I film di Kubrick, tutti capolavori, affascinano sempre per le loro immagini stupefacenti, per le musiche sconvolgenti, per la potente tecnica estetica, ma anche per i loro prepotenti messaggi filosofici. Messaggi profondissimi, totali, fondamentali; sull'uomo e sulla sua natura, sulla società che costruisce per mezzo della storia, sul rapporto tra noi e l'universo.
In questo interessante saggio, l'autore commenta le visioni filosofiche del geniale cineasta americano che aveva trasfigurato in immagini, suoni, dialoghi. Attraverso un'interpretazione organicistica della filmografia kubrickiana, l'uomo, l'oggetto principe della sua riflessione, è un miscuglio di sopraffazione, istinto, sessualità, ma anche di ragione, calcolo, al fine di trovare un monolite che possa un giorno dargli una speranza, una redenzione. Un uomo dunque antinomico, oscillante tra istinto e ragione, spinto dalla pulsione sessuale, ma anche capace di costruire navicelle spaziali. Una visione antropologica in cui l'uomo si colloca tra Hobbes e Rousseau insomma.
Dal monolite apparso agli ominidi di 2001 ad Alexander DeLarge, passando per Spartacus, Barry Lyndon, la grande guerra, la guerra del Vietnam, la guerra atomica, la storia umana si sviluppa nella violenza della specie, ma con la consapevolezza che sia possibile dell'altro. Di costruire per esempio, in un percorso quasi hegeliano, famiglie, società civili, Stati, diritto internazionale. Ma sempre con un occhio che scorge contraddizioni. Basta pensare alle famiglie di Lolita, di Alex, di Barry Lyndon, alla famiglia di Shining, oppure alla coppia in Eyes Wide Shut. Uomini e donne che vivono in famiglie tutte a loro modo infelici e che si relazionano con una società malata in cui altre famiglie sono in competizione tra loro.
Dopo questa interessante riflessione antropologica, sociale e storica, l'autore è convinto che se si dovesse accettare il tipo di filosofo che è stato Kubrick si dovrebbe pensarlo come il Kant del cinema, un illuminista che credeva nella ragione umana, nonostante tutti i suoi limiti.
Un saggio su cui riflettere, su cui tornare per provare a sintetizzare un complesso pensiero filosofico tradotto in estetica cinematografica.
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