"Quando si voltò per dirmi - C'è la firma, venga a vedere - ebbi un momento di vertiginoso stupore: i suoi occhiali erano una copia esatta di quelli del diavolo. Non colse, ché doveva essere visibile, il mio stupore; o finse di non coglierlo, godendoselo. Del resto, io passai subito a rintuzzare il colpo, se da parte sua c'era stato il gusto di far colpo, assumendo un'espressione che voleva dire: vecchio istrione, serba per il tuo gregge di imbecilli la trovata di questi occhiali".
Un pittore irrequieto quanto famoso, alla ricerca di serenità e meditazione, casualmente si ritira nell'Eremo di Zafir 3. Il brutto albergo, gestito da un inquietante e coltissimo don Gaetano, il giorno dopo l'arrivo del pittore senza nome e io narrante, è occupato da vescovi, politici, giornalisti, industriali per un ritiro annuale di esercizi spirituali. Poi, accertata l'ironia del pittore sulla chiesa (paragonabile alla migliore satira voltaireiana) e la vastissima cultura nelle brillanti e critiche risposte di don Gaetano sulla chiesa, quando il racconto è quasi a metà, l'imprevisto: uno sparo, un morto ammazzato, un ex senatore ucciso durante la recita del rosario. Allora si infittiscono i dialoghi serratissimi sull'uomo, sulla morale, sul delitto ovviamente, tra il pittore, don Gaetano e il procuratore Scalambri, fino a quando un altro omicidio sconvolge il torpore del panico su cui tutti gli ospiti dell'albergo si erano adagiati. Ma la soluzione non arriva, si accenna all'evidenza (citando Poe), eppure solo qualche battuta, qualche lampo di genio mai rivelato aumentano il disordine nell'indagine. Fino a quando, anche lo stesso don Gaetano è ucciso. Si intuisce che lo stesso pittore, il narratore, sia il colpevole di quest'ultimo assassinio, però...
È, come si evince dalla trama, un giallo solo a metà, che pagina dopo pagina si trasforma anche in un libello di denuncia politico. La politica infatti, la sua arroganza, in ogni modo deve riuscire a farla franca. Un libro profetico dunque; modernissimo perché rimane senza una soluzione, in cui la ragione (quella illuministica per intenderci, la ragione tanto spremuta dallo scrittore siciliano) alla fine fallisce di fronte all’insondabilità della morte. Tutti potrebbero essere colpevoli degli omicidi e non c'è un progresso verso la verità, solo un acre sentore di profondo pessimismo. Libro colto, ironico, costruito su più livelli, ambiguo, aperto, è un giallo in cui possiamo intravedere un superamento dell’Illuminismo sciasciano, in cui è lo spirito che deve essere cercato, vanamente però, con gli strumenti della ragione. Voltaire e Pascal si incontrano e si scornano e tutto si riduce a un mero esercizio spirituale più che un esercizio della ragione.
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