Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

27 mar 2023

Marcel Proust e i segni - Gilles Deleuze (Saggio - 1964)

"Vi sono verità del tempo perduto non meno che del tempo ritrovato. Ma, per maggior precisione, occorre distinguere nel tempo quattro strutture, ognuna delle quali ha la sua verità. Infatti il tempo perduto non è soltanto il tempo che passa, alterando ogni essere, annientando ciò che fu; è anche il tempo che perdiamo (il tempo perso: perché perdere tempo, perché essere mondani, innamorarsi, invece di lavorare e di fare opera d'arte?) E il tempo ritrovato è anzitutto un tempo che ritroviamo in seno al tempo perduto e che ci dà un'immagine dell'eternità; ma è anche un tempo originale assoluto, eternità vera che si afferma nell'arte".


Secondo il filosofo francese, la Recherche andrebbe letta come un'opera che guarda i segni (semioticamente parlando) che vivono intorno a noi. Non c'è solo il tema della memoria in Proust e nella sua opera, c'è anche un'ossessione verso la decifrazione dei segni presenti nel mondo. Questi ultimi possono essere volontari (del linguaggio, della famiglia, delle classi sociali, dell'amore), e anche involontari (del corpo, degli oggetti che rimandano a qualcos'altro come le madeleine). I segni da decifrare sono quelli della vacua e frivola mondanità, delle menzogne dolorose dell'amore, delle qualità sensibili, dell'essenziale arte in grado di decodificare e trasformare tutti gli altri. Fulmini violenti, casuali, che costringono solo dopo l'intelligenza a codificarli. La Recherche in fondo è la ricerca della verità, una verità ovviamente condizionata dal tempo. Essa è tale nel tempo e questa si manifesta involontariamente. È lei che ci costringe a pensarla; non può essere un metodo o una decisione volontaria a trovarla. Proust (che ha un dono naturale, la sensibilità, il mezzo con cui si possono cogliere i segni, il mondo come cosa da tradurre in significato, il mondo come geroglifico) pensa ed elabora, secondo Deleuze, perché costretto dai segni che la verità gli lancia violentemente contro, in una madeleine, nell'inciampo di un lastricato, nel rumore di un cucchiaino. 

Per Deleuze, quindi, il capolavoro proustiano è un romanzo che guarda al futuro attraverso un'evoluzione che lo stesso Proust vive e racconta. Il narratore-detective, infatti, cresce, apprende, decodifica il mondo al fine di diventare quello che è, ovvero uno scrittore che sa cogliere nell'arte il significato più profondo dell'esistenza e della verità. È lui a scoprire che i segni della mondanità che tanto lo hanno affascinato sono vacui, così come quelli dell'amore sono illusorie. Se l'essenza dell'amore è nella serie che porta le leggi della menzogna ai segreti di Sodoma e Gomorra; il vuoto, la stupidità e l'oblio sono l'essenza della mondanità. Solo i segni dell'arte portano al di là dell'illusione, all'essenza del tempo. Nell'arte, la verità si manifesta con violenza e sfugge alle codifiche spazio-temporali e causali dell'intelligenza. L'arte, schopenhauerianamente, è il coltello che squarcia il velo di Maya, il muro dell'illusione, della rappresentazione sensibile. I segni dell'arte sono superiore agli altri perché sono immateriali, rimandano a una dimensione platonicamente più profonda e spirituale, all'Unità e all'Essenza. E così la stessa Recherche, opera d'arte anch'essa ricolma di segni, produce effetti sul lettore, il quale, come il narratore, può cogliere le manifestazioni della verità nel libro, ma anche dentro di sé.

La seconda parte, meno organica e coerente della prima, ci mostra il Proust ebraico che si contrappone al filosofo ebreo; Gerusalemme contro Atene. Uno scontro in cui sensibilità e intelligenza, pathos e logos, sono nemiche (ma sarà vero che nella Recherche la coppia sia antinomica e non di alleanza o tutt'al più un movimento dialettico?). Interessante notare che la complessità dell'opera proustiana dipenda dalla molteplicità dei livelli, dalla frammentarietà dell'universo che non è possibile unificare con la logica, ma solo con l'arte. La Recherche, quindi, diviene uno strumento in grado di decifrare i segni e la complessità del mondo. Ma è anche una macchina, un meccanismo complesso che produce verità. Nel processo di analogia, infatti, tipico della descrizione proustiana, si passa dall'impressione involontaria di un segno a un'interpretazione da cui si produce un altro senso, una legge.

In un saggio imprescindibile per conoscere l'opera di Proust e fonte di ispirazione per molti studiosi, l'analisi di Deleuze rimane ancorata, secondo me, a una visione eccessivamente platonizzata, eccessivamente metafisica che non riesce a comprendere fino in fondo la molteplicità degli sguardi dello scrittore francese che, spesso, sconfinano in atteggiamenti che si riducono alla semplice realtà materiale.

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