Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

28 ott 2010

La vita è sogno - Pedro Calderon de la Barca (Teatro - 1635)

"Io voglio sapere, oh Cielo, dato che mi tratti in questo modo, che delitto ho commesso contro di te nascendo; anche se comprendo quale reato ho commesso, già solo con la mia nascita. Visto che il più grande crimine dell'uomo è nascere, la tua giustizia e la tua severità hanno avuto un motivo sufficiente"

Conquista di sé, precarietà dei beni materiali, illusione del reale, impegno morale (di matrice cattolica), libero arbitrio sono i temi principali di questo classico del teatro spagnolo e mondiale. Nonostante i frequenti momenti ilari e spassosi, si avverte un onnipresente pessimismo, i cui strali si dirigono verso la miseria della vita. L'impalcatura filosofica della storia (perché, è bene sottolinearlo, le intenzioni dell’autore sono filosofiche) si regge sui terreni molli della religione. Eppure lo spagnolo ne avverte tutta la precarietà e si dimena tra contraddizioni e ambiguità, cercando di tenere l’opera su un piano il più coerentemente possibile.
La trama non è ingarbugliata. Il re Basilio, a seguito di una profezia (che, logicamente, limita la libertà umana), rinchiude il figlio Sigismondo in una torre sperduta nelle montagne di una fantasmagorica Polonia. La profezia affermava che il figlio, da grande, sarebbe stato la causa della rovina di Basilio e di tutto il regno. Prima accettandola, poi mettendola alla prova, il re affronta la rivelazione, liberando Sigismondo. E in questo gioco di scontri e confronti, tra le duplicità e le oscurità della vita, si dipanano le vicende narrate. Quando Sigismondo, in un primo momento, dimostrerà la sua malvagità (naturale e senza i filtri dell'educazione) e la verità della profezia, Basilio, addormentandolo con un veleno (topos letterario tipico nel '500 e '600), lo rinchiuderà di nuovo nella torre tra le rupi. È in questo risveglio che Sigismondo, un po' stranito, si accorge dell’oniricità dell'esistenza, del vantaggio di essere buoni piuttosto che malvagi, e quando sarà liberato nuovamente, nella paura di essere ancora in un sogno, rinuncia alla sua natura malvagia, selvaggia e vendicativa. E cambia il suo destino.
Più di tutto emerge il carattere diafano dell'esistenza, l'impossibilità e l'incapacità, a dispetto del libero arbitrio, di padroneggiare l'esistenza. Mai saremo in grado di discernere completamente la vita reale dal sogno; possiamo in qualunque momento essere ingannati.

Per l'ambiguità degli argomenti, tra il sogno e la realtà, e i grotteschi ragionamenti di Sigismondo, non mancano l'ironia e il sorriso. Allegorico, barocco nello stile e nelle intenzioni, filosofico, il capolavoro di Calderon de la Barca resta un'opera senza tempo.

24 ott 2010

Il copista - Marco Santagata (Romanzo - 2000)

"Assorbiva le sensazioni del corpo e si imbeveva delle fantasie che trascorrevano labili tra gli occhi e la mente. La corrente dei ricordi lo trascinava in una deriva nella quale si amalgamavano immagini, suoni, parole provenienti da epoche diverse della sua vita passata"

Il protagonista di questo breve e patito romanzo è un poeta sessantaquattrenne che nella seconda metà del Trecento, durante un’ordinaria giornata, sente addosso il tormento degli anni e della memoria: quel poeta è Francesco Petrarca. Ormai anziano, il "poeta laureato" vive nei ricordi, nel rimpianto di una giovinezza dedita ai piaceri, alla vanità della gloria. Il profilo del poeta toscano che emerge dalle pagine appare in un primo momento desolante e spiazzante. Petrarca, infatti, è descritto nel suo essere intrattabile, incline alla coprolalia; è descritto nella sua solitudine di uomo che attende la morte e la fama eterna. E intanto che scorre il giorno, assistiamo il poeta nei suoi pensieri, mentre compone una canzone, mentre si rammarica del figlio Giovanni morto di peste, di Laura, del fido copista Giovanni Malpaghini di Ravenna. Il copista e la canzone di Giovanni (da leggere Boccaccio) resteranno sullo sfondo per tutto il romanzo e ne saranno il leitmotiv nascosto. È dunque il resoconto di una giornata, di pensieri e ricordi; un nuovo 'Ulysses' contemporaneo.
Certo leggere di un poeta, di uno dei sommi poeti della letteratura mondiale, dedito alla flatulenza, all'incuria igienica, allo sproloquio, potrebbe far storcere il naso. Eppure, aldilà delle opere immortali, Petrarca era un uomo, e il romanzo del petrarchista Santagata ce lo restituisce in queste vesti. L’autore del ’Canzoniere’ è fatto anche di carne, di bisogni fisiologici, nonché di dubbi sul senso della vita e della religione, di ricordi, e di poesia. E si ha l'impressione, alla fine, che quest'ultima sia la condensa cremosa delle deficienze (ma lo sono davvero...?) di un uomo.
Colmo di dettagli biografici (chi li riconosce non può non sorriderne), il racconto scorre con piacere e curiosità. Con uno stile sincopato, difficilmente l'autore si lascia andare in periodi articolati, ipotattici. Il pensiero e le descrizioni quindi assumono un carattere conciso e, al contempo, spedito. Si ha la sensazione che ci sia poco spazio per la profondità (ma è un'impressione che scemerà via via). Uno stile che può in principio mettere ansia; poi, però, quando ci si abitua, quella sensazione diminuisce e si riesce ad addentrarvisi.

21 ott 2010

Il disagio della civiltà - Sigmund Freud (Saggio - 1930)

"Quando il credente si trova da ultimo costretto a parlare del 'decreto imperscrutabile' di Dio, confessa con ciò che gli è rimasta, come ultima possibilità di consolazione e fonte di piacere nella sofferenza, la sottomissione incondizionata"

Nato dalla spinta delle osservazioni di Romain Rolland su "L'avvenire di un'illusione”, questo saggio riprende le indagini sulla religione che avevano caratterizzato lo studio del 1927, per poi cimentarsi nell’analisi dell’origine dei disagi psichici nella società civile. Ed è appunto cominciando lo studio del problema del perché quel sentimento dell'assoluto, del tutto, dell'unità che tutti possiedono, e che è all'origine dell'energia religiosa (alla domanda Freud risponde facilmente che non tutti avvertono quel sentimento…), il padre della psicanalisi si spinge fino a descrivere il malessere, il violento conflitto interiore che è connaturato nell'uomo civile.
Allo stesso modo di altri filosofi, Freud pensa che l'uomo abbia un fine nella vita: perseguire la felicità. Tuttavia la nostra stessa natura è misera di momenti e stati di felicità. Non per questo non agiamo per ottenerla. La religione, in tutto ciò, è uno strumento consolatorio che, pure nelle società civili, ci illude di essere nella strada giusta, nella strada il cui capolinea è la felicità eterna. Ma come sappiamo, la religione è solo un'illusione che, oltretutto, sottomette l'uomo a meschine condizioni di sofferenza. I desideri dell'uomo, così, si scontrano contro i divieti della società, della civiltà intesa come istituzione che ci permette di regolare i rapporti tra gli uomini e ci protegge dalla natura. Dunque, se da un lato la civiltà, a differenza dello stato di natura, facilita la convivenza tra gli uomini, dall'altro può essere, ed è, veicolo del senso di colpa, di lotta tra l’Io e il Super-Io, di disturbo per la psiche dell'uomo. L’indagine del conflitto si snoda di conseguenza tra l’azione pulsionale dell'uomo, egoistica, e quella verso la società, altruistica.
Principio di piacere contro principio di realtà, dunque.
Al sesso, al godimento sessuale, forse la più forte pulsione verso la felicità, che si scontra con i tabù imposti dalla religione, è dedicato un ampio spazio. Inoltre, accanto alla tendenza amorosa, sessuale, Freud ne contrappone un'altra: l'aggressività, la pulsione di morte. La civiltà in qualche modo cerca di incanalare, di sublimare, questa energia verso obiettivi meno distruttivi. Nondimeno è pur sempre una costrizione della natura umana che spesso trova sfogo nei disturbi psichici.
Eros contro Thanatos, dunque.

Per merito di uno stile limpido e lucido, si ha l'impressione che gli argomenti trattati siano semplici, quasi ovvi, e non è difficile essere d’accordo con il padre della psicanalisi. In poche parole, un libro chiaro, intenso, acuto; illuminante.

18 ott 2010

Le lettere da Capri - Mario Soldati (Romanzo - 1954)

"Vedevo Dorothea che emergeva dall'acqua, stillante di infinite gocce che sulla sua pelle bruna parevano preziose. La vedevo di schiena, sdraiata sulla sabbia e appoggiata ad un gomito in una posa abbandonata e monumentale: ed era come se, per uno strano prodigio, avessi potuto contemplare il rovescio di una pittura famosa, un'odalisca che Delacroix aveva rappresentato di faccia"

Harry, un americano innamorato dell'Italia, vive i tumulti della dicotomia tra due, opposte per spirito e trasporto, storie d'amore e di sesso: con Jane, la moglie e madre dei suoi figli, con Dorothea, prostituta e amante romana. Ma a complicare la storia sono le lettere che Jane dedica alla sua relazione fedifraga con Aldo, un uomo, grossolano ma bellissimo, di Capri. Nello sfogo di Harry a un amico italiano di nome Mario (l’io narrante, che per buona parte del romanzo lascerà tale ruolo alle parole di Harry), al quale consegna una sincera confessione sotto forma di dattiloscritto, si legge la storia dell'adulterio nella sua prospettiva. Lo scrittore piemontese, però, trova l'espediente giusto, per mezzo di sei lettere, per dare voce anche a Jane e quindi dà l’opportunità di leggere l'adulterio in chiave femminile. Il racconto di Jane però non ha la stessa intensità e lo stesso spessore d'analisi di Harry; è meno psicologicamente intimo.
Nelle pagine, più contro la natura del cattolico che contro la natura stessa, si aggirano la perversione, il vizio; il senso di colpa. Il controcanto religioso, con i suoi occhi minacciosi e giudicanti, diventa a tratti soffocante. I personaggi ne sentono la minaccia e non riescono a fare conflagrare i loro istinti in modo risolutivo e devastante. I pensieri erotici, corrotti, aleggiano capitolo dopo capitolo. Tuttavia questa pressione divina dall'alto fa emergere le notevoli contraddizioni che i protagonisti vivono: gli sdoppiamenti, i duplici e pirandelliani atteggiamenti di fronte alle persone che dovrebbero essere più vicine. In tutto ciò, Harry potrebbe essere il modello dell'intellettuale libertino, l’uomo senza sensi di colpa né rimorsi. Vuole vivere di poco, vuole vivere seguendo le sue passioni, ma non possiede la tempra del vero filosofo edonista; non riesce a distaccarsi dal condizionamento sociale e dagl’intimi tormenti che lo assillano.
Scritto con attenzione, per fortuna, il romanzo non scade quasi mai nella convenzionalità, nel mellifluo. Sono solamente mielose le lettere di Jane ad Aldo. Qualcuna meritevole di lode, invece, sono le massime disseminate nelle pagine, che hanno la pretesa di possedere un carattere universale e capitale. Alcune di esse possono sembrare ordinarie e persino banali, altre invece sono piene, assolute, brillanti.

Storia di un matrimonio adultero, condito da erotiche pulsioni soppresse, il romanzo premio Strega di Soldati è la disgraziata manifestazione del condizionamento cristiano nelle coscienze dell'uomo. In sostanza, un bel regalo…

12 ott 2010

Le saggezze antiche - Michel Onfray (Saggio - 2006)

"La disperazione capita se abbiamo sperato, il disinganno sorge perché abbiamo atteso; lezione di saggezza: non sperare, non attendere, accontentarsi... Ogni filosofia edonistica invita a concentrarsi solo sulla modalità presente del tempo: invita a non lasciare alla nostalgia o alla proiezione nel futuro alcun potere su di sé"

Primo volume della celebre "Controstoria della filosofia", il manuale di Onfray affronta, in prospettiva laica, materialista e atea, la storia della filosofia antica fino ai filosofi edonisti dell'antica Roma.
Ovviamente - è peculiarità onfraiana l’attacco - in questo volume è preso di mira soprattutto il pensiero platonico (in verità, come sappiamo, anche negli altri volumi Platone è il bersaglio principale, se è vero che il pensiero successivo, soprattutto quello cristiano, è sempre una postilla al platonismo...) e lo contrappone alla filosofia dei cinici, dei cirenaici, degli epicureisti. Secondo Onfray, nei manuali correnti di storia della filosofia occidentale gli errori, le dimenticanze, abbondano colpevolmente. La storia è scritta dai vincitori, si sa, e nel riportare i fatti, i vinti sono occultati consapevolmente. Sicuro di questi errori, e Onfray è capace di persuadere, il francese tenta di riprendere e rivedere i 'fatti' sotto la lente dei vinti. E quindi si ricorda degli sconfitti; quei filosofi che urlano, dai loro cimiteri sepolti, vendetta. Un libro, pertanto, sui diversi pensieri alternativi a quello platonico (e dopo cristiano); un libro in cui si esalta l'edonismo.
Si legge la profonda rabbia, ma questo lo sapevamo già, nelle parole del filosofo: c'è stato un mondo filosofico brillante e acuto che è stato sommerso dal fango della gloria dei vinti. Platone, lo stoicismo, il cristianesimo hanno imposto la loro logica di disprezzo verso ciò che è più vicino alla nostra natura di esseri umani fatti di materia, di passione, di desiderio. È vero, nella feroce lotta nella quale si lancia, Onfray dimentica tutti i meriti del pensiero platonico, non cita quasi mai Aristotele, ma è in guerra. Una guerra che non ha iniziato lui, ma che è violenta e la volontà di riscatto è troppo forte per cedere alla completezza.
Chi, come me, è stato abituato a leggere i manuali di filosofia adottati nelle scuole e nelle università di certo si divertirà a leggere questo. Tantissimi particolari, alcuni non solo aneddotici ma fondamentali, ritornano in vita. Scritto con ironia, è ben dosata la retorica al pensiero. L’atrocità delle parole, oltre a ciò, colpisce fino al cervello e poi fino al cuore, come una mannaia. E il lettore ne è brutalmente attratto.

Con questo primo volume Onfray esalta quei grandissimi filosofi che oggi sono solo ricordati quali sconfitti. E così, perfino loro, hanno una piccola vendetta, un momento di gloria...

3 ott 2010

Fontamara - Ignazio Silone (Romanzo - 1933)

"Noi rifacemmo a piedi, assetati, affamati e col fiele nell'anima, la strada che al mattino avevamo percorso in camion col nostro bel stendardo di San Rocco spiegato al vento e pieni di speranze.
Arrivammo a Fontamara verso mezzanotte, in quali condizioni vi lascio immaginare. Alle tre del mattino eravamo nuovamente in piedi per andare al campo perché era cominciata la mietitura"

Libro il cui telos è morale, esprime una biografia di lotta e di sofferenza. Lo scrittore abruzzese, che aveva dedicato la vita a creare una coscienza di classe, riversa nel suo capolavoro la passione verso i più deboli. Naturalmente nel farlo, Silone non disdegna di biasimare il regime fascista, il regime oppressore e ambienta la storia nei primi anni del ventennio. Gli oppressi, quasi assuefatti dalla propria natura di ultimi, intuiscono la possibilità del riscatto, della resurrezione. Berardo Viola, il portavoce di tale momento, nella foga della passione, nell’approssimazione dell'inesperienza, diventerà il santo, il martire da adorare e da innalzare quale modello di redenzione per tutti gli oppressi. Berardo, quest'uomo senza nulla da perdere, senza terra né moglie, è l'anima, la coscienza che, seppur sonnolenta, ha incominciato a svegliarsi e a influenzare e formare i 'cafoni' suoi concittadini. Ma la velleità della sua azione, l'ingenuità del primo risveglio dopo un profondissimo sonno, è preludio di altre sconfitte. Però è solamente la sua distruzione, il suo martirio (evidente l'influenza cristiana mescolata al tema socialista) a destare definitivamente la coscienza dei Fontamaresi. E come un virus, il decoro dei 'cafoni' sarà compiuto, conquistato per mezzo del disfacimento…
Fontamara diventa il mondo dei contadini; è il simbolo di un'Italia rurale che ormai non esiste più. Ciononostante il carattere dell'ingiustizia, in un modo o in un altro, è attuale e ciò fa dell’opera un romanzo moderno. Siamo di fronte al superamento della condizione del mito dell'ostrica verghiana. Il presupposto iniziale dei 'cafoni' è identico a quello della famiglia Malavoglia, poi però l'avvento di Berardo installa nelle menti dei deboli il germe della ribellione e la speranza che un giorno non molto lontano possa essere migliore.
Scritto in prima persona, l'io narrante si divide addirittura in tre personaggi diversi: da un lato una donna, e la sua prospettiva sottolinea come tra gli stessi ultimi ci sia chi lo è maggiormente; dall'altro il marito, amico di Berardo, che assiste agli eventi quasi rassegnato e simile a un uccello marino sperduto su una città lontana dal mare; e dall'altro ancora il figlio di questi, il giovane che erediterà una coscienza più matura e che potrebbe completare la metamorfosi verso la pienezza della dignità. Stile godibile, le microstorie che descrivono il carattere dei Fontamaresi sono spesso ironiche e rilevano la semplicità di uomini che da sempre sono stati schiavi della loro condizione, piegati dal peso della Storia. Tuttavia i continui richiami ai problemi della terra (e dell’acqua) sfibrano il lettore e le pagine si allungano e si appesantiscono.

A tratti noioso, a tratti pateticamente cristiano nelle intenzioni morali, resta comunque un classico da leggere e da condividere nello spirito di rivolta contro le ingiustizie.

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