Nel 1958 Anders si reca in Giappone, visitando Hiroshima e Nagasaki, tredici anni dopo la catastrofe. Quel che ne viene fuori non è un semplice reportage, né un diario di viaggio nel senso tradizionale; è un documento filosofico, politico, umano. Uno sguardo che buca la superficie e va dritto al cuore del problema: la nostra incapacità di essere all’altezza del mondo che abbiamo creato. Hiroshima e Nagasaki non sono solo luoghi del disastro, sono simboli permanenti dell’abominio umano, della nostra capacità (tutta contemporanea) di sfruttare la tecnologia non per vivere meglio, ma per annientarci con efficienza. Il libro non è solo riflessione astratta, tutt'altro, è fatto anche di incontri, volti, cerimonie, racconti di sopravvissuti, dialoghi, frammenti di umanità ferita. Il filosofo parla con chi ha vissuto l’orrore, partecipa a commemorazioni, ascolta, domanda, registra, e nel frattempo pensa. Riflette ad alta voce, spesso in modo amaro, ma sempre lucidissimo. A emergere è una proposta filosofica radicale: occorre imparare a immaginare l'inimmaginabile, se vogliamo almeno provare a prevenirlo. Perché il nostro problema, oggi, non è tanto sapere che qualcosa può accadere, ma sentirlo, dargli corpo, farlo diventare parte del nostro mondo affettivo e morale.
A chiudere il volume troviamo le Tesi sull’età atomica (1960), uno scritto breve ma bruciante, improvvisato dopo un dibattito pubblico. Qui Anders condensa i nodi morali e politici della condizione atomica; l'autonomia dell’apparato tecnico, l’obsolescenza dell’essere umano, la sproporzione crescente tra ciò che possiamo fare e ciò che possiamo immaginare. Viviamo in un mondo che può finire, ma facciamo finta di niente.
Ciò che impressiona è la sua capacità di cogliere, ben prima di tanti altri, il passaggio epocale in cui siamo ancora immersi. Non viviamo più semplicemente in un mondo con la bomba atomica, ma dopo la bomba. In un tempo finale che però non si chiude, un’era sospesa in cui convivono (paradossalmente) la possibilità della fine e l’indifferenza quotidiana.
Un libro per chi vuole pensare a ciò che è stato e a ciò che potrebbe essere, e a chi, soprattutto, non vuole smettere di lottare contro ciò che abbiamo reso possibile e contro l’indifferenza. Un libro che si legge come un pugno nello stomaco, e che rimane lì, a fare male, anche dopo la lettura.