Nel panorama ormai vastissimo della storiografia sulla Guerra Fredda, questo volume rappresenta un contributo originale e necessario. Si sposta lo sguardo, infatti, dai consueti protagonisti – Stati Uniti e Unione Sovietica – per concentrarsi sul ruolo cruciale del Sud globale, ovvero i paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina emersi dallo sconvolgimento della decolonizzazione. La Guerra Fredda, pur essendo nata come confronto ideologico e geopolitico tra due superpotenze, si è giocata anche al di fuori dell’Occidente, in contesti dove i problemi non erano solo l’equilibrio militare o il contenimento reciproco, ma piuttosto lo sviluppo economico, la lotta alla povertà, l’accesso all’istruzione e alla salute. In questi scenari, la competizione tra USA e URSS assumeva un volto nuovo: si trattava di conquistare cuori e menti attraverso modelli alternativi di modernizzazione.
L’autrice insiste in particolare sulla difficoltà di costruire un approccio davvero globale al tema dello sviluppo, che fu invece spesso trattato secondo logiche regionalistiche, frammentarie e influenzate dalle singole agende delle potenze. Questo limite ha inciso profondamente sulla reale efficacia delle politiche di cooperazione internazionale, contribuendo a mantenere o addirittura ad accentuare le disuguaglianze tra Nord e Sud.
Il libro mostra come la corsa allo sviluppo non sia stata solo una retorica di facciata, ma una vera arena di scontro, in cui le élite dei paesi postcoloniali hanno avuto un margine di autonomia ben maggiore di quanto si possa pensare. Ne emerge una storia ricca di ambiguità, in cui le potenze cercavano di guadagnarsi l’appoggio del Sud globale anche a costo di adattare i propri modelli ideologici.
Scritto con chiarezza e sobrietà, il libro è utile sia per chi vuole comprendere meglio la complessità del secondo Novecento, sia per chi cerca strumenti per leggere le persistenti disuguaglianze Nord-Sud nella loro genealogia storica.