Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

5 giu 2020

Cere perse - Gesualdo Bufalino (Saggi - 1985)

"Celle di chiostro o di carcere, chi vi si chiude, seppure ne ricavi ragioni per credere in Dio, altrettante ne fabbrica per disperare di amarlo... insomma, l'insularità è a un tempo un privilegio e una pena, pensateci due volte prima di venirci in vacanza, voi che abitate le grandi pianure dove si può camminare sempre davanti a sé. Non misurate il nostro respiro sul vostro. E, soprattutto, uomini di terraferma, abbiate pietà di noi che viviamo nelle isole: potremmo, da un momento all'altro, sparire"


Rileggere Bufalino, specialmente in prima edizione, è emozionante tanto quanto scoprirlo la prima volta. Il grande scrittore comisano è in grado di turbare e di meravigliare il lettore sempre con nuovi brividi. È, in sostanza, un'epifania di emozioni e di riflessioni. La sua scrittura, la sua poetica, il suo pensiero sono barocchi, eleganti, abissali. Nelle sue opere, infatti, scava psicoanaliticamente nei meandri profondi della memoria, ne fa riemergere i ricordi e dopo, nietzschianamente (e proustianamente), li trasvaluta per crearne fantasie e storie da trascrivere su carta, sotto forma di romanzi, racconti, poesie, articoli.
Diciamocela tutta, Bufalino è uno scrittore del sospetto. Eppure non è metafisico in senso stretto. Ritengo che nel suo pensiero non ci sia molto spazio per la metafisica, anzi a tratti trovo istanze anti-metafisiche nella sua opera, nonostante la maggioranza dei suoi critici la pensi diversamente. Basta ricordare che tutta la sua riflessione sulla memoria e sui ricordi si riconduce fondamentalmente alla materialità della mente e del proprio vissuto. Basta ricordare il suo rapporto con Dio, che, se e quando esiste, è conflittuale, è materiale (celebri le riflessioni di padre Anselmo, struggente il corpo morto di Marta, oltre alla sua memoria, che deve aiutare il narratore a superare il momento profondissimo di scoramento in Diceria; arcano il Padreterno de Le Menzogne della notte che non si sa chi sia e che alla fine non verrà mai conosciuto; evocativa la volontà del padre dell'avvocato Crisafulli di avere con sé un bastone nella tomba per colpire materialmente Dio nel caso esistesse in Tommaso e il fotografo cieco). Basta ricordare che se esiste (ed esiste, specialmente nei racconti) una volontà di sopravvivenza, questa si trova soltanto nella memoria e nei libri scritti. C'è spazio per un'analisi esistenziale semmai. Anzi, questa è una caratteristica fondamentale, una cifra assoluta, secondo me, del pensiero dello scrittore siciliano. L'angoscia della vita, la nostalgia per un passato che non c'è più, il bisogno di mettere in posa il tempo per poi imbellettarlo con i trucchi della retorica, le riflessioni sulla precarietà, la finitezza e l'assurdità della vita, la solitudine di fronte alla vecchiezza e alla morte sono temi tipicamente esistenziali. Temi da leggere non in chiave ontologica-heideggeriana, ma in senso nietzschiano-nichilista, o tutt'al più in senso ateo alla maniera di Camus, o al massimo nel senso agnostico-nichilista alla maniera di Cioran. Essere o riessere dunque, non in chiave ontologica, ma in chiave materialistica-esistenziale.
Anche in questi elzeviri e articoli di giornali usciti tra il 1982 e il 1985, raccolti per paura di perderli come la cera che si scioglie dopo l'utilizzo che ne fa lo scultore, sebbene solo sporadicamente, si può trovare traccia di tale cifra. La varietà dei temi trattati, vagabondi e amaramente ironici, sprofondano spesso in uno scetticismo chiaro e distinto; la Sicilia come ossimoro, come mito, la memoria e il ricordo di Sesta Ronzon, ma anche il valore della parola e al contempo del silenzio. Eppure si nota sempre un certo grado di coerenza, verso se stesso, verso il giudizio tagliente sui libri, sull'arte, sull'esistenza non solo tragica, ma anche nei suoi aspetti più banali. È come leggere un romanzo autobiografico, un diario intimo, una confessione sullo scrivere e sul leggere, sui sentimenti privati, sul rapporto con il tempo e la morte. Elzeviri appassionanti per il linguaggio, per lo stile e per le sfumature interiori ed esistenziali quasi alla Pascal, alla Montaigne, alla Baudelaire (peraltro citati più volte). Si capisce quindi che il filo conduttore è il libro, il suo elogio. I libri che consolano, terapeutici, che ampliano la conoscenza e ci danno coscienza, che sono nutrimento. I libri sulla Sicilia, i libri dell'amico Sciascia, persino il modello 740 per la denuncia dei redditi, la riabilitazione del romanzo giallo. Lo scrittore non è innocente e la curiosità diventa quasi morbosa verso gli autori prediletti e i loro personaggi di romanzo. Il riessere dunque è nella materia del libro, nella pagina imbrattata di inchiostro, è, insieme alla memoria, l'unica strada possibile per sopravvivere ancora.

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog