"E dicendo io queste parole con doloroso singulto di pianto, e chiamando la Morte che venisse a me, una donna giovane e gentile, la quale era lungo lo mio letto, credendo che lo mio piangere e le mie parole fossero solamente per lo dolore de la mia infermitade, con grande paura cominciò a piangere"
Un prosimetro senza dubbio, nello stile e nella forma vetuste, oggi improponibile, eppure le analisi autoesegetiche, almeno nel modo di proporle all'interno del romanzo, frastornano e sbalordiscono per la loro modernità. Prosa narrativa, poesia, critica letteraria e filosofica insieme condensati in un romanzo sui generis che serve al poeta fiorentino, da pensatore fine e colto qual era, per esprimere la sua idea di donna, di bellezza, di amore. Argomenti, nei modi e nei sensi, tutti superati ormai, è inevitabile, ciononostante conservano tuttora quel fascino che solo antiche parole possono, perfino anche sorridendo, rievocare. Celebri i passi che rileggendo ritornano alla memoria. Del resto è nelle intenzioni di Dante rievocare delle immagini precise, cariche di simboli (il numero nove, fissazione dantesca, ad esempio è onnipresente), per scrivere un diario di ricordi.
Astrologia, teologia, allegorie, visioni oniriche vertiginose e anche terrificanti, alleati del poeta per esaltare la donna ambita, la donna angelo, Beatrice. E' vero, amore e sentimenti descritti sono così ingenui che adesso non avremmo dubbi a definire adolescenziali. La passione è solo spirituale, la donna è puro angelo, puro spirito; la passione è quindi scevra da coinvolgimenti carnali, dagli sconvolgimenti dei sensi e non solo della ragione. Per fortuna Petrarca e ancor più Boccaccio sono dietro l'angolo...
In tutto questo gioco di semplicità e pesantezza, tra sentimenti acerbi e strutture e forme in qualche modo molto moderne, trovo interessante pensare che la "Vita nuova", perlomeno la sua eroina, sarà intertestualmente celebrata nell'opera somma del sommo poeta.
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