Partendo da una veloce ma puntuale storia della filosofia della scienza degli ultimi duecento anni (dal positivista Comte ai neoempiristi verificazionisti, dal falsificazionista Popper al collettivo di pensiero di Fleck, dalla sotto determinazione di Duhem all'olismo di Quine, dal paradigmatico Kuhn all'anarchico Feyrabend, dalle femministe Harding e Longino), l'autrice, famosa storica della scienza, rimarca il carattere sociale della conoscenza scientifica che dà origine alla superiore affidabilità delle tesi scientifiche.
A causa degli errori clamorosi di alcuni individui, dei diversi metodi proposti dalla scienza, delle tesi più assurde (come l'energia limitata di Clark del 1873 secondo cui l'istruzione superiore femminile avrebbe nuociuto alla fertilità delle donne, oppure all'eugenetica prima statunitense e poi nazista, oppure ancora alle tesi antiscientifiche sui vaccini, sui cambiamenti climatici, sulla salute), la scienza è attaccata e screditata, eppure di fronte alle aberrazioni dei singoli scienziati la comunità scientifica si è sempre battuta. La fiducia, quindi, non deve andare ai singoli, ma alla scienza che nel suo essere sociale garantisce le sue idee, perché sono sottoposte a controlli rigorosi e plurali.
Per far fronte ai pregiudizi di ordine sociale, culturali ed economici che stanno alla base della diffidenza nei confronti della scienza, ammettendo l'evidenza che gli scienziati possano compiere degli errori anche clamorosi, occorrono criteri come consenso, metodo, evidenza, valore e umiltà; ragionevolezze che assicurano un alto grado di certezza scientifica. La scienza è fondamentalmente consensuale, ed è nella sua comunità che si devono trovare risposte e conoscenze attendibile contro la crisi e la sfiducia nella scienza e nei suoi dati tanto di moda oggi.
Un'apologia, insomma, ma equilibrata e attenta a non sconfinare in un'esaltazione assoluta della figura dello scienziato. Un libro di profonda attualità.
Nessun commento:
Posta un commento