"Lavorava muto, chiuso, invisibile e pieno di disprezzo per quei piccoli spiriti il cui talento è una sorta di ornamento sociale, i quali, sia che fossero ricchi sia che fossero poveri, se ne andavano in giro sporchi e laceri oppure sfoggiavano il lusso mediante eccentriche cravatte, in primo luogo felici, intenti a vivere amabilmente e artisticamente, ignari che le opere buone sorgono soltanto sotto la pressione di una vita grama, che chi vive non lavora, e che bisogna essere morti per essere veramente creatori".
Tonio, figlio di una famiglia borghese, già a quattordici anni si diletta a scrivere versi. E in questi, nella sua tensione artistica, avverte la diversità rispetto ai coetanei e agli insegnanti; rispetto ad Hans Hansen - l'amico verso cui nutriva un affetto quasi morboso - e Ingeborg Holm - la bellissima ragazza della quale era innamorato senza esserne corrisposto. Il ragazzo si fa adulto, viaggia, conosce il mondo, le varie forme di bellezze artistiche, e avverte dentro se stesso una sempre più robusta forma di disagio, di peccato, di disperazione, eppure non può fare a meno di dedicarsi all'arte, alla creazione. Soffre, vive in un limbo, perché, seppur in estasi, non riesce a condividere la sua passione per la bellezza, per l'amore della creazione. Poi il viaggio in Danimarca, il ritorno alle origini, la ricerca disperata di un'arte pura, profonda, lontana dalla formalità della bellezza italiana che gli è venuta a noia. Quindi il ritorno nella sua città natale, il tuffo nella malinconia dei ricordi, la forza della solitudine, e, durante le soste tra le località danesi, ecco che in un albergo incontra Hans e Ingeborg che si tengono la mano... E allora le pagine si fanno sublimi, altissime e la contrapposizione tra il dolore dell'arte e della conoscenza e tra la realtà della vita ordinaria e inconsapevole esplode in tutta la sua veemenza e sontuosità.
Racconto lungo o romanzo breve, è un'opera autobiografica; di nostalgia. Nostalgia verso un mondo, quello dell'adolescenza, ormai lontanissimo, in cui solo il ricordo di un'esistenza resta felicemente impresso. Ma è di nostalgia - quasi di rimpianto - anche perché Tonio più sa, e più è consapevole del suo essere creatore, più è diverso, distante dall’heideggeriana quotidianità media, e ciò lo rende triste. Gli altri sono felici, lui no, non può esserlo! Nutre invidia verso quelli come Hans e Indeborg, belli, biondi, con gli occhi azzurri, che vivono una vita senza tormento; addomesticati e conformisti. Tonio si accorge che la sua contraddizione non potrà essere risolta, che non potrà mai essere diversamente da com’è, che è destinato all’insoddisfazione, al turbamento, all’essere il prototipo della sofferenza dell’uomo moderno. Il protagonista non vuole vivere un'esistenza in cui la dignità della ricerca dell'essere sia perduta. Tonio-l'artista-Mann sente il bisogno di vivere la vita in piena coscienza, di autoaffermarsi nella dignità della ricerca del senso, nella disciplina di un'esistenza di perenne e contraddittoria tensione morale verso l'eroicità. Ma si è macchiato di una colpa mortale: durante il viaggio in Danimarca si abbandona alla vita media, e allora l’irrequietezza, la turbolenza, l’insoddisfazione dell’animo irrompono e lo sconvolgono ancora di più. E che finale; quella confessione di invidia, di bisogno di normalità…
Alcune pagine sono di straordinaria bellezza, così come le riflessioni sull'arte sono esemplari. È un piccolo ma eccezionale capolavoro (uno dei tanti del gigantesco scrittore tedesco), un poema sinfonico post-romantico in cui, su uno sfondo amletico, si nascondono vistosamente percettibili Nietzsche, Schopenhauer, Leopardi.
Un racconto riscoperto; a chi lo sa, un riconoscente pensiero…
Nessun commento:
Posta un commento