Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

31 lug 2012

Carmilla - Joseph Sheridan Le Fanu (Racconto - 1872)


"Con tutte quelle precauzioni potevo dormire tranquilla. Ma i sogni passano attraverso i muri di pietra, illuminano le stanze più buie e gettano le tenebre in quelle illuminate, e i loro personaggi entrano ed escono ovunque a loro piacimento, ridendosela di tutti i lucchetti".

Ci sono tutti i crismi del racconto dell'orrore: un castello gotico isolato e circondato da sterminate foreste, un cimitero abbandonato e ricoperto di edere, una donna vampiro, una sottile vena erotica, visioni spettrali, ingenuità romantiche, presunzione di razionalità; un piccolo capolavoro di genere.
La narratrice, Laura, racconta di una amicizia, morbosa, velatamente omosessuale, verso una bellissima e misteriosa ragazza che per un caso fortuito è ospitata da lei e dal padre. Carmilla, questo il suo nome, si rivelerà un vampiro che alla fine sarà stanato...
Se siete appassionati del genere, il racconto lungo dello scrittore irlandese è un vero gioiello.

30 lug 2012

Arancia meccanica - Anthony Burgess (Romanzo - 1962)


"Poi, fratelli, venne. Oh, estasi, estasi celeste. Giacevo tutto spalandrato verso il soffitto, il planetario sulle granfie, fari chiusi, truglio aperto per la beatitudine, snicchiando il fiotto di suoni meravigliosi. Oh, era magnificenza e magnificità fatta carne. I tromboni sgranocchiavano oro rosso sotto il mio letto, e dietro il planetario le trombe fiammeggiarono argento per tre volte, e là vicino alla porta i timpani rotolarono dentro le mie viscere e poi uscirono e si sgretolarono come tuoni di zucchero. Oh, era la meraviglia delle meraviglie! E poi, come uccello dei più rari che vorticava metaceleste, o come vino d'argento che scorreva dentro una nave spaziale, con la gravità che non aveva più senso, arrivò il violino solista sopra tutti gli altri archi, e quegli archi erano una gabbia di seta intorno al mio letto. Poi il flauto e l'oboe perforarono come vermi di platino la spessa, grossa caramella oro e argento. Ero in piena estasi, fratelli."

Alex, giovanissimo protagonista e amichevole narratore, è un teppista, uno di quelli il cui unico divertimento risiede nella violenza gratuita. In compagnia di altri tre ragazzi, affronta la noia della vita abituandosi alla routine della brutalità. Una violenza che diventa ordinaria e che, alla lunga, anch'essa annoia e spinge Alex a pretendere sempre più, sempre più ferocia... E così, vittima del tedio e della vendetta dei suoi amici di banda, finisce in carcere e per uscirne velocemente accetta di essere sottoposto a una cura: la 'Ludovico'. Questa fantomatica cura è un lavaggio del cervello vero e proprio che porterà il protagonista a star male di fronte ai suoi istinti animaleschi, annullando così il suo essere spontaneo e portandolo persino a desiderare la morte. Solo il tempo, nell'ultimo capitolo di Burgess, solo la maturazione e il confronto con la società potranno portare Alex a divenire un uomo accettato e accettabile in una collettività conformata e regolata.  Sebbene sia geniale il pessimismo finale della meravigliosa e sublime trasposizione cinematografica di Kubrick (a cui non si può fare a meno di pensare) che non prende in considerazione il postumo ultimo capitolo dello scrittore inglese, Alex nel romanzo elabora la sua crescita e ci saluta con una nota di speranza...
Alex, in fondo, non è nient'altro che il nostro inconscio, la nostra parte che è libera da qualsiasi condizionamento e pretende ciò che vuole a ogni costo. Incarna il principio del piacere freudiano che mal sopporta schemi e imposizioni, ma che vuole essere unicamente libero. Una libertà sconfinata però, che, vecchio discorso, sconfina nelle libertà degli altri. È l’emblema dell'homo homini lupus! In tutto questo, Alex è anche l’emblema della contraddizione. È aggressivo, gratuitamente violento ma, al contempo ama la bellezza, ama la musica, ama la filosofica sinfonia n. 9 di Beethoven con il suo messaggio di gioia e fratellanza… 
Con uno stile originalissimo, con un linguaggio modernissimo che ti catapulta in un futuro non lontanissimo, carico di gergo surreale, di neologismi e di espressioni che sembrano modi di dire ma che non sono mai stati detti, con magnifiche descrizioni di spazi e della forza assoluta della musica (altra grande protagonista), colmo di ossimori del senso comune è un romanzo geniale. Un romanzo sulla scelta, sulla responsabilità, che esplora i rapporti tra arte e violenza, tra bellezza e libertà, tra impulsi razionali e società, tra delitto e castigo, un romanzo persino sulla politica...
Un libro filosofico con, tra le diverse, un'idea di fondo: che la malvagità è nell'uomo e, nonostante i condizionamenti sociali, un sostrato di violenza ne resta a fondamento. Un trattato sul contrasto tra physis e nomos dunque. Un libro arcaico, prezioso, che tocca e parla di tutti; un libro dell'antica Grecia, insomma.

26 lug 2012

Le donne al parlamento - Aristofane (Teatro - 392 a. C.)


"BLEPIRO: mettiamo che uno si prenda una cotta per una ragazza e voglia scoparsela; per farle un regalo dovrà attingere al patrimonio di tutti, ed ecco il suo comunismo!
PRASSAGORA: Potrà andarci a letto gratis: anche le donne verranno messe in comune: staranno con chi le vuole e faranno figli con chi le vuole.
BLEPIRO: Ma allora succederà che tutti andranno dalla più bella e vorranno farsela.
PRASSAGORA: Accanto alle belle staranno le brutte e rincagnate; chi vuole la bella dovrà prima farsi la brutta.
BLEPIRO: Già: ma noi vecchi, se facciamo l'amore con le brutte, l'uccello non ci pianterà in asso prima di arrivare al punto che tu dici?"

Nel pieno di una notte, un gruppo di donne capeggiate da una pepata Prossagora, giovani e anziane, travestite goffamente da uomini, prepara il discorso da esporre il giorno dopo nell'Assemblea popolare della città. Qui, con l'inganno e la retorica, ottengono la maggioranza e deliberano una nuova costituzione: tutti sono uguali e tutti i beni, comprese le donne e i rapporti sessuali, devono essere in comune. È la scimmiottatura di un comunismo ante litteram, la caricatura, divertente e al contempo tragica, delle idee sulla Repubblica di Platone. È anche la commedia del contrasto tra l'intelligenza delle donne e l'ottusità degli uomini, con lo scopo di rivelare satiricamente la confusione dei movimenti di pensiero politico di quel periodo.
Il sesso è elemento di potere, anziché di piacere, e quest'idea si insinua brutalmente sin dalle prime pagine dell’Ecclesiazuse. Le donne, vecchie e giovani, si troveranno ingarbugliate nei loro comuni desideri sessuali, mostrando l'assurdità del comunismo primitivo, mentre gli uomini saranno inghiottiti dall'ingordigia delle donne. E così la descrizione di un’utopia presto diventa un incubo di assurdità e confusione. 
È una spassosa opera razionale, carica di allusioni sessuali e doppi sensi; è una commedia amara. Si ride e si pensa contemporaneamente, ma alla fine, di fronte all’inconcepibile, ogni cosa ritorna allo status quo. Se gli uomini sono presi in giro per la loro inettitudine, nemmeno le donne, una volta data loro la possibilità di riscattarsi, se la passano bene. 
Un'opera sugli eccessi, dunque, sulla loro pericolosità.

6 lug 2012

Il ballo - Irène Némirovsky (Racconto - 1930)


"Quattordici anni, i seni che premono sotto l'abito stretto da scolara, che feriscono e impacciano il corpo debole, infantile... I piedi grandi e quelle lunghe bacchette con all'estremità due mani arrossate, dalle dita sporche d'inchiostro, che magari un giorno diventeranno le più belle braccia del mondo... Una nuca fragile, capelli corti, incolori, secchi e leggeri..."

In questo incalzante e raffinatissimo racconto lungo, Antoinette, una quattordicenne che sin dalle prime pagine si presenta insofferente, si sente soffocata dalla presenza dei genitori. E, nonostante la giovane età, ricorda con ardore i severi rimproveri, seppur lontani nel tempo, impartiti dai genitori alla presenza di altri. Cresce quindi nella giovane, piano piano, ma caricandosi sempre più ferocemente, un sentimento di fastidio, di irrequietezza, che quasi sfocia nell'odio. Antoinette è sognatrice, dall'intelligenza affilata; i genitori invece, diventati ricchi improvvisamente, preoccupati di apparire opulenti più che ricchi di esperienza e di fatica, non riescono a cogliere la sensibilità e i desideri della figlia adolescente. La madre sopratutto, la vera antagonista.
Ecco quindi i temi principali di questo bellissimo racconto: lo scontro tra madre e figlia, tra la spavalderia dell’adolescenza e l’ottusità della maturità, l’ipocrisia sociale, la vendetta...
Si deve organizzare un ballo, uno di quelli dove si fa sfoggio delle proprie ricchezze e del proprio potere e si ha la sensazione di essere finalmente accettati in un mondo che prima si agognava e si vedeva lontano. Antoinette è coinvolta: deve scrivere i biglietti di invito; è coinvolta soprattutto nei suoi sogni di principessa… Eppure i suoi sono solo sogni. I genitori le proibiscono di partecipare al ballo. Eccola dunque la vendetta, terribile perché senza i limiti della ragione; terribile perché partorita da una mente in preda alla passione. La vendetta è voluta, bramata, malgrado ciò non è architettata, premeditata nei dettagli. Si presenta un'occasione, non calcolata, e Antoinette, ritrovate per caso tra le mani gli inviti da imbucare, senza pensarci due volte li accartoccia e li getta nella Senna. Dopo estenuanti preparativi, dopo una lunga e corrosiva attesa, quando ogni cosa è lucentemente pronta, gli invitati non arriveranno al ballo. 
La vendetta è compiuta, i genitori e la madre su tutti sono disperati, impotenti di mostrare il loro vano potere…
In verità non è tanto la vendetta in sé a essere tremenda, quanto quell’agghiacciante abbraccio finale alla madre, privo di un qualsiasi briciolo di rimorso, di una quattordicenne ormai con un piede sul sentiero della maturità.

5 lug 2012

Sillogismi dell'amarezza - Emil Mihai Cioran (Aforismi - 1952)


"Per quanto si estende il mio ricordo, non ho fatto altro che distruggere in me la fierezza di essere uomo. E deambulo alla periferia della Specie come un mostro timoroso, senza la levatura sufficiente per proclamare la mia appartenenza a un altro branco di scimmie".

Se volete leggere un pensatore del '900, che ha alle spalle l'intera storia della filosofia, che al culmine del suo percorso giunge alla disperazione dello scetticismo, all'eleganza della parzialità, alla raffinatezza dell'insensatezza, al dolore dell'esistenza, avete trovato il vostro filosofo. Una sfiducia totale nell'uomo, un’attenzione maniaca sui suoi limiti, uno scetticismo estremo, per nulla moderato, l'universo di Cioran è tormentato e sospeso tra i punti di sospensione e il punto di domanda. Non c’è alcuna prospettiva né fiducia nel futuro in questo mondo; la verità è multiforme, impalpabile, così come la vita è segnata dall’angoscia. Non ci resta che esaltare lo scetticismo e attendere impazienti che la morte ci annulli completamente. 
Tra numerosissimi cenni di scrittori e filosofi maestri di profondità e incoerenza, Cioran avverte il bisogno di giustificare l'aforisma, l'incompletezza di un pensiero che non è mai in grado di cogliere assoluti e sintesi. Si possono, gli aforismi, solo infiocchettare, ma solo perché si sbatte la testa contro la disperazione. Sono aforismi poetici, stilisticamente coinvolgenti, non crudi, bensì espressione di passione e profondità.

In questo periodo di crisi economica, sociale e culturale, le parole di Cioran sembrano profetiche, sembrano colpi di martello su una scricchiolante parete di gesso.

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