Nella descrizione del carattere e degli atteggiamenti del figlio, non mancano da parte dell’autrice piemontese spazi di analisi introspettiva, i quali, a loro volta, si rifletteranno sulla descrizione del figlio. E la profondità freudiana che ne deriva è brillante, carica di veemenza, esplosiva; non c'è posto per il compromesso, per la finzione. È assente del tutto, infatti, l'aspetto del gioco, della dissimulazione, mentre è solamente palese la natura intima della confessione. Si consuma così un’autobiografia viscerale, straziante quanto lucidissima.
Il racconto è zeppo di frammenti di lettere, di documenti, di pagine di diario (materiale reale, non immaginario...) che mettono in luce quanto sentita sia stata la stesura del libro; dello sfogo. Certo, alla lunga tutto ciò rischia di diventare soporifero e poco intrigante: si aspetta sempre la considerazione, il colpo di coda della mamma, ma capita spesso che tardi a venire.
Il paratesto è assolutamente invitante, ricco di spazi bianchi che lasciano intravedere d’acchito la frammentarietà moderna dell'opera, però senza alcuna dispersione. I periodi intervallati dagli spazi, infatti, non sono scollegati, tutt'altro. Evidenziano, insieme all’incedere dell’esposizione, un'attenta elaborazione, un impianto basato sulla logicità e la scientificità dei ragionamenti, insaporiti da uno stile secco e rigoroso, ma non per questo poco affascinante. E nonostante il rigore analitico, l’opera ha un che di poetico, di tenero.
Un libro che scava davvero; fulminante, spietato. Premio Strega ben meritato.
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