Testamento della 'beat generation' americana, con quel suo senso di inutilità, di nullità, di sconsideratezza, di abbandono alla vita, senza mete, di grigiore esistenziale (non descritto né, nell'intimo, pensato, ma solo superficialmente supposto...), il vorticoso racconto di Burroughs, come una foglia secca, si lascia andare alla volontà del vento degli eventi.
Non è possibile raccontare la trama del romanzo, non è nemmeno possibile capirne fino in fondo le diverse relazioni tra i personaggi; la frammentarietà, la non immediata associazione di ricordi, le strascicanti pagine dei flussi di coscienza, la deformazione del senso comune del concetto di realtà: tutto è confuso, onirico, visionario, allucinato. È, infatti, un resoconto fedele della tossicodipendenza, un resoconto contro la tossicodipendenza. E nel fondale melmoso della malattia c'è il caos dell'apatia, il subbuglio del nulla che bolle ma che non evapora.
Notevoli, per stile e crudezza, i brani, e sono diversi, che descrivono amplessi e perversioni sessuali.
In fin dei conti, un libro fastidioso, senza impulsi di riflessione particolari, volutamente caotico e per questo poco attraente; un libro della 'beat generation' che di certo farò fatica a ricordare.
Credo che tu abbia ragione. Più che altro è un resoconto di sensazioni provate dall'autore. Forse va letto per certi sperimentalismi stilistici o se "si desidera farsi una cultura su come usare le droghe".
RispondiEliminaLo ricordo per la violenza di certe descrizioni:-)
ciao
Ciao, sono d'accordo con te!
RispondiEliminaGrazie per la visita e per il commento.