Un romanzo di formazione, ambientato nella provincia senese, che è lontano da descrizioni dannunziane, opalescenti e fugaci, della società borghese dell'Italia del primo novecento. L'amore di Pietro Rosi, il protagonista adolescente, senza ragione, a occhi chiusi appunto, alla fine si ritroverà a fare i conti tra il suo amore genuino, fedele, incondizionato e tra l'egoismo, l'opportunismo, la lussuria di Ghìsola, compagna di giochi e amante opportunista. Le attese, le speranze di Pietro alla fine saranno tradite dalla vita, dalla sua grovigliosa caoticità. Ne viene fuori un pessimismo profondo, naturale, che non dipende solo dalla condizione sociale dei protagonisti (anzi forse questa ne è un riflesso), ma dall'inettitudine dell'uomo moderno. La prospettiva cristiana di Tozzi - e la sua misoginia - condannerà moralmente Ghìsola, ma è lei che in fondo pone di fronte Pietro alla condizione dell'uomo moderno: all'inettitudine, all'apatia, al vuoto cosciente dell'esistenza. Come Pietro, però, anche Ghìsola è inetta, incapace di affrontare la vita in modo deciso e senza lasciarsi trascinare da essa. E' vero, diventerà con il tempo calcolatrice e burattinaia, ma è pur vero che lo diverrà non per scelta bensì perché dalla vita, dal destino, ha subito i dettami meno limpidi e meno sondabili.
Commovente la descrizione della madre, della sua morte, così come le descrizioni della campagna senese, della natura e dell'adolescenza di Pietro. Le descrizioni delle vicende legate alla trattoria del padre di Pietro, invece, sovente prolisse, sono a tratti monotone, a tratti poco utili, a tratti insipidi.
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