Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

24 dic 2010

Il bagno di Diana - Pierre Klossowski (Saggio - 1956)

"Volendosi riposare dalla corsa, vuol vedersi mentre riposa immersa nell'onda, ma resta nondimeno aggressiva. È per uccidere che accetta di essere vista, ma nell'uccidere si concede. Ucciderà se uno sguardo la insozza, ma esalterà colui che, morente, l'avrà scorta"

Diana, la dea casta e mai concessasi, facendosi donna, accetta, narcisisticamente, di essere ammirata, di essere desiderata non solamente da sé. Contemplando il suo corpo di donna, è quasi perduta nella sua stessa sensualità. Resta, tuttavia, una dea immacolata che nell’animo conserva l’aggressività della cacciatrice. Ed è qui che risiede una contraddizione: bramosa di essere voluta, inferocita per essere stata veduta, Diana celebra la sua antinomia nell'assassinio. Tramuta il cacciatore Atteone, l’uomo, il mortale che l’aveva scrutata, che l’aveva posseduta con gli occhi, in un cervo, lasciandolo sbranare dai suoi stessi cani.
La storia di Diana e Atteone è solo il pretesto per lo scrittore francese di origine polacca di esaltare la bellezza del gioco della sensualità. Viene alla luce così una nuova mitologia la cui pretesa consiste nel svelare le spiegazioni più scabrose, le interpretazioni meno ovvie e accettate. Nell'assenza di pudicizia, sia nel mito sia nei commenti, nondimeno ci si accorge di quanta ipocrisia ci sia stata nel definire alcuni miti. L'istinto, la sensualità, il dionisiaco (ricorda Nietzsche...), la bramosia dei sensi sono stati, quasi da sempre, concepiti come mostruosi e di sicura perdizione per l'uomo. Nelle pagine di Klossowski non è così. C'è sempre un che di pensato, un che di voluto; un desiderio non represso ma giustificato e assennato.
Redatto in brevissimi ma acuti capitoli, ripercorrendo il mito di Diana e Atteone, lo scritto di Klossowski oscilla tra la prontezza delle parole e il fulgore dell’interpretazione. Lo stile è prezioso, definito, ammiccante, e in alcuni capitoletti scritti in prima persona leggiamo il pensiero di Atteone. Il saggio così si fa racconto e il lettore non può che compiacersene.

Rivisitazione moderna e provocante del mito dunque; un mito, come quasi tutto del resto, che si delizia della contraddizione. Diana, dea casta e innocente e al contempo ammiccante e lunatica, è il simbolo stesso dell’incoerenza; dei desideri dell'uomo. Un mito ambiguo insomma.

22 dic 2010

Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano - Pietro Abelardo (Saggio - 1140)

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"Non, come credono i più, con il piacere vergognoso e disonesto, pieno di lusinghe, della sensualità, ma con una certa tranquillità interiore dell'anima, per la quale essa rimane serena nelle circostanze felici e in quelle avverse, paga dei propri beni, senza alcun rimorso di peccato che possa tormentarla"

Al chiaro del lumicino della solitudine, il filosofo francese, in un sogno (artificio tipicamente medievale), è chiamato a giudice da tre personaggi, differenti e apparentemente molto lontani tra loro, per considerare la superiorità di una o di un'altra religione. Questi personaggi, come recita il titolo, sono un filosofo pagano, il quale non riconosce alcuna rivelazione scritta; un giudeo, di cui si apprezza la chiusura e la cocciutaggine; e un cristiano, dietro cui si vela lo stesso Abelardo. Siamo ben lontani dalla presenza tra essi di uno scettico autentico, e meno che mai di un ateo; tutti e tre, infatti, credono e venerano un unico Dio. Ciò non toglie originalità al libro.
Nel 'Dialogo', oltre ad affiorare ovviamente il pensiero, emerge il carattere e il ritratto del filosofo concettualista. Non mancano occasioni, appunto, in cui il grande pensatore medievale si definisce colto, razionale, intelligente; è, a dire il vero, sottilmente egocentrico e superbamente autocelebrativo.
Il tono del confronto tra i tre personaggi è cortese, anche se le domande, soprattutto del filosofo pagano, sono taglienti e conservano finanche un vaghissimo sentore di zolfo. Le risposte - ma è nella natura intima delle religioni... - sono sempre incerte, imprecise, lontane dalle consequenzialità della logica. Quest'ultima è macchinosamente distorta e stravolta da sofismi e da definizioni che non hanno nulla di verificabile. L'umiltà dei toni però mitiga il pensiero e tale status di approssimazione.
Come nella storia delle dispute filosofico - teologiche (almeno fino alla fine del '600), si creano alleanze. Qui, i due religiosi, in forza alla loro comune osservanza di un testo rivelato, si alleano contro il pagano. Il filosofo potrebbe scovare tutte le contraddizioni nascoste, marcarne tutte le altre palesi, con più coraggio, ma Abelardo è e resta un filosofo dall’animo cristiano. Rimane comunque un trattato coraggiosissimo per il suo tempo. In alcuni momenti pare di leggere un Pascal, un Cartesio, un Hume ante litteram. Alcune righe fanno presumere pure accenni, invero senza esplosività, di discussione sulla tolleranza che, invece, si terranno almeno cinque secoli dopo. Manca ancora la pesantezza e la gravità del problema; del resto siamo in un periodo di dominio incontrastato del pensiero cristiano…
Nel disquisire di etica e di precetti morali, la conversazione diviene filosofia morale di matrice aristotelica. Oltre a ciò, il filosofo pagano, il quale tiene in mano le redini della discussione, che pone le domande, che pone i dubbi e stimola la riflessione, mette in risalto, oltre alle assurdità di certi divieti, una dimensione erotica che è tipica del filosofo che subì l’evirazione coatta. Eppure, se nel confronto con il giudeo è il filosofo che lo incalza e lo stuzzica con le sue domande, in quello con il cristiano è quest'ultimo che pressa e provoca il filosofo.
Il confronto ha, è ovvio, un solo scopo: sottolineare la superiorità della ragione e religione cristiana. Per ottenere ciò, naturalmente, ma noiosamente, il testo è infarcito di citazioni bibliche.

Nonostante l’attualità, la vivacità, il rigore delle questioni affrontate nel ’Dialogo' abelardiano, resta un libro antiquato e ormai superato. Le logiche adottate sono figlie di un'epoca genuflessa e sottomessa alla potenza dell'ignoranza e della pavidità e non c'è scampo per le ovvie conseguenze...

12 dic 2010

Lettere d'amore alla nipote - Voltaire (Lettere - 1740/1750)

"Mi vergogno un po', alla mia età, di lasciare la filosofia e la mia solitudine per diventare il buffone del re; ma sembra ci fosse gran folla che ambiva essere rivestita di questa grande dignità, e mi è stato fatto l'onore di darmi la preferenza"

Impreziosite d’ironia, di tenerezza, di apprensione, le lettere di Voltaire a Marie-Louise, vedova Denis, sua nipote, tratteggiano un Voltaire a tratti tediato dalla mediocrità, a tratti affettuoso, a tratti ambiguo nei confronti dei potenti, combattuto tra il suo volere essere filosofo solitario e il suo desiderio di pavoneggiarsi innanzi a loro.
Madame Denis è, in tutto questo, un confessore, un’amante con cui potersi sfogare. Alcune lettere, appunto, si rivolgono a lei come se questa fosse un’amica, altre invece, lagnose, riportano il racconto di numerose brighe quotidiane. Racconta alla nipote delle sue malattie (ipocondria?), della sua insofferenza verso la vita di corte, ma sempre si legge dell’affezione sentita, vera, addirittura compassionevole quando il filosofo apprende della morte del marito della nipote.
Parecchie lettere sono scritte, soprattutto quelle legate al desiderio e all’amore, in un italiano sgrammaticato, ingenuo e quasi burocratico, eppure vi si lascia sempre trasparire la sincerità e la passione verso la nipote. E non mancano divertenti, quanto inaspettate, oscenità che alludono a una loro storia sessuale…
Importanti le note che arricchiscono le epistole alla fine del libro: raccontano da vicino gli anni del filosofo e scrittore francese durante lo scambio epistolare con madame Denis.

8 dic 2010

Le parole tra noi leggère - Lalla Romano (Romanzo - 1969)

"L'impiego rigoroso della logica - anche non sofistico - non pare accordarsi con la bontà: in quanto presume freddezza, e la si pensa al servizio dell'egoismo, della prepotenza. Ma tra il lupo e l'agnello la logica è dell'agnello, non del lupo"

Questo romanzo - che può essere definito autobiografico, psicologico, che nell'analizzare la crescita del figlio diventa romanzo di formazione - è, in una parola, poliedrico. L’io narrante è una mamma, la stessa Lalla Romano per intenderci, sottile, quasi spaventata dal confronto, attenta ai piccoli dettagli, osservatrice precisa e quasi maniacale, che racconta suo figlio, il loro rapporto conflittuale, la lotta, la differenza, l'astio, la rivolta tra i due. P., il figlio protagonista, è sin da bambino un anarchico, indisponente, contemplativo, ermetico, intelligente, svogliato, testardo, arrabbiato persino. È un personaggio soprattutto polemico, in particolare con la madre - che invece appare apprensiva, intellettuale, viscerale -, e per questo è accattivante. Definito sin da bambino poeta, filosofo, pittore, nasconde in sé tutti i modi di essere che saranno formativi e corazze coriacee contro gli altri, contro la mamma.
Nella descrizione del carattere e degli atteggiamenti del figlio, non mancano da parte dell’autrice piemontese spazi di analisi introspettiva, i quali, a loro volta, si rifletteranno sulla descrizione del figlio. E la profondità freudiana che ne deriva è brillante, carica di veemenza, esplosiva; non c'è posto per il compromesso, per la finzione. È assente del tutto, infatti, l'aspetto del gioco, della dissimulazione, mentre è solamente palese la natura intima della confessione. Si consuma così un’autobiografia viscerale, straziante quanto lucidissima.
Il racconto è zeppo di frammenti di lettere, di documenti, di pagine di diario (materiale reale, non immaginario...) che mettono in luce quanto sentita sia stata la stesura del libro; dello sfogo. Certo, alla lunga tutto ciò rischia di diventare soporifero e poco intrigante: si aspetta sempre la considerazione, il colpo di coda della mamma, ma capita spesso che tardi a venire.
Il paratesto è assolutamente invitante, ricco di spazi bianchi che lasciano intravedere d’acchito la frammentarietà moderna dell'opera, però senza alcuna dispersione. I periodi intervallati dagli spazi, infatti, non sono scollegati, tutt'altro. Evidenziano, insieme all’incedere dell’esposizione, un'attenta elaborazione, un impianto basato sulla logicità e la scientificità dei ragionamenti, insaporiti da uno stile secco e rigoroso, ma non per questo poco affascinante. E nonostante il rigore analitico, l’opera ha un che di poetico, di tenero.

Un libro che scava davvero; fulminante, spietato. Premio Strega ben meritato.

1 dic 2010

Illuminismo estremo - Michel Onfray (Saggio - 2007)

"Jean Meslier, curato ateo e anarchico; La Mettrie, medico filosofo, partigiano tragico dell'arte di godere; Helvétius, fermiere invaghito di giustizia sociale; d'Holbach, barone materialista difensore di una 'etocrazia'; Sade, marchese sfrenato. Un quintetto infernale per idee che puzzano violentemente di zolfo"

Quarto volume delle ormai celebri 'Controstoria della filosofia', segna il passaggio da una storia del pensiero laico, tenacemente critico verso la religione, al possesso pieno ed estremo dell'ateismo. Per la prima volta, tra la fine del '600 e tutto il '700, il pensiero dell’uomo si spinge verso una netta sistematizzazione dell'ateismo, precisa e organizzata, dichiarando in tal modo guerra a tutta la tradizione religiosa, cristiana soprattutto, che aveva condizionato fino allora società, pensiero e cultura. Filosofi dunque che con le loro idee hanno investito massicciamente un modo di vedere il mondo luminoso e ovattato (ma non incuriosito e coinvolto), costellato da angeli armonici e da santi felici innanzi a una divinità infinita, con i macigni del dubbio e della passione.
Con la loro critica, filosofi come il 'visionario' Meslier, il 'voluttuoso' e 'oppiomane' La Mettrie, il libertino e 'ossimorico' Maupertuis, il 'pragmatico' Helvétius, 'l'ateo virtuoso' d'Holbach e il 'fascista' Sade, hanno oscurato il vecchio e melmoso sistema filosofico, soppiantandolo con un altro ancora più luminoso, meno contraddittorio, più limpido e coraggioso... Eppure, come già sappiamo, la loro luce presto, molto presto, fu offuscata dall'ignoranza e dalla paura; e di loro e del loro pensiero ci si dimenticò alla svelta. Onfray, per fortuna, li risuscita...
Nel suo lavoro, il filosofo francese mette in luce le incoerenze dei classici pensatori illuministi (come Voltaire, Kant, Rousseau) giudicandoli pavidi e in combutta con il potere. Ma del resto anche loro sono tra i vincitori nella storia della filosofia, e non è di loro che Onfray vuole occuparsi, bensì dei vinti, degli sconfitti, dei coraggiosi e incapaci di compromessi.

Certo l’autore nella sua indagine trova dei limiti dove gli altri hanno trovato la grandezza e, viceversa, scorge la ricchezza dove gli altri hanno scovato un limite. Un ribaltamento di prospettive, sovversivo fino all'ultima frase, che alle volte può sembrare semplicistico, ma che uno stile ammiccante e crudele al contempo nasconde.

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