Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

26 mag 2010

Addio alle armi - Ernest Hemingway (Romanzo - 1929)

"Ajmo giaceva nel fango sul fianco della scarpata. Era molto piccolo e aveva le braccia aderenti al corpo, con le gambe strette nelle fasce e gli scarponi fangosi riuniti e il berretto sulla faccia. Era proprio morto"

Avevo letto altri libri di Hemingway e sempre mi sono chiesto dove scorgere la grandezza straordinaria, perlomeno così ho sentito dire, di questo scrittore statunitense. Continuo, con un lanternino in mano, a chiedermelo!
Siamo in Italia, durante la prima guerra mondiale. La scelta di una simile situazione, già di per sé cospicua di elementi di meditazione (e si potrebbero ricordare altri titoli, altri capolavori con la stessa ambientazione...), sarebbe capace d’incuriosire e indurre a pensare alla riuscita della storia. Eppure leggiamo la semplice cronaca di un’esperienza personale, di un amore personale, che se ha qualcosa di universalizzabile è la distanza abissale tra una letteratura americana, stantia e sempliciotta, e una letteratura europea, profonda e davvero ricercata. Uno stile per nulla avvincente, il più delle volte banale; un racconto che infastidisce, il più delle volte scaduto; un messaggio, se ne ha uno e in potenza potrebbe averne di importantissimi, poco maturo. I dialoghi, molti, sovente sono banalissimi; mai una riflessione che trascenda l'ordine dei singoli fatti narrati, mai una generalizzazione, un’espressione intima sulla guerra, sulla paura, sull'uomo, sull'amore. Leggiamo descrizioni poverissime nel lessico, tantissime insopportabili ripetizioni. I primi incontri tra il protagonista e Catherine e i loro dialoghi sono a dir poco nauseanti e infantili. Gli unici momenti divertenti si possono setacciare nelle descrizioni sbeffeggianti dei gerarchi italiani…
Ma il romanzo, a onor del vero, non è sempre così immeritevole. Dopo la convalescenza, le pagine dedicate al nuovo rientro sul fronte iniziano a essere più riflessive e godibili. La descrizione della ritirata dopo la sconfitta di Caporetto, finalmente, pone spunti di riflessione sulla vita, sulla morte, sulla guerra; e la lettura, per quanto mi riguarda, si fa meno fastidiosa e noiosa: almeno il racconto si fa più avventuroso. Quest'ultima parte, insieme e soprattutto al tragico finale, seppur senza grandi guizzi emotivi, m’induce, ma solo un poco, a ricredermi.

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