Che il filosofo tedesco fosse uno dei pensatori più radicali del Novecento non è una novità. Eppure, in questo volume aggiunge qualcosa di profondamente umano: un carteggio tra il filosofo e Claude Eatherly, il pilota americano che volò sopra Hiroshima pochi minuti prima che la bomba atomica cancellasse tutto. Non si tratta solo di una corrispondenza privata, ma di un documento politico, filosofico ed esistenziale. Lettere che nascono da una sintonia inaspettata, un riconoscimento reciproco: da un lato un uomo devastato dal peso delle sue azioni, dall'altro un filosofo convinto che l'unico modo per contrastare l'orrore sia guardarvi dentro fino in fondo.
Anders riconosce in Eatherly non il classico carnefice (come è stato Eichmann), ma un simbolo tragico della nostra epoca, l'epoca in cui l'agire tecnico ha rotto ogni legame con la responsabilità morale. Questo non vuol dire che sia una difesa o un'assoluzione, è piuttosto comprensione. Eatherly non ha mai sganciato la bomba (pilotava un aereo ricognitore in veste di meteorologo) ma ha visto ciò che non si poteva vedere e, da allora, non ha più avuto pace. Inizia a sabotare banche, a farsi arrestare, si autodenuncia per reati minori, come se volesse punirsi. Finisce in un ospedale psichiatrico, bollato come pazzo perché incapace di dimenticare quello che tutti, in patria, hanno fretta di rimuovere. È in quel momento (e qui sta uno degli aspetti più toccanti del libro) che il filosofo non si limita a scrivere, ma si espone in prima persona. Gli invia soldi, lo mette in contatto con avvocati, organizza raccolte fondi, scrive articoli per la stampa internazionale; vuole che Eatherly non venga isolato, che la sua colpa non venga silenziata con la camicia di forza, come accade troppo spesso ai testimoni scomodi. Il cuore del libro è l'invito di Anders a scrivere un'autobiografia. Non come esercizio narcisistico, ma come gesto politico e filosofico, trasformare il turbamento individuale in memoria collettiva per cercare di rompere il muro dell'indifferenza. Eatherly accetta, a fatica, ma lo fa. Le sue lettere sono piene di smarrimento, ma anche di consapevolezza. È come se sapesse che, scrivendo, non potrà redimersi; ma potrà almeno trasmettere un'allerta, una memoria tossica. Anders lo accompagna in questo percorso: a tratti lo scuote, lo incalza; altre volte lo consola, lo comprende. È un dialogo tra due uomini feriti (in modo diverso), ma accomunati dalla stessa intuizione: che l'era atomica è irreversibile, ma non per questo dobbiamo cedere alla disperazione.
Questo carteggio ha l'obiettivo di contrastare ogni tentativo di riarmo nucleare, ogni discorso che riduce la bomba a "arma come le altre", ogni deriva tecnocratica che rimuove le conseguenze umane delle decisioni politiche. Il pacifismo che ne risulta non è ingenuo né utopico, è l'unica forma possibile di lucidità. Il libro, così, si trasforma in un manifesto. Non ideologico, ma radicale nel senso più profondo: nel dolore, nella vergogna, nella solidarietà. Perché se anche Eatherly è una vittima di Hiroshima, allora è nostro compito ascoltare la sua voce prima che venga sommersa dal rumore del tempo e delle guerre.