Pellico ha diversi problemi da affrontare nei durissimi anni di carcere. Alcuni sono ordinari e quasi ridicoli (ma curiosi e dilettevoli, come ad esempio il problema delle zanzare o del caldo), altri invece sono più viscidi e logoranti. Ma il piemontese ha delle armi con sé: le speculazioni filosofiche, i ricordi, l'immaginazione sono potenti, ma alle volte insufficienti, per combattere le stanchezze del tempo e le noie della solitudine.
Purtroppo gli eccessivi richiami alla fede e alla religione, il fortissimo spirito religioso, disturbano non poco chi non vede in esse le sole ragioni di consolazione e di senso. L’anima romantica dell'autore, che oggi quasi non impietosisce, alla lunga distrae, mentre i grotteschi sospiri, le lamentele e i pianti determinano un insopportabile senso di nausea.
Alla luce di quanto scritto, mi viene in mente una domanda. Ha senso oggi leggere un'opera del genere? Il capolavoro dello scrittore piemontese è dunque attuale? Ritengo che si possa ancora adesso leggere e apprezzare non solo come documento storico, come affresco del sentire di un'epoca di lotte e di aspirazioni di libertà (per questi motivi si potrebbe leggere pure dell'altro...), ma come opera realmente fresca perché è dell'uomo, in fondo, che si parla: delle sue paure, delle sue angosce, dei suoi dubbi, delle sue sconfitte, delle sue vittorie; perché anche ora si cerca e si perseguita un'idea di libertà.
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