In questo saggio accademico, dal sottotitolo “Storia, lavoro e soggettività in Marx e Heidegger”, i due grandi filosofi sono messi a confronto, partendo proprio dal bisogno di Heidegger di trovare un dialogo produttivo con il marxismo. Un dialogo, però, interrotto, anzi quasi mai intrapreso, perché, come sostiene l’autore del saggio, i due filosofi sono troppo distanti tra loro. È vero, esistono molti aspetti nel loro pensiero sulla modernità che potrebbero avvicinarli, ma è pur vero che già nelle premesse (e nelle soluzioni alle contraddizioni del tempo presente) i due filosofi appaiono inconciliabili. Un confronto sarebbe possibile e convergente solo se, nel loro pensiero, si osserva la modernità sotto la luce della contraddizione. La modernità, per Marx e Heidegger, è, infatti, tempo di crisi; è determinata da una struttura dinamica e si caratterizza con la tecnica, il motore che spinge verso antinomie e incongruenze.
La prospettiva marxista è logica conseguenza della dialettica hegeliana (sebbene ribaltata) e il presente, l’epoca del capitale che ha prodotto l'alienazione dell’operaio, ha necessariamente una soluzione che trova una sintesi nella rivoluzione comunista. La contraddizione è immanente all’epoca presente, all’epoca dell'accumulazione capitalistica, tuttavia con la prassi si può favorire e accelerare la rivoluzione che porterà al comunismo e all'abolizione delle contraddizioni della storia.
Heidegger, invece, non parte da premesse materialistiche, ma ontologiche e studiando la storia dell’essere fino ad oggi, passando per il pensiero nietzschiano, la modernità gli appare come l’epoca del massimo oscuramento dell’essere, della spaesatezza, che non può trovare nessuna soluzione in quanto costitutivo all’essere stesso. Solo quando il nichilismo sarà compiuto e totale (è lo stesso Heidegger che considera Marx un rappresentante di quel nichilismo che ha obliato del tutto l’essere) con l’epoca della tecnica in cui l’essere è diventato uno strumento per accumulare, allora sarà possibile pensare al suo superamento, all’evento (il nazismo antisemita e antisovietico) che potrà riabilitare l’essere e la metafisica. Un evento che è possibilità immanente all’essere stesso in quanto storia.
Due autori, quindi, incompatibili nelle premesse e nelle conclusioni, ma che trovano un approdo comune unicamente nella critica alla contemporaneità. Un libro utile solo per rileggere il pensiero di due filosofi eccezionali e per confrontarsi con un presente perennemente contraddittorio.
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