"Invano Lentini, e Francofonte, e Paternò, cercano di arrampicarsi come pecore sbrancate sulle prime colline che scappano dalla pianura, e si circondano di aranceti, di vigne, di orti sempre verdi; la malaria acchiappa gli abitanti per le vie spopolate, e li inchioda dinanzi agli usci delle case scalcinate dal sole, tremanti di febbre sotto il pastrano, e con tutte le coperte del letto sulle spalle"
I siciliani, lo sanno tutti, sono per carattere eccessivi, esuberanti, estremi; ad esempio: o parlano per non lasciare parlare gli altri oppure sono talmente silenziosi da sembrare scorbutici. Nessuna via di mezzo dunque, radicali; come lo scirocco di luglio, implacabile, assassino, micidiale. Persino in fatto economico gli isolani lo erano (lo sono?): o poverissimi o ricchissimi. Nelle novelle verghiane, in generale, questa definizione dell'eccesso siciliano trova un'altissima intensità. Ci sono personaggi nati poverissimi che, sovente con l'inganno, riescono a ribaltare il loro punto d'esagerazione nel suo opposto. Diventano ricchissimi o si arrogano il diritto di definirsi più forti e quindi più importanti e superiori. E' inesorabile però la sconfitta dei rivoluzionari, di quelli che pretendono e vogliono cambiare, nel bene e nel male, il loro stato sociale; da che mondo è mondo, da che Sicilia è Sicilia, sono sempre i più deboli a essere sconfitti.
In un eccesso o in un altro, i personaggi rusticani non conoscono serenità. Lottano sempre per il possesso, l'avarizia, la “roba"; insomma parlano o stanno in perenne silenzio. Il pessimismo verghiano è il pessimismo dei siciliani. E' un pessimismo modellato sull'ossimoro, sulla contraddizione, su spinte opposte che insieme si annullano e immobilizzano l'azione e il pensiero. L'impotenza è, infatti, la peculiarità dei racconti. Alla fine tutte le speranze, i sogni, i sacrifici crollano e si sfracellano sui terreni duri e bruciati delle campagne di provincia.
Suonano molto bene, per me che sono siciliano, alcune espressioni e alcune costruzioni sintattiche del dialetto. Ma, in uno stile un po' prolisso, i temi e le situazioni narrate sono sempre simili; mancano di un pizzico d’inventiva e si trascinano claudicanti pagina dopo pagina. L'intertestualità nell'ultimo racconto, "Di là del mare", in cui luoghi e personaggi si ritrovano nominati, suggellano la raccolta e ne danno un senso unitario.
Dello scrittore catanese preferisco a queste novelle, di gran lunga, "Vita dei campi".
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