Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

13 ago 2011

Qui pro quo - Gesualdo Bufalino (Romanzo - 1991)


"Dalla volta celeste, sterminato coperchio che al modo d'un fazzoletto quattro cocche tenevano rigido e teso, nessun sollievo per gli occhi, ma piuttosto l'impressione, non so come altro chiamarla, ch'essa potesse all'improvviso, attraverso uno screzio o lapsus di nuvola dissuggellarsi e svelare - per un attimo, un attimo solo - l'inguardabile faccia di Dio..."

Se l'onomastica ha un senso - che non ha, ma nelle regole di un gioco tutto può avere un significato - la verità è nei nomi e in essi il destino dei portatori è scritto a chiare lettere. Se si seguissero i sensi di questo gioco imposti dall’autore, sin dalle primissime pagine si potrebbe cogliere senza molte difficoltà la sorte dei personaggi principali. Il primo esempio lo troviamo nel nome della narratrice - dietro cui si cela, sdoppiato, Bufalino -, Esther Scamporrino, alias Agatha Sotheby. È lei, il cui soprannome fa il verso ad Agatha Christie, l'investigatrice improvvisata, la timida indagatrice delle tortuose pieghe della ragione. Il romanzo, si sarà capito, è un giallo, e come in ogni giallo che si rispetti c'è un morto ammazzato. Ed eccoci al secondo e più lucente esempio. A morire, schiacciato dal busto di un Eschilo in pietra, è Medardo Aquila - costretto a sdoppiarsi per non essere solo - il cui nome richiama l'hoffmanniano e doppio Medardo de "Gli elisir del diavolo", e il cui cognome ricorda la leggendaria morte di Eschilo, ucciso colpito da una testuggine scagliata da un'aquila.
Se l’onomastica quindi ha un suo senso, la semiologia ne ha un altro non meno trascurabile. Se le parole sono i segni per eccellenza, sin dal titolo appare chiara la volontà dello scrittore di sfidare chi legge a decifrare le tracce che le parole possiedono. Già il titolo, come le parole, richiama qualcosa che sta per qualcos’altro, quel medievale aliquid stat pro aliquo…
Aldilà del gioco onomastico e semiologico, la storia è presentata come un'opera teatrale e tutti i personaggi, appunto, hanno pirandellianamente una e mille maschere. Maschere che sono di riflesso molteplici figure dello stesso autore, nascosto, ma non siamo meravigliati, dietro i paraventi dei suoi seducenti vocaboli. Difatti, per fare un esempio, allo stesso modo di Agatha, anche dietro Medardo si occulta un dimezzato Bufalino. Ma cerchiamo di ordinare i fatti raccontati nell’invenzione bufaliniana.
Come si scriveva poc’anzi, ucciso nella sua villa sul mare da un busto eschileo l’editore di gialli Medardo (la metaletteratura quindi è uno dei cementi di cui il romanzo è impastato), gli odiati ospiti sono costretti a subire un'astrusa indagine, intrappolati nella villa per le frane causate da un temporale estivo. L’indagine non è dettata dall'analisi dei fatti accaduti, ma dallo stesso defunto, il quale, con delle lettere preparate preventivamente, si assurge, sarcastico e accusatore, ad architetto e burattinaio dell'intera ricerca dell’assassino. Un demiurgo che dall'aldilà si diverte a plasmare l'argilla dell'intreccio; un Medardo-Dio solitario e burlone che, creati Adamo ed Eva, si distrae prevedendo le loro mosse dopo aver loro insediato dietro la fronte il cruccio del male. Il puparo Medardo, che manovra i suoi burattini, sfida quindi i suoi ospiti a giocare (questo verbo così come le similitudini a esso collegato ritornano innumerevoli volte nelle pagine) ai detective, invitandoli già prima del delitto a raccogliere appunti sugli orari e sulle abitudini che avrebbero mostrato nella villa. Un passatempo degli alibi che porterà Esther, seppur fuorviata dalle lettere minacciose e beffardamente contraddittorie del fu Medardo Aquila, a smantellare le stesse accuse del morto e, infine, ad accusarlo a sua volta del macchinoso suicidio. Sembra dunque che ogni cosa sia al suo posto, e invece, in un mirabile gioco di incastro tra testo e paratesto (evidenziato dal brillante scritto di Giuseppe Traina che chiude il volume), il romanzo si conclude senza la definitiva vittoria della ragione. Rimarrà il dubbio e, alla fine, nessuna riflessione ci indicherà il vero assassino. È il teatrino della vita: qualcosa ci manovra, destino o Dio che sia, e l'uomo ha solo i limiti della ragione cui appigliarsi, per illudersi che è libero di scegliere.
È un romanzo carico di riflessioni filosofiche e su di esso, come sull'intera opera bufaliniana, infinite considerazioni si potrebbero proporre. Tutte profondissime, non c'è dubbio: scetticismo, pessimismo, limite delle parole e della ragione, delle stesse possibili soluzioni che richiamano l’impossibilità di scelta della vita... Lo scrittore di Comiso, com’è stato più volte definito il più europeo degli scrittori siciliani, con un romanzo sui generis, con un morto come protagonista insieme a una riservata donna improvvisata investigatrice, con una conclusione aperta, con riflessioni esistenziali, con la metaletteratura mai solo sullo sfondo, si dimostra ancora una volta fragrante di post-moderno.
Si era già accennato della metaletteratura. Altre poche parole mi sembrano d'obbligo. L’editore di gialli, da vivo e da morto, e i diversi personaggi intavolano vivaci confronti sul romanzo giallo, sulle sue regole. E così fioccano le citazioni, le criptocitazioni, costringendo il lettore a guardarsi le spalle; si attende l'agguato spietato del cacciatore, imboscato nella foresta delle parole e dei sofismi. È una partita di scacchi in fondo, un ballo con i suoi passi precisi. Brillante ironia, assurda sfida con il lettore, teatro, cinema, musica, jazz e classica, letteratura, tutte passioni bufaliniane nell'intreccio a tessere la tela della storia; si ha la sensazione che lo scrittore voglia prendere in giro chi legge, che ci sia una malata contraddizione nella volontà dell'autore stesso, impossibilitato a camuffarla completamente a un lettore-dottore che non potrà mai avere la definitiva cura per risolverla…
In verità si avverte un'assenza, un vuoto. Ma sarà perché costitutivamente e volutamente il romanzo è inconcludente; sarà perché non si respirano, se non in brevi ma fulminanti sprazzi, quei brividi della memoria a cui il comisano ci ha abituato; sarà perché il senso, tra testo e paratesto, è nascosto tra i misteri della vuota esistenza.
E poi, che stile!

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