Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

5 feb 2019

La caduta - Albert Camus (Romanzo - 1956)

"Tutti quei libri appena letti, gli amici appena amati, le città appena visitate, le donne appena possedute! Compivo dei gesti per noia o per distrazione. Gli esseri venivan dietro, volevano aggrapparsi, ma non c'era niente, ed ecco l'infelicità. Per loro. Perché, quanto a me, dimenticavo. Non mi sono mai ricordato d'altro che di me stesso".

In un bar di Amsterdam, il Mexico-City, Jean-Baptiste Clamence, un uomo assurdo che vive nell'assurdo, si definisce "giudice-penitente". Il brillante protagonista, avvocato di una Parigi lontana e superficiale, si confessa in un lungo monologo con un occasionale frequentatore della taverna allo scopo di redimersi dal suo egocentrismo. Ma per fare ciò, Clamence cerca di far confessare il suo ascoltatore (noi lettori, in sostanza), innalzandosi a giudice, un falso giudice però. Da accusatore di se stesso ad accusatore di tutta l'umanità, Clamence è uno Zarathustra moderno, un profeta senza il suo Messia. È un uomo che si sentiva felice perché non aveva bisogno di nulla, famoso e ben quotato, armonioso con la natura e con gli altri, eppure sentiva dentro di sé, come un tarlo che si incunea nel legno, il peso dell'assurdità di quella condizione. E nell'inammissibilità della sua esistenza, persino quando una ragazza si butta nella Senna e Clamence sente il tonfo nell'acqua, continua per la sua strada.
È un uomo, quello descritto da Camus, che vive nella depravazione, nel disagio, nella contraddizione, nell'inconcepibile insomma. Pur di non annoiarsi, pur di non restare nella contemplazione di sé, ha bisogno di fare qualcosa. E allora indossa le maschere dell'apparenza, vive una doppia vita, una di facciata, decorosa e felice, l'altra vera, viziosa e triste. Ecco allora il bisogno di confrontarsi con gli altri, per cercarne gli stessi vizi, le stesse maschere, le stesse menzogne, in modo da sentirsi più leggero. Perché in fondo, oggi, in quanti sono in grado di tenere saldi a sé tutte le proprie certezze? L'uomo ormai è caduto nell'assurdo e nell'angoscia, e chissà se troveremo mai il modo di uscirne.

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