Vera e propria favola per bambini, in questa bellissima e preziosa edizione illustrata da Lucia Scuderi, Bufalino ci regala un unicum nella sua produzione. Unicum, però, che non smentisce la sua poetica, ma anzi ne marchia ancor di più la cifra stilistica. Simbolica, onirica, colta (e quindi post moderna nella possibilità di essere letta sia da un bambino - accompagnato da un adulto -, sia da un adulto stesso), il lettore incallito di Bufalino non farà fatica a ritrovare echi e atmosfere delle opere precedenti, specialmente di Diceria.
Il protagonista è Dino; lo stesso Bufalino, come spesso lo scrittore si firmava. Dino è un ragazzo coraggioso che durante una passeggiata si imbatte in una farfalla con una strana macchia sul dorso dalla forma di un teschio umano. È la falena Acherontia Atropus, il cui nome deriva da Acheronte, uno dei fiumi che porta le anime nell'aldilà, e deriva anche da Atropo, la Moira che ha il compito di recidere il filo della vita filato da Loto e fissato da Lachesi che ne stabiliva le sorti. La farfalla, dopo essere stata catturata, invita il giovane protagonista ad aiutarla e a seguirla fino a un castello i cui abitanti sono vittime di un maleficio. È il castello senza tempo, il palazzo degli immortali per cui Atropo (la morte), trasformata in farfalla da un gigantesco guardiano immortale a difesa della dimora, non può far nulla. Sono i suoi stessi abitanti, condannati da un Dio solo ed eterno, che bramano la morte. Dino quindi, grazie al suo coraggio e alla sua innocenza (virtù che si perdono con l'età...), raggiunto il castello e ingannato il guardiano con tre parole magiche suggeritegli dalla farfalla, riuscirà a sciogliere il maleficio. Riesce infatti ad addentrarsi nelle stanze e nei giardini del palazzo dove troverà i condannati che vogliono che il tempo li trafigga. E così la farfalla Atropo può entrare e liberare gli immortali del castello e consegnarli alla vecchiaia e quindi alla morte.
Saramaghiano antelitteram, questa favola ritorna a riflettere ancora una volta sul tema assoluto e fondamentale della morte come liberazione. La processione del tempo è inesorabile, così come il suo esito, e non accettare la morte equivale a vivere una vita di paura e immobilismo. L'immortalità dunque, le lancette dell'orologio ferme, non è senso, non è vivere. È persino peggiore della vecchiaia e della morte stessa, eventi inesorabili che però almeno danno significato in quel gioco dei contrari tanto amato dai Greci. Una vita che nella sua luce, fatalmente e irremovibilmente, deve lasciare spazio all'ombra, al lutto.
Bellissima poi l'ultima pagina della favola dedicata a Dino e alla sua avventura...
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