Questa raccolta di saggi di critica d'arte che Proust ha dedicato ad alcuni dei suoi pittori preferiti, Chardin (il saggio più bello), Rembrandt, Watteau, Moreau, Monet, è davvero raffinata. Le immagini che lo scrittore rievoca per mezzo della sua insuperabile penna sono reali; vediamo davvero gli uomini che camminano nelle tele, le foglie che si decompongono, i vestiti che si sgualciscono. La parola proustiana ci fa rivivere l'arte pittorica e ci permette di penetrare un mondo precario e delicato che in fin dei conti è la nostra stessa realtà. Emerge un Proust sorprendente (ma non troppo, se lo si conosce), abilissimo e raffinatissimo osservatore, non solo dell'animo umano, ma anche della bellezza espressa nelle tele dei suoi amati pittori. Ci accompagna dentro al suo museo privato dove le opere sono state selezionate al solo scopo di gustare una realtà quotidiana apparentemente ripugnante e faticosa e allo stesso tempo, invece, piena di bellezza e fascino. Una dimensione che non è solo estetica, ovviamente, ma che si riflette nei nostri sentimenti.
Senza tecnicismi, questi saggi, oltre che dimostrare ancora una volta l'abissale delicatezza dell'autore, rivelano quanto per lui la passione per la pittura sia stata una formidabile palestra per la sua scrittura. Quando leggiamo Proust, infatti, le immagini di dettagli apparentemente insignificanti diventano il senso stesso del tutto e ogni cosa, oltre che essere ben visibile nella mente del lettore, prende senso e assume le vesti della realtà fissata e immutabile e così diventa opera d'arte, come un dipinto (o una fotografia).
Nessun commento:
Posta un commento