L'intervista con Leonhard Reinisch, di cui possiamo leggere in appendice un breve saggio del 1982, E. M. Cioran, il maestro della rovina, è centrata soprattutto sul valore del pessimismo, sulla morte (e quindi sulla vita e quindi sul suicidio) e sul valore mistico del paradosso. Cioran, assurdo ed estremo nel suo scetticismo e cinismo, ha sempre vissuto ai margini della vita; una vita inconcepibile, ma a 65 anni si meraviglia di essere vivo, di non essere ancora morto. Ciò lo deve, come sappiamo, all'idea della possibilità del suicidio, un'idea che paradossalmente alimenta la vita, un'esistenza calata dentro un ritmo insensato di eventi. E inevitabilmente il dialogo si sposta sul tema della storia. La tendenza mistica, sebbene non credente, di Cioran osserva distaccata la storia del mondo come processo di rovina, che ha avuto inizio da un essere diabolico. La libertà quindi si ottiene nei momenti della vita in cui si è al di là della storia, momenti fugaci ed unici. È una conseguenza logica, direi quasi divina, pensare che la procreazione sia il male più grande. Cioran confessa la sua asocialità, il suo essere straniero nonostante (e per questo) conosca bene la sofferenza degli altri. Reinisch insiste argutamente nel trovare paradossi e contraddizioni nel pensiero del filosofo rumeno. E quest'ultimo, che non li smentisce, ne esalta il loro significato metafisico. Nessuna speranza quindi, nessun futuro; ciò che ci aspetta è solo una tragedia.
Una parentesi interessante da notare: il giudizio durissimo di Cioran su Sartre, malgrado l'intervistatore lo incalzi più volte a parlare di Camus che, invece, non commenta mai.
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