Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

29 mag 2013

Todo modo - Leonardo Sciascia (Romanzo - 1974)

"Quando si voltò per dirmi - C'è la firma, venga a vedere - ebbi un momento di vertiginoso stupore: i suoi occhiali erano una copia esatta di quelli del diavolo. Non colse, ché doveva essere visibile, il mio stupore; o finse di non coglierlo, godendoselo. Del resto, io passai subito a rintuzzare il colpo, se da parte sua c'era stato il gusto di far colpo, assumendo un'espressione che voleva dire: vecchio istrione, serba per il tuo gregge di imbecilli la trovata di questi occhiali".

Un pittore irrequieto quanto famoso, alla ricerca di serenità e meditazione, casualmente si ritira nell'Eremo di Zafir 3. Il brutto albergo, gestito da un inquietante e coltissimo don Gaetano, il giorno dopo l'arrivo del pittore senza nome e io narrante, è occupato da vescovi, politici, giornalisti, industriali per un ritiro annuale di esercizi spirituali. Poi, accertata l'ironia del pittore sulla chiesa (paragonabile alla migliore satira voltaireiana) e la vastissima cultura nelle brillanti e critiche risposte di don Gaetano sulla chiesa, quando il racconto è quasi a metà, l'imprevisto: uno sparo, un morto ammazzato, un ex senatore ucciso durante la recita del rosario. Allora si infittiscono i dialoghi serratissimi sull'uomo, sulla morale, sul delitto ovviamente, tra il pittore, don Gaetano e il procuratore Scalambri, fino a quando un altro omicidio sconvolge il torpore del panico su cui tutti gli ospiti dell'albergo si erano adagiati. Ma la soluzione non arriva, si accenna all'evidenza (citando Poe), eppure solo qualche battuta, qualche lampo di genio mai rivelato aumentano il disordine nell'indagine. Fino a quando, anche lo stesso don Gaetano è ucciso. Si intuisce che lo stesso pittore, il narratore, sia il colpevole di quest'ultimo assassinio, però...

È, come si evince dalla trama, un giallo solo a metà, che pagina dopo pagina si trasforma anche in un libello di denuncia politico. La politica infatti, la sua arroganza, in ogni modo deve riuscire a farla franca. Un libro profetico dunque; modernissimo perché rimane senza una soluzione, in cui la ragione (quella illuministica per intenderci, la ragione tanto spremuta dallo scrittore siciliano) alla fine fallisce di fronte all’insondabilità della morte. Tutti potrebbero essere colpevoli degli omicidi e non c'è un progresso verso la verità, solo un acre sentore di profondo pessimismo. Libro colto, ironico, costruito su più livelli, ambiguo, aperto, è un giallo in cui possiamo intravedere un superamento dell’Illuminismo sciasciano, in cui è lo spirito che deve essere cercato, vanamente però, con gli strumenti della ragione. Voltaire e Pascal si incontrano e si scornano e tutto si riduce a un mero esercizio spirituale più che un esercizio della ragione.

26 mag 2013

Le passioni dell'anima - Renato Cartesio (1649)


"Del resto l'animo può avere i suoi piaceri a parte, ma quelli che gli sono comuni col corpo dipendono interamente dalle passioni, di modo che gli uomini che esse agitano di più, sono capaci di meglio gustare la dolcezza di questa vita. È vero che essi possono anche trovarvi maggiore amarezza, quando non le sanno bene impiegare, e quando la fortuna è loro contraria. Ma la saggezza è principalmente utile in quanto insegna a rendersene talmente maestri, e a maneggiarle con tanta destrezza che i mali da esse causati sono sopportabilissimi, e da tutte si ricava della gioia".

Ultima opera di Cartesio, "Le passioni" è una fatica che continua e meglio definisce un lavoro che è costato tutta una vita di speculazioni. È un trattato morale composto da 212 pensieri che innanzitutto si pone una domanda che tanto, da Cartesio in poi, ha fatto scervellare i filosofi moderni: tra res cogitans e res extensa, tra due dimensioni così differenti, tra le passioni che trovano sede nell'anima e le conseguenti azioni che si esprimono per mezzo del corpo, come può esserci un contatto? Come può esserci una comunicazione istantanea tra loro che, apparentemente, sono così distanti? Siamo dunque di fronte al grande problema che il noto dualismo cartesiano ha posto e che molto ha influenzato e distratto la filosofia moderna. Nel descrivere siffatto difficile dialogo, Cartesio si fa fisiologo. Accettata la corretta teoria di Harvey sulla circolazione del sangue, il filosofo individua nel cuore la sorgente delle passioni e presuppone che parte del sangue sia un fluido sottile composto da, non ridete, ‘spiriti animali’. Questi entrano in contatto con la sostanza pensante in un luogo del cervello, la ghiandola pineale, e fluiscono lungo i canali nervosi per muovere i muscoli e le altre parti del corpo. Azione e Passione, in fondo, sono la stessa cosa. È diversa, invece, la loro espressione, la loro epifania. Ecco perché, quindi, è necessario spiegare la differenza tra anima e corpo e definire tra essi un ponte che li raccordi in un unico soggetto. Sebbene i riferimenti alla circolazione del sangue siano validi, la descrizione fisiologica del corpo umano ha un impianto galenico e non avremmo difficoltà a definirla come una coraggiosa, non c’è dubbio, opera di metafisica della fisiologia.
Naturalmente per Cartesio esistono passioni semplici e passioni composte che si formano dalle prime. Il filosofo dedica un'ampia parte alla trattazione di questo argomento. Brevi lampi di materialismo brillano qua e là nel cielo buio della metafisica, ma Cartesio (come spesso i metafisici), anziché percorrere occamianamente la strada più semplice, sceglie la tortuosità dei sentieri inutili che si perdono nella desolazione di una notte senza luna e senza stelle.
Esaurito il capitolo propedeutico e più importante, la seconda parte (l’opera è suddivisa in tre grandi capitoli) è dedicata alla spiegazione delle sei passioni fondamentali. Le definizioni di Ammirazione, Amore, Odio, Desiderio, Gioia, Tristezza sono secche, puntuali, scientifiche nella loro vivisezione alla ricerca di passioni vicine e in relazione tra loro. Qui è interessante notare quanta partecipazione scientifica ci metta Cartesio nel tentativo di dimostrare le sue tesi. 
La terza e ultima parte, invece, si concentra sulle passioni particolari come specie dei generi delle passioni primitive. È un trattato morale si scriveva poc’anzi e non mancano vecchi e ormai obsoleti giudizi morali quando Cartesio suddivide le passioni e i sentimenti in virtuose o viziose. Quanta filosofia è passata da allora…

Al di là dell'arcaica dimensione fisiologica, al lettore di oggi l'opera pubblicata dall’autorevole Casa Editrice Rocco Carabba  potrebbe apparire metafisica; una metafisica che però, poiché nella sua natura, non risolve alcun problema, ma che anzi crea nuove, affascinanti e sempre più insormontabili complicazioni.

19 mag 2013

Anale e sessuale - Lou Andreas Salomé (Saggi - 1916)


"Involontariamente ci si immagina che il senso di colpa emerga in seguito ad atti da noi ammessi, e in un primo momento ci sembra strana la spiegazione che esso affonda invece le sue radici esclusivamente in ciò che non è ammesso, e che un lato del conflitto deve essere espulso dalla coscienza perché sia consegnato a quell'assolutamente negato, disprezzato, di cui l'elemento anale forniva il paragone classico e in cui per questo non osavamo riconoscerci".

Raccolta di scritti psicoanalitici, da leggere con molta attenzione, in cui la prospettiva freudiana è molto forte, se non unica. Dall'analisi di ricordi, di immagini, di sogni la scrittrice tedesca scopre, in chiave femminile, se stessa e in generale il mondo delle donne. Approfondisce così (ma non troppo) gli studi freudiani sul carattere anale dei bambini e quelli sul narcisismo con osservazioni acute, capendo prima di altri quanto questi problemi teorici siano di importanza capitale nella storia della psicoanalisi, mentre, in quegl'anni, dai critici non erano presi in grande considerazione.

12 mag 2013

I versi aurei. I simboli, le lettere - P.S. Pitagora (VI sec. a. C.)


"Dicono altri che, rovinando in preda alle fiamme la casa dove si trovavano uniti, gli amici suoi, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, facendo coi loro corpi come un ponte sul fuoco; e che, uscito in salvo Pitagora dall'incendio, per la tristezza dell'essere solo senza i suoi amici, si togliesse da sé medesimo la vita".

In questo volume, la prestigiosa Casa Editrice Rocco Carabba ci presenta il breviario del pensiero di un filosofo, Pitagora, probabilmente vissuto nel VI sec. a. C., di cui però non conosciamo nessuno scritto in modo diretto. Questi pubblicati, infatti, dovrebbero risalire al II sec. d. C., quando il neoplatonismo tentò di recuperare un pensiero comodo e utile per una certa visione del mondo. Preziosa quindi risulta l’introduzione di Pesenti che inquadra la figura dell'autore e dell'opera nei diversi contesti storici interessati al pensiero del filosofo di Samo.
"I versi aurei", così come i "Simboli", altro non sono che un catalogo di regole etiche che, alla fine, hanno il compito di rendere l'uomo degno di essere immortale dopo la morte. È la solita solfa, non dedicarti al piacere, al peccato (e anche mangiare fave può essere molto pericoloso), vivi la vita senza estremismi, senza sbavature, vivi la vita come se fossi un santo - e quindi non da essere umano - e avrai in premio qualcosa quando non ci sarai più. È vero però che quelle pitagoriche non sono regole che hanno un sapore vetusto, di vino andato a male; la tradizione cristiana ne ha fatto tesoro e ha esercitato prepotentemente il divieto di vivere il piacere come regola aurea che ancora oggi tenacemente sopravvive. Tuttavia, volenti o nolenti, figli nietzschiani, del relativismo e del postmoderno avvertiamo un odore stantio, di zolfo, mefistofelico. Non c’è dubbio che alcune norme sono dettate dal buon senso, ma altre sono oggi così ridicole da far sorridere. Il lettore contemporaneo, al di là della importanza storica del documento, si divertirà a confrontarle con il metro della storia, per misurare quanto, in sede morale, sia mutato e quanto invece tuttora resiste.
Il volume, inoltre, è integrato dalle "Lettere" (ad Anassimene, a Ierone, a Telauge) composte in età tarda da autori ignoti, ma firmate con il finto nome di Pitagora. Forse, però, gli scritti più interessanti sono le diverse celebri biografie sul filosofo antico. La prima è di Porfirio, la seconda è di Giamblico, mentre la terza è di un Anonimo foziano. In esse si nota tutta la nebulosa leggendaria che gravita attorno alla figura del filosofo di Samo. Sembra quasi di leggere la descrizione di un mago, di uno sciamano antico capace di miracoli e di prodigi. Le diverse biografie si completano tra loro, aggiungendo dettagli, eventi incredibili che magari sono stati tralasciati negli altri scritti sulla vita di Pitagora.
Infine il volume propone anche gli "Estratti dal commento di Ierocle ai versi aurei". Commenti primitivi se vogliamo, ma che aggiungono colore a un pensiero e a un autore ancora da scoprire.
Opera dunque di importanza capitale per la nostra storia, nella quale si può leggere l'intenzione di legare la tradizione antica con lo sforzo sincretico della filosofia cristiana, bisognosa di aiuti retorici e autorevoli.

4 mag 2013

Saggio sulla lucidità - José Saramago (Romanzo - 2004)


"Quando nasciamo, quando entriamo in questo mondo, è come se firmassimo un patto per tutta la vita, ma può accadere che un giorno dobbiamo domandarci chi l'ha firmato per me, io me lo sono chiesto e la risposta è quel foglio".

All'apertura dei seggi elettorali, un violento acquazzone blocca in casa, con il disappunto del presidente di seggio e dei rappresentanti politici, i votanti della città. Poi, senza una logica, senza una motivazione plausibile, a temporale finito, alle quattro del pomeriggio, i votanti, contemporaneamente, si riversano per le vie della città e vanno a votare. È la vittoria della democrazia, si direbbe. Ma a mezzanotte, a scrutinio concluso, il paradosso: solo il venticinque per cento degli elettori ha espresso il voto, il restante più del settanta per cento ha lasciato la scheda in bianco. Caos dunque; ma mai quando, una settimana dopo, riaperte le urne, le schede bianche aumentarono ancor di più. Incapace di capire il governo, decide allora lo stato d'assedio, ma i seguenti disordini e le difficoltà logistiche per assicurare i bisogni primari alla popolazione lo inducono, insieme alle forze dell'ordine, a spostarsi in un'altra città. La popolazione isolata (l'isolamento è tema caratterizzante dell’opera saramaghiana, come le frequenti allusioni a Platone…) trova un modo di organizzarsi e di resistere,  anche dopo un attentato terroristico organizzato dal governo stesso. Nel frattempo quest'ultimo, durante un'accesa riunione e senza spiegare perché e come, intuisce che ci sia una stretta correlazione tra la rivolta delle schede bianche e l'epidemia di cecità bianca avvenuta quattro anni prima e descritta in quello straordinario romanzo che è "Cecità". A conferma di ciò, una lettera spedita ad alcuni ministri del governo dove ritroviamo la storia raccontata nell'altro romanzo e i vecchi personaggi che tanto abbiamo amato. In particolare si riconosce quell’unica donna, rimasta vedente nella storia di quattro anni prima, come la vera artefice della congiura delle schede bianche. L'attenzione perciò si sposta sui protagonisti dell'altro romanzo e su un commissario incaricato dal governo di scoprire, a tutti i costi, la relazione tra il bianco dell'epidemia e le schede bianche delle votazioni. Poi l'assurdità che diventa palese, l'alleanza degli innocenti e il commissario, la sfida di quest'ultimo con il primo ministro, l'assassinio del commissario e della donna, la vittoria della menzogna...

È il solito Saramago dei paradossi, degli eccessi, dei limiti dell'assurdo. La democrazia è svestita di quella patina buonista cui siamo abituati che la vede come la migliore delle forme politiche possibili. Ma, immediatamente dopo, ne è rivestita per antitesi. Sotto scacco, infatti, la democrazia degenera nella dittatura, con la sua violenza e la sua oppressione, ostentando tutta l’arroganza del potere, della menzogna del potere per restare al potere. È il caos che cerca una forma e si maschera di parvenza, di illusione, di finto ordine. Eccoci quindi a confrontarci con i confini della libertà, con un ossimoro: la libertà genera sottomissione e da questa si combatte per ottenere di nuovo una nuova presunta libertà.

Seppur a tratti verboso, a tratti lento, con periodi lunghi e infinite subordinazioni ma equilibrate, resta uno straordinario libro, che ha il merito spaventoso di sospingerci alla riflessione.

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