La Recherche, si sa, può apparire, nella sua monumentalità, un romanzo difficile. E non è una percezione sbagliata in fin dei conti. Eppure questo romanzo assoluto, poliedrico e totale è disponibile a dialogare con tutti e a destare forti emozioni e riflessioni. Proust è un autore moderno, da subito un classico e quindi uno scrittore contemporaneo, attuale, in grado di dirci qualcosa di nuovo anche oggi. Una narrativa, quella proustiana, carica di verità teoretiche. Nel senso che lo scrittore, partendo da osservazioni sensoriali e particolari (gesti, espressioni facciali e verbali, situazioni), riesce a sviluppare e a recuperare leggi universali. Narrativa, saggistica, immaginazione, intelligenza analitica, metafora convergono nell'opera proustiana e tutti i personaggi, l'autore stesso e ovviamente il lettore sono costretti a misurarsi con le proprie intime verità, che solitamente tendono a nascondersi e a mistificarsi. Un romanzo alla ricerca della verità, dunque. Uno scrittore che è al contempo un filosofo, che studia i processi selettivi della memoria fluida, una memoria metamorfica che trova, però, una salvezza solo nell'arte, nella letteratura, nel romanzo che ha appena finito di scrivere. È questo il tema della percezione della memoria del tempo.
Brugnolo riflette anche sulla capacità straordinaria di Proust di teorizzare la letteratura, che trova nella Recherche uno sviluppo organico e minuzioso del Contro Sainte-Beuve. Il suo metodo analogico-metaforico, che secondo l'autore ricorda il metodo mitico di Joyce, è utilizzato sempre e solo per cercare la verità, sia essa parziale, sia essa totale. Capacità interpretative che lo avvicinano alle intuizioni che Freud ha avuto nei suoi studi sul sogno e sulla psicoanalisi.
In un capitolo è studiato, inoltre, il rapporto che l'autore della Recherche ha con la storia e la società. Un interessante confronto tra le tesi sostenute da Charlus (personaggio tra i più interessanti dell'intero romanzo) e quelle di Schmitt e della sua idea politica di destra secondo cui essa sta tutta nella distinzione tra amico e nemico. Confronto azzardato a primo sguardo, ma che invece cela germi di verità. Rapporti di società che si semplificano nelle pagine, per esempio, dedicate al caso Dreyfus, tanto discusso nei salotti dell'alta borghesia.
Nel saggio c'è spazio per alcune considerazioni su lettori e critici di Proust, come Orlando (il maestro dell'autore del volume), Curtius, Ginzburg, Lavagetto, Sartre. Per concludere con un confronto tra Mallarmé e lo stesso Proust sul ruolo della letteratura (dopo la morte di Dio e di tutti i valori) come alternativa della religione. La letteratura, dunque, non intesa come arte per l'arte, bensì come la sola in grado di dare senso alla vita.
L'ultimo capitolo riguarda i temi dello snobismo, della gelosia, dell'omosessualità, dell'ebraismo trattati con la profondità analitica di Proust e accompagnati genialmente dalle sue toccate comiche. Proust come sociologo quindi, che interpretando il suo tempo dei salotti alto-borghesi e aristocratici ne ha profetizzato il nostro.
L'impressione (positiva) è che il critico legga il capolavoro proustiano in una chiave di lettura deplatonizzante, lontana da quella di Deleuze, più legata a principi empirici, anti-metafisici e immanenti. Sullo sfondo, invece, aleggia Freud. Non tanto come lettura psicanalitica della Recherche, quanto di una coppia, Proust-Freud, che per vie diverse e con metodi diversi è stata in grado di intuire e descrivere quei lati oscuri e quasi impenetrabili della nostra mente.
Gli argomenti sono analizzati con lo sguardo dell'accademico, ma anche con la pazienza e la semplicità del divulgatore. Uno dei migliori saggi dedicati a Proust in questi ultimi anni.
grazie davvero l'essenza del mio saggio è stata colta benissimo! Stefano Brugnolo
RispondiEliminaGrazie a lei per aver letto il mio post e, soprattutto, per il suo saggio!
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