Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

5 lug 2025

Noi figli di Eichmann - Günther Anders (Saggio - 1964)

"Lei sa che nelle carni delle vittime di Suo padre, non appena entrati nel lager, a mo' di marchio del mostruoso venivano incisi dei numeri. Anche Lei si porta con sé - per il fatto che ciò che ha dovuto subire è troppo grande per Lei e supera ogni possibile immaginazione - un simile marchio del mostruoso: il numero SEIMILIONEUNO. E anche se questo numero resta invisibile e non è stato inciso nella Sua carne ma soltanto nel Suo destino; tuttavia il Suo numero non vale meno dei numeri dei sei milioni che sono stati bruciati, né vale meno di quelli che ancora oggi si possono vedere sul braccio degli scampati"


Ci sono libri che non cercano lettori: cercano testimoni. È il caso di questa lettera, che non è stata scritta per informare o commuovere, ma per svegliare. Il filosofo lo fa rivolgendosi a Klaus Eichmann, figlio del gerarca nazista Adolf Eichmann (uno dei principali responsabili dello sterminio degli ebrei, il burocrate che organizzò la “soluzione finale”) ma in realtà parla a noi: figli e nipoti di un’epoca che non ha ancora fatto davvero i conti con se stessa. Il messaggio è chiaro e scomodo: non basta essere nati dopo quella mostruosità per sentirsi assolti. Se Eichmann ha obbedito senza pensare, noi rischiamo ogni giorno di fare lo stesso. In modo più silenzioso, più sofisticato, ma non per questo meno pericoloso. Viviamo in un mondo in cui le decisioni si eseguono premendo un pulsante, senza vedere il volto dell’altro. È la tecnica che ci deresponsabilizza; è l’efficienza che ci disumanizza. Non serve essere mostri per partecipare al male: basta essere ingranaggi. Obbedienti, funzionali, automatici. È questo che rende Eichmann spaventoso: la sua normalità. La sua banalità, come dirà Hannah Arendt. Ma Anders non accusa: chiama alla responsabilità. Denuncia la neutralità morale di chi si limita a dissociarsi, senza mai interrogarsi. Essere, anche noi, figli di Eichmann significa vivere in un mondo che può ancora produrre Eichmann. Ma significa anche avere la possibilità e il dovere di fare diversamente.

Il volume si chiude con una seconda lettera, scritta venticinque anni dopo la prima, che non aveva mai ricevuto risposta. Stavolta, Anders esprime una preoccupazione ancora più profonda: il riemergere del negazionismo e dell’antisemitismo, figli di quella stessa indifferenza che caratterizza i figli di Eichmann.

Un testo breve, spietato, urgente.

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