, un'esistenza calata dentro un ritmo insensato di eventi. E inevitabilmente il dialogo si sposta sul tema della storia. La tendenza mistica, sebbene non credente, di Cioran osserva distaccata la storia del mondo come processo di rovina, che ha avuto inizio da un essere diabolico. La libertà quindi si ottiene nei momenti della vita in cui si è al di là della storia, momenti fugaci ed unici. È una conseguenza logica, direi quasi divina, pensare che la procreazione sia il male più grande. Cioran confessa la sua asocialità, il suo essere straniero nonostante (e per questo) conosca bene la sofferenza degli altri. Reinisch insiste argutamente nel trovare paradossi e contraddizioni nel pensiero del filosofo rumeno. E quest'ultimo, che non li smentisce, ne esalta il loro significato metafisico. Nessuna speranza quindi, nessun futuro; ciò che ci aspetta è solo una tragedia.

Una parentesi interessante da notare: il giudizio durissimo di Cioran su Sartre, malgrado l'intervistatore lo incalzi più volte a parlare di Camus che, invece, non commenta mai.

4 giu 2022

Perché fidarsi della scienza? - Naomi Oreskes (Saggio - 2019)

"Molti rifiutano la climatologia, per esempio, non tanto perché vi sia qualcosa di sbagliato di per sé, ma perché è in conflitto - o così la percepiscono - con i loro valori, le loro convinzioni religiose, l'ideologia politica e/o gli interessi economici. Sono molte le ragioni per cui la gente può rifiutare una scoperta scientifica o mostrarsi critica nei suoi confronti, ma in genere hanno a che fare con l'impressione che tali scoperte contraddicano i valori in cui si crede o minaccino il proprio modo di vivere".


Partendo da una veloce ma puntuale storia della filosofia della scienza degli ultimi duecento anni (dal positivista Comte ai neoempiristi verificazionisti, dal falsificazionista Popper al collettivo di pensiero di Fleck, dalla sotto determinazione di Duhem all'olismo di Quine, dal paradigmatico Kuhn all'anarchico Feyrabend, dalle femministe Harding e Longino), l'autrice, famosa storica della scienza, rimarca il carattere sociale della conoscenza scientifica che dà origine alla superiore affidabilità delle tesi scientifiche. 

A causa degli errori clamorosi di alcuni individui, dei diversi metodi proposti dalla scienza, delle tesi più assurde (come l'energia limitata di Clark del 1873 secondo cui l'istruzione superiore femminile avrebbe nuociuto alla fertilità delle donne, oppure all'eugenetica prima statunitense e poi nazista, oppure ancora alle tesi antiscientifiche sui vaccini, sui cambiamenti climatici, sulla salute), la scienza è attaccata e screditata, eppure di fronte alle aberrazioni dei singoli scienziati la comunità scientifica si è sempre battuta. La fiducia, quindi, non deve andare ai singoli, ma alla scienza che nel suo essere sociale garantisce le sue idee, perché sono sottoposte a controlli rigorosi e plurali. 

Per far fronte ai pregiudizi di ordine sociale, culturali ed economici che stanno alla base della diffidenza nei confronti della scienza, ammettendo l'evidenza che gli scienziati possano compiere degli errori anche clamorosi, occorrono criteri come consenso, metodo, evidenza, valore e umiltà; ragionevolezze che assicurano un alto grado di certezza scientifica. La scienza è fondamentalmente consensuale, ed è nella sua comunità che si devono trovare risposte e conoscenze attendibile contro la crisi e la sfiducia nella scienza e nei suoi dati tanto di moda oggi. 

Un'apologia, insomma, ma equilibrata e attenta a non sconfinare in un'esaltazione assoluta della figura dello scienziato. Un libro di profonda attualità.

3 giu 2022

Le meraviglie del mondo - Lorraine Daston, Katharine Park (Saggio - 1998)

"Studiare come i naturalisti, nel corso di circa sei secoli, abbiano usato le meraviglie per tracciare i confini più lontani della natura rivela come, in vario modo, essi costruirono il suo nucleo centrale. Naturalisti moderni e medievali fecero appello ad un ordine di consuetudini della natura piuttosto che di leggi naturali, definito da meraviglie e da miracoli. Per quanto estremamente ordinata, questa natura non era né ineccepibilmente uniforme né omogenea nello spazio e nel tempo. Le meraviglie, invece che al centro, tendevano a raggrupparsi ai margini del mondo conosciuto, costituendo una categoria ontologica distinta: il preternaturale, sospeso tra il mondano e il miracoloso".


Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all'Illuminismo, come da sottotitolo, definiscono l'ordine della natura delimitandone i limiti entro cui muoversi. La meraviglia è, infatti, una passione conoscitiva in grado di registrare i confini della realtà ed è chiaro quindi il motivo per cui nel Medioevo si distingueranno la scienza naturale, quella preternaturale (che studia ciò che non è conforme all'ordine naturale delle cose) e quella sovrannaturale (divina). Distinzione che, però, non sempre è rimasta fissata entro rigidi schemi, ma che alla fine si è evoluta e, in qualche modo, si è dissolta tanto da iniziare a svanire dal Settecento in poi. Dall'Alto Medioevo, le aberrazioni della natura (mostri, comete, gemelli siamesi, pietre rare e magneti), hanno sempre avuto un significato morale. Sono prodigi mandati da Dio per punire gli uomini dai loro peccati, oppure semplici scherzi di una natura autonoma e giocosa, oppure ancora difetti dell'universo stesso che, in realtà, non è così uniforme. Con l'Illuminismo però, con l'esaltazione della ragione e dell'ordine, con la convinzione che la meraviglia sia solo un sentimento scaturito dall'ignoranza della leggi naturali, si registra un approccio diverso e il meraviglioso diventa superstizione, una malattia dell'immaginazione, una passione disonorevole.

In modo non sempre lineare e limpido, il volume descrive come nella letteratura di viaggi, nella topografia, nelle cronache e nelle enciclopedie medievali i fenomeni naturali straordinari siano ai margini del mondo (dell'Europa). Meraviglie, soprattutto testuali e materiali, che saranno usati come serbatoi di potere per fini religiosi e rituali di corte. Nella cultura filosofica che va dal XII al XV secolo, tuttavia, in autori come Adelardo di Bath, Ruggero Bacone, Alberto Magno, Tommaso D'Aquino, la passione della meraviglia è rifiutata quale parte integrante dello studio dell'ordine naturale. Eppure dal 1370 al 1590 vari gruppi di intellettuali (Dondi, Ficino, Cardano, per esempio) riabilitano le meraviglie sia per la contemplazione filosofico-naturale, sia per l'investigazione empirica. Nella cultura europea del XV e XVI secolo le meraviglie migrano dai margini del mondo al Mediterraneo e all'Europa e quindi diventa più facile analizzare casi specifici sulle nascite mostruose, interpretabili alla luce di tre emozioni correlate e sovrapponibili: orrore, piacere e ripugnanza. 

Il culmine dello studio del meraviglioso si ha nel XVII secolo, quando il preternaturale diventa elemento centrale nella riforma della storia e della filosofia naturale nelle società scientifiche, dove si studiano i mostri con una intensità senza precedenti. Boyle, Cartesio, Bacone dedicano molto spazio nelle loro opere alle meraviglie. Non è un caso che le wunderkammer, le camere delle meraviglie, non più solo di potenti e regnanti, ma anche di studiosi e intellettuali, ispirano Bacone e Cartesio nell'unire arte e natura e rappresentare un microcosmo raro e bizzarro. La relazione tra le passioni cognitive della meraviglia con la curiosità, nel XVII secolo, invece, se prima appare compatibile, con il tempo si separerà fino ad arrivare all'Illuminismo in cui le meraviglie diventeranno volgari e metafisicamente implausibili, politicamente sospette ed esteticamente ripugnanti. 

Sebbene l'argomento sia incontestabilmente interessante, di fascino e di impatto, la scrittura accademica delle autrici, la stessa impaginazione e soprattutto la non linearità dello sviluppo ne fanno un testo noioso, pedante e pesante.

26 apr 2022

La colomba pugnalata - Pietro Citati (Saggio - 1995)

"Proust non aveva forse detto che non poteva scriverla un artista solo? Lui, l'enorme ragno, aveva bisogno di un architetto, di un teologo, di un filosofo, di un romanziere, di un attore, di un musicista, di un pittore, di un poeta, di uno scultore, di un critico letterario, di un decoratore, di un profumiere, e persino di un sarto, ai quali affidare ora questa ora quella parte. I suoi allievi eseguivano con diligenza i compiti che gli venivano imposti: Fortuny era, fra tutti, diligentissimo; mentre il Grande Architetto adunava nella mente ogni motivo, e l'intrecciava insieme in un significato che forse continua a sfuggirci".


Quando si legge una biografia così elegante e avvincente è come se si leggesse un romanzo raffinato. L'autore, infatti, con una penna decisamente colorata di emozioni, ci lascia un senso di riconoscimento nei suoi confronti, oltre che, ovviamente, in quelli di Proust.

È raccontata una vita che, in fondo, è stata costruita per un solo scopo: quello di scrivere un'opera, sublime e suprema, in grado di segnare l'altezza massima della genialità. Così l'infanzia felice di Proust, la sua adolescenza, la scoperta dei primi amori omosessuali, l'amore ossessivo ed edipico per la madre, il dolore come primo motore esistenziale, l'asma, i primi scritti ancora acerbi che però sono esercizi di stile e di intelletto, le amicizie deluse con Bibesco e Fénelon, l'interesse e il ripensamento verso Ruskin, la memoria nella sua molteplicità, il sonno e l'insonnia come alternative alla vita, l'abitudine, la malattia, la morte che consuma il corpo ma che persiste nella memoria stessa degli altri sono i temi che riempiono e conflagrano nella Recherche. Non è un caso che, dopo la biografia, l'autore gli dedichi un'importante e intelligente sezione. Ricercato e brillante, l'occhio dell'autore scruta nell'animo del capolavoro del '900 (e non solo). L'opera è quindi descritta come se ogni parte costituisse l'elemento di una cattedrale gotica, con i pronai, le vetrate, le navate, l'abside, le cupole, donandogli un senso in cui tutto diventa mistico e religioso.

Per gli appassionati di Proust e della sua opera, un libro indispensabile.

3 apr 2022

I freudiani eretici - Michel Onfray (Saggio - 2013)

"Ecco dunque la soluzione alla crisi della psicoanalisi e più ampiamente a quella del mondo contemporaneo: un Freud rivisto e corretto da Marx, un Marx riletto alla luce della psicologia freudiana, il tutto con l'obiettivo della liberazione degli uomini, la fine dell'alienazione sia psichica che economica. Tesi che solo i sostenitori di un Marx e di un Freud dialettizzati possono avanzare. La psicoanalisi rivisitata permetterà di sviluppare la sua coscienza critica, di denunciare la passione tanatofilica e di mostrarne gli ingranaggi, di lottare contro di essa dopo aver imparato a riconoscerla dappertutto".


L'ottavo volume della Controstoria della filosofia è dedicato agli psicoanalisti che si sono allontanati dal pensiero egemonico di Freud e dal suo impianto idealista. Sono psicanalisti di sinistra che, diversamente da Freud, pensano che l'inconscio non sia statico, ma il frutto della storia e delle condizioni materiali degli individui. È l'inconscio degli operai, quindi, quello che analizzano, quello dei disoccupati anche, non quello dei ricchi borghesi (che invece cercava il medico viennese). Freud e Marx in definitiva, che camminano a braccetto. Tuttavia l'inconscio e la società sono intrinsecamente legati tra loro e non indipendenti, come sostenevano ciecamente i due filosofi, ed è in questa nuova dimensione che si muovono Otto Gross, Wilhelm Reich, Erich Fromm; psicanalisti pratici che guardano alla cura dei meno abbienti e alla sua efficacia.

Otto Gross, passato alla storia come primo freudiano di sinistra, nietzschianamente condanna i dettami della morale ebraico-cristiana e, contro Freud e Jung, suggerisce una rivoluzione sessuale e politica. Lo psicanalista propone il libero amore, la sessualità senza vincoli, l'esaltazione del libertino contro la bigotta morale comune, monogamica, paolina, repressiva. Mette insieme Nietzsche e Freud per deflagrare nella rivoluzione sostenuta da bolscevichi atipici, come Lunacarskij e Kropotkin. 

Dentro questa cornice che esalta l'amore carnale, si trova William Reich, il bergsoniano padre del fantomatico argone (una forma di energia che permea tutto l'universo). Per lui l'equilibrio psichico e fisico si assicura con un rapporto sessuale soddisfacente fatto di preliminari crescenti, desideri, eccitazioni diffuse. Ma non bisogna guarire il singolo, ma l'intera comunità, adesso malata dal veleno dell'ipocrisia.  

Erich Fromm, invece, lo psicanalista umanista anti lacaniano che crede nella psicanalisi come tecnica esistenziale, si prefigge di cogliere il meglio dell'individuo conoscendo se stessi e i sui meccanismi inconsci. La psicanalisi diventa strumento per la liberazione e la realizzazione di sé.

Sotto la lente di questi autori (e di Onfray), il Novecento con le sue idee trascendenti, i suoi totalitarismi, i suoi massacri, i suoi genocidi, le sue guerre e i milioni di morti è un secolo platonico. È il secolo dell'autorità, dell'ordine, della famiglia, della monogamia, della religione, del capitalismo e del padre. I rimedi si devono trovare perciò nell'amore, nell'affetto della madre. Il patriarcato infernale e capitalistico è da distruggere a favore del paradisiaco, comunista libertario matriarcato.

È un secondo capitolo de Il Crepuscolo di un idolo, insomma, per riaffermare ferocemente le critiche già mosse a Freud.

10 mar 2022

Percezione, pensiero, coscienza - Massimo Marraffa (Saggio - 2019)

"In questo quadro, la coscienza umana non è un sistema biologico bensì una macchina virtuale neumanniana. Il riferimento qui è all'architettura di von Neumann, ovvero l'architettura dei computer digitali. Essa si caratterizza per un'elaborazione seriale dei simboli: in ogni istante viene elaborata una singola istruzione di un programma. Il cervello è invece una macchina non già sequenziale ma parallela: ci sono più unità di elaborazione (neuroni) attive contemporaneamente".


Libro complesso che cerca di ricostruire, tra le innumerevoli interpretazioni, le interazioni tra filosofia della mente e scienze del cervello. Da Putnam a Dennett, da Fodor a Lycan e Churchland, la filosofia della mente ha svolto e svolge un ruolo fondamentale nei programmi di ricerca delle neuroscienze e della scienza cognitiva. Dal superamento dell'introspezionismo sperimentale, con prima il comportamentismo e dopo con il funzionalismo, per arrivare alle nuove riprese cognitiviste e ai nuovi studi che si intersecano con quelli dell'Intelligenza Artificiale, si cerca di risolvere il problema mente-corpo che da Cartesio in poi è stato motivo di dibattito e di scontro tra i filosofi. Così il problema del soggetto pensante che elabora stimoli e ne sviluppa risposte, nonostante lo sviluppo formidabile delle neuroscienze, mantiene vivo lo scontro tra chi sostiene che la mente si risolva nel cervello e chi, invece, dissolve la mente nell'ambiente. Una scienza cognitiva che rimane quindi precaria, instabile, segnata e reinterpretata ogni volta che le nuove scoperte scientifiche aggiornano il campo di conoscenze.

Libro non semplice, accademico, che presuppone una buona conoscenza filosofica.

7 mar 2022

La neve e il sangue - Giulia Cacciatore (Saggio - 2021)

"Ciò che nel memoriale Giuseppe Giberti non scrive, mi è stato invece riferito dal figlio Carlo: anche per proteggere il giovane Bufalino venne utilizzato il tifo come stratagemma di dissuasione. Pare, infatti, che proprio per verificare la presenza di partigiani all'interno dell'ospedale, i tedeschi facessero delle ispezioni, chiedendo al personale l'accesso a tutte le stanze, tra cui la numero 3, quella in cui si trovavano Bufalino, Bonazzi, e il futuro dottore Valli. Giuseppe Giberti, mentre gli ufficiali erano in procinto di entrare nella stanza, riuscì a dissuaderli informandoli del morbo che affliggeva i tre pazienti, il tifo appunto, e li avvertì che si trattava di una forma estremamente virulenta. Fu una questione di secondi, dopo un breve indugio, gli ufficiali si convinsero e non oltrepassarono quella soglia. Il destino per i tre giovani sarebbe stato segnato".


Dalla lettura di carte inedite e in particolare della minuta di un'intervista a Sciascia, si dipana un percorso che permette alla filologa di colmare alcuni interessantissimi vuoti biografici bufaliniani. Fatti che aprono nuove possibilità interpretative sull'opera dello scrittore comisano e, più nello specifico, di quel gioiello che è Diceria dell'untore. Negli inediti, Bufalino fa riferimento a persone che tra il 1943 e il 1946, durante la guerra e la Resistenza a Scandiano e a Reggio Emilia, mentre scappava dai repubblichini e dai nazisti, conobbe e vide morire e le cui storie si collegano al romanzo del 1981 (ma anche ad Argo e a Calende greche). Pagine in cui riviviamo le amicizie del giovane Bufalino nate sotto il sole della Sicilia, ma anche lungo le marce militari con un fucile sulla spalla, oppure nei nascondigli dopo l'otto settembre e i mesi successivi. Amici che uno dopo l'altro moriranno, come Lucifora, Bellentani, Nipote, Carabillò, ma anche che riuscirono a sopravvivere come Romanò e Giovanna Poli (le lettere a quest’ultima sono allegate al volume). Storie di affetti, di guerre partigiane e di stragi, che riemergeranno nella finzione letteraria allo scopo di rievocare ed elaborare ricordi e sofferenza. Ed è sotto questa lente che i personaggi di Diceria assumono colori nuovi; hanno dietro una storia vera, oltre a quella elaborata dalla fantasia dello scrittore. Sono fantasmi che rivivono nella sua memoria che sono raccontati nelle pagine del romanzo. Così, ad esempio, la Rocca qui descritta non è il sanatorio di Palermo, ma quello di Scandiano. Secondo la ricercatrice, la strage della Bettola di Vezzano sul Crostolo, in provincia di Reggio Emilia (vicino a Scandiano), dove furono uccise 32 persone dai militari nazisti, tanto colpirono la sensibilità del giovane fuggiasco che sembra abbia avuto modo di vedere il risultato finale. Tutti i dettagli raccolti dalle indagini della ricercatrice, infatti, indicano che Marta, la protagonista del capolavoro di esordio, altra non sarebbe che la proiezione letteraria di una certa Emma Marziani, morta nella strage della Bettola. Amicizie, luoghi e fatti che dunque sembrano sfondi elaborati e trasfigurati nel romanzo. 

Un romanzo che, alla luce di quanto trovato, si inserisce nell'alveo della letteratura della resistenza; ecco perché il sottotitolo recita: la resistenza letteraria di Gesualdo Bufalino

Grazie a questo libro, corredato da foto bellissime che non conoscevo, la biografia del comisano si arricchisce di dettagli, alcuni anche minuziosi, che stimolano l'immaginazione dell'appassionato e del cultore dell'opera bufaliniana. Prezioso.

13 feb 2022

La vita insegna - Lucia Azzolina (Saggio - 2021)

"In serata, di ritorno da Bergamo, vengo chiamata al Quirinale. Non ho idea del motivo della visita. Il presidente della Repubblica Mattarella, già ministro dell'Istruzione, conosce molto bene la scuola e in questi mesi non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Mi vuole ringraziare per aver tenuto duro sugli esami in presenza e per aver scelto Bergamo come prima tappa. È un incontro riservato. Ma in pochi minuti si sparge la voce della visita e per qualche giornalista è un'occasione ghiotta per insinuare che io sia al Quirinale a discutere di mie fantomatiche dimissioni. Niente di più falso. Forzando la prassi, l'ufficio stampa del Quirinale interviene nel giro di poco per chiarire che si è trattato di un incontro di cortesia istituzionale. Niente dimissioni, solo il ringraziamento per il lavoro fatto".


Con una breve ma preziosa prefazione di Liliana Segre, leggiamo la biografia di una giovane donna che al centro della sua vita, dopo la sorella Rossana, ha messo la scuola e lo studio. Preparata sì, determinata pure, ma insensibile no, Lucia Azzolina ha sempre affrontato le difficoltà della sua vita con estrema serietà, analizzando ogni circostanza con rigorosa logicità e sistematizzando il tutto in idee preziose al servizio della scuola. Soldatessa dallo spirito combattivo, cresciuta come tanti in un contesto sociale non felicissimo, Lucia ha trovato nell'amore per i libri un'ancora di salvezza. Libri che fanno comunella con la scuola ed è tra i banchi di un liceo di periferia che ha capito quanto siano indispensabili per essere liberi. E quando si cresce in consapevolezza così in fretta, non si può che non ripagare per quanto avuto. Così, dopo la laurea in filosofia, dopo l'abilitazione all'insegnamento conseguita a Catania (dove ho avuto la fortuna di conoscerla e di diventarne amico), dopo anni di precariato e contemporaneamente di sfiancanti studi per abilitarsi al sostegno e per conseguire una seconda laurea in giurisprudenza, Lucia si è dedicata attivamente alla scuola sostenendola in tutte le sue componenti fondamentali (dagli studenti agli insegnanti, dalla dirigenza al personale ATA), lavorando come sindacalista tra il Piemonte e la Lombardia. Studi e lavoro che le hanno permesso una strabiliante conoscenza della macchina scolastica tanto da farla arrivare alla camera in commissione cultura e istruzione e, con il governo Conte II, al Ministero dell'Istruzione. Qui, mentre scoppiava una pandemia mondiale e mentre un certo obbrobrioso mondo politico le remava contro senza contenuti ma solo con un becero ignorante sessismo, ha dovuto affrontare un'emergenza senza precedenti nella storia, emergenza che ha sconvolto la vita di tutti e soprattutto degli studenti. È un racconto di passione, grinta, competenza, ma anche rammarico, amarezza, delusione e paura per le minacce ricevute e per il tentativo di buttare fuori strada la sua auto con tutta la scorta.

Un libro scritto anche per togliersi qualche sassolino nelle scarpe, contro alcuni politici (senza paura ne cita nomi e cognomi), alcuni partiti, il sindacato. Il racconto biografico, però, è solo un pretesto per riflettere sulla scuola, su quanto sia decisiva per il futuro dei giovani che dovranno vivere in un mondo sempre più complesso e complicato. La scuola è indispensabile per combattere l'ignoranza, la volgarità, il sessismo. È fondamentalmente vita, è potere, quello di decidere della propria vita e nel darne un senso.

Il grande rammarico nel non aver avuto modo di vederla ministra in anni non di emergenza...

17 gen 2022

Il confine del futuro - Francesca Rossi (Saggio - 2019)

"È chiaro quindi che a questo punto tutte le comunità - ricercatori, programmatori, aziende, esperti di altre discipline, politici... - stanno lavorando per assicurare un impatto positivo dell'IA sulle persone e la società. Le opzioni per raggiungere questo obiettivo sono molte: linee guida, certificati, standard, agenzie di controllo, leggi ecc. Ma la tecnologia cambia molto velocemente, quindi vanno usati metodi agili e flessibili che possano adattarsi a nuove tecniche e capacità dell'IA, stando attenti a non rallentare l'innovazione e a non disturbare la competitività".


Ormai l'IA è dentro le nostre case, nelle nostre tasche persino, e molto velocemente altri strumenti intelligenti arriveranno e saranno di uso quotidiano. Tutto ciò sta trasformando il nostro mondo, il nostro modo di vedere il mondo stesso ed è inevitabile chiedersi come tali tecnologie possano non esplodere tra le nostre mani, quale impatto hanno e avranno sul mondo del lavoro, o nell’uso delle armi autonome, quando arriverà il momento della singolarità, ovvero il momento in cui un'IA sarà superintelligente. Preoccupazioni che l'autrice, informatica di prestigio internazionale, in modo chiaro e semplice, cerca di evidenziare, ma allo stesso tempo cerca di combattere. Così, dopo aver definito cos'è un'Intelligenza Artificiale, specificando quanto difficile sia definire l'intelligenza umana, dopo aver spiegato il concetto di razionalità in una Macchina di Turing, dopo aver scorso velocemente la storia dell'IA nei giochi e nell'elaborazioni di dati che per mezzo di algoritmi hanno rivoluzionato il presente, la scienziata distingue gli algoritmi procedurali (le ricette che indicano al pc le procedure, le istruzioni) dalle macchine che, invece, imparano dagli esempi. Macchine, queste ultime, che hanno bisogno di enormi quantità di dati e di sviluppi probabilistici che, ovviamente, non escludono la possibilità dell'errore. Ed è in questi limiti che si inserisce l'idea del rischio, la preoccupazione che tutto possa precipitare in scenari apocalittici. Eppure c'è fiducia nelle parole dell'autrice, c'è la fiducia che si possano valorizzare i benefici dell'IA e allo stesso tempo mitigarne gli effetti negativi. Serve collaborazione tra diverse discipline, tra i ricercatori, tra i programmatori, tra i politici, al fine di trovare un'etica comune che possa portarci a vedere un futuro di speranza e di progresso.

Un libro che scorre veloce, diretto, non impegnativo, in grado di dare informazioni e rassicurazioni, che cerca di rispondere alla domanda: possiamo fidarci dell'intelligenza artificiale?

16 gen 2022

Classifica: i più belli e i più deludenti del 2021

L'anno appena passato, che disgraziatamente e storicamente si è caricato il peso del precedente, per me è stato sì povero di viaggi veri e concreti, ma allo stesso tempo è stato intenso dal punto di vista intellettuale. È vero, non sono tantissimi i libri che ho letto (solo 30), tuttavia c'è stato dietro un impegno di studi accademici che, in fin dei conti, mi fanno sorridere. Così ho ripreso in mano, tra gli altri, volumi di estetica, di morale, di filosofia antica, di politica, ricordandomi che c'è sempre da imparare con entusiasmo. Che si è sempre, se lo si vuole, giovani appassionati studenti che si meravigliano di fronte alla conoscenza... Oltre agli studi, non posso dimenticare Proust (che è diventato quasi un'ossessione), Bufalino, Cioran, Nietzsche, che mi hanno accompagnato fedelmente durante l'anno con la loro profonda dolcezza mista a feroce sofferenza.

Ma ecco la mia classifica del 2021:

1. Niente di nuovo sul fronte occidentale

2. Proust a Grjazovec 

3. La letteratura e il male

4. Contro la memoria 

5. Vita di Beethoven 

Il romanzo di Remarque l'ho trovato strepitoso, da leggere a scuola per l'intensità del messaggio e dello stile, così come ho trovato esaltante, e direi vitale, l'idea che ha Czapski di Proust. Un Proust che nelle originali pagine di Piperno affronta il senso e l'importanza del ricordo e quello dell'oblio. Il tema del male per affermare la volontà e la libertà nel saggio di Bataille è motivo di ulteriore riflessione per me, mentre la biografia di Rolland merita un posto in classifica per la passione con cui è scritta.

Qualche libro deludente c'è stato; nulla di illeggibile però, sebbene il manuale di Douglas Mortimer sia solo didascalico, il romanzo di Ilaria Tuti non abbia climax e i quaderni di Rilke siano lenti e a tratti noiosi.

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