Presentazione


Presentazione

Questo spazio è dedicato agli appunti, alle briciole di recensione irrazionali, che colgo, da lettore appassionato e spesso rapsodico, nei miei viaggi verso la lentezza e la riflessione. Briciole di recensione irrazionali dunque.

Briciole perché sono brevi, a-sistemiche, frammentarie, come un certo spirito moderno pretende. Non sono delle vere recensioni. Queste hanno uno schema e una forma ben precisa, mentre i miei sono più che altro appunti colti sul momento, associazioni d’idee, giudizi dettati dalle impressioni di un istante, da una predisposizione d'animo subitaneo, da un fischio di treno... E perciò li definisco irrazionali. Perché sfuggono da un qualsiasi schema predefinito, perché sono intermittenti, perché nella scelta di un libro, per via di una congenita voracità, spesso non seguo linee e percorsi definiti dalle letture precedenti, ma mi lascio trasportare dagli ammiccamenti o dalle smorfie di sfida che un libro sulla mensola della libreria mi lancia.

È un modo insomma di coltivare, di giocare, di prendere vanamente in giro la memoria, per conservare, catalogare e archiviare frammenti di ricordi e suggestioni che un giorno, magari, potranno farmi sorridere e, perché no, commuovere.

28 mar 2010

L'illusione di Dio - Richard Dawkins (Saggio - 2006)

"[...] esiste una correlazione negativa tra religiosità e livello di istruzione (i più istruiti tendono a essere meno religiosi). Esiste una correlazione negativa anche tra religiosità e interesse per la scienza e (molto forte) tra religiosità e mentalità liberal"

Dawkins, biologo evolutivo di fama mondiale, è un intellettuale infuriato. Con piglio sicuro e determinato scaglia la sua rabbia contro l'ipocrisia, l'ignoranza e soprattutto la stupidità; come dargli torto!
Aggressivo, beffardo, ardito, impudico, ostile, radicale, è un libro che riflette lo sdegno dello scienziato e pretende (ma quale libro non pretende qualcosa) di persuadere il lettore, di avvicinarlo il più possibile alle idee confessate nelle pagine. Pretende di convertire, come un sacerdote colmo di grazia su un pulpito, i lettori-discepoli nel credere che non esista alcunché di trascendente, di credere coraggiosamente nell’ateismo.
I temi trattati sono innumerevoli, l'inesistenza di Dio, le origini della religione, dell'etica, degli abusi psicologici sui bambini, ma su un punto è bene soffermarsi: la rivendicazione di riscatto e redenzione dell'ateo; quell'essere bislacco e curioso che crede nell'uomo e nella scienza, costretto dalla società ad appartarsi nel silenzio e a subire le imposizioni delle diverse corporazioni religiose, anche quelle minoritarie... E da queste pagine intavola la discussione sulla non laicità degli U.S.A., sulla sua politica condizionata da fanatici religiosi che pensano al creazionismo come alla verità assoluta, mentre non mancano le tirate d'orecchio contro il vecchio governo Blair. Un libro di attacco quindi, ma anche di difesa. Il celebre scienziato britannico, infatti, ne approfitta per difendersi dagl'innumerevoli, autorevoli e non, attacchi subiti. Inevitabile!
Di non difficile lettura, il libro è ricco di battute sarcastiche che alleggeriscono la tensione di acredine che si avverte mentre si legge. Spassose le citazioni d’illustri personaggi storici (soprattutto dai padri fondatori degli Stati Uniti d'America) che non hanno creduto o che sono stati scettici.
A differenza di altri autorevoli testi contro l'illusione di Dio, in questo leggiamo l'opinione e le prove di uno scienziato accorto e sagace, la cui critica parte e si sviluppa dalla rivoluzionaria e luminosa teoria darwiniana dell’evoluzione. Insieme a questa, antropologia, fisica, biologia, psicologia sono gli strumenti di cui si serve per scardinare i capisaldi della teoria religiosa. Risulta convincente!

In conclusione, il libro è un'esaltazione dell'uomo che è spinto dalla curiosità a sapere sempre più, a oscurarsi sempre meno. Un inno alla vita per chi in questa cerca uno scopo personale, slegato da dogmi ciechi e oscuri e da insignificanti precetti.

26 mar 2010

Cattivi pensieri - Paul Valéry (Aforismi e pensieri - 1942)

"La nostra mente è fatta di un disordine più un bisogno di mettere ordine"

Questi pensieri dissacranti, dove per sacro s'intende il pensare quotidiano, disincantano; dove l'incanto che si smarrisce è quello verso il senso comune. La forma aforistica è utile al simbolista per scagliare i suoi strali contro la pigrizia e l'idiozia di cui sono inzuppati gli uomini. Alle volte i pensieri sono pungenti, altre volte ludicamente complicati per l'uso e gli accostamenti delle parole, spesso austeri. Sono, in fin dei conti, massime anticonformiste, che indugiano causticamente sul tema della ragione, che diffidano verso alcuni modi di porsi da meschino intellettuale, verso le fuorvianti etichette in letteratura; in breve sono filosoficamente "cattivi". Una filosofica cattiveria che si compone, e poi magari ricompone, nel tentativo di smantellare certe pretese radicate nel senso comune, nell'ordinario. Pare quasi che i pensieri si pongano in modo scettico, desiderosi di distruggere consuetudini e idee affermate. Si forgia pian piano un genere umano confuso, che ha poche possibilità di cogliere qualcosa di definito, di volgere lo sguardo verso un punto immobile.

Direi un libro pessimista, anzi, mi correggo, "realista".

23 mar 2010

Il mar delle blatte e altre storie - Tommaso Landolfi (Racconti - 1939)

"Il mare a perdita di vista, senza una terra all'orizzonte, sotto la cappa affocata del cielo, appariva nero come l'inchiostro, e di una lucentezza funebre; una quantità sterminata di blatte, tanto fitte da non lasciar occhieggiare l'acqua di sotto, lo copriva per tutta la sua distesa"

Se per metafisica intendiamo una concezione del mondo svincolata dalla realtà di tutti i giorni, questi racconti dell’immaginifico Landolfi possono definirsi pienamente metafisici. Una metafisica rintanata nelle pieghe delle parole, non c'è dubbio, ma perfino in una sorta di relativistico pessimismo caricato di senso, indefinito e indefinibile, dalle storie e dai personaggi. Non c’è permesso di vedere i limiti, i significati, di questo mondo "dopo fisico", tuttavia pare si scorga una sensazione di smarrimento e di scetticismo verso la quotidianità. L'erotismo, ad esempio - che è una costante forte nelle storie - così come le mostruosità fisiche dei personaggi - che non sempre li connotano malignamente - sembrano forme surreali della quotidianità che c’inducono a riflettere sul senso della vita. Si aprono prospettive di riflessione interessanti, soprattutto verso una direzione relativistica. Non credo sia un caso, difatti, che più di un racconto è dedicato (e mi viene in mente "Micromega" di Voltaire) all'astronomia, ai viaggi tra le stelle e le galassie.
Seni che orinano latte, uomini mannari o che hanno braccia dilaniate da cui tirano via astrusi oggetti, farfalle giganti che parlano, vermi che copulano con donne bellissime, blatte che invadono mari e non permettono nemmeno di scorgerne l'acqua, si presentano come elementi del tutto "normali" in un contesto consuetudinario. S'inizia sempre dall'ordinario, ma il surreale che si presenta dopo diventa "normale" in quell'ordinario.
Sebbene alcune descrizioni siano ripugnanti, il modo di presentarle induce non solo alla curiosità, ma finanche alla fascinazione e al sorriso a fior di labbra. "Il Mar delle blatte", il racconto che dà il titolo alla raccolta ad esempio, sembrerebbe un'avventura classica: degli uomini s'imbarcano e partono scoprendo il mare e nuovi personaggi. Eppure questi non sono naturali. Il mare, gli uomini, le donne soprattutto, sono creature pressoché mitologiche e ultraterrene che si confrontano e si lasciano strascicare dagli eventi, fino all'impotenza.
Accanto a tale metafisica dell'usuale slegato dalla realtà visibile, è interessante notare che esiste anche una metafisica classica. Quella cioè che indaga e cerca di afferrare i principi primi posti oltre l'esperienza sensibile dell'uomo. Penso ad esempio al racconto, sotto forma di trattato, "Da: «L'astronomia esposta al popolo»" il quale pretende di mostrare in che modo l'astronomia sia la disciplina somma, superiore a tutte le altre, e che prova l'esistenza di Dio, d'una specie d'aristotelico motore immobile.
Sono, in sostanza, racconti realmente fantastici.

21 mar 2010

Vita di Alberto Pisani - Carlo Dossi (Romanzo - 1870)

"Egli nasceva, giallo come un limone, tinto dalla paura della sua mammina, e, appena salpato, pianse: forse, perché sentiva di cominciare a morire, forse perché, miglia e miglia da lui, sull'orlo di un ruscelletto, giaceva intanto supino un uomo, toccato in fronte dal piombo, con le spalline strappate e le saccoccie rovescie"

La trama di questo romanzo, quasi assente in verità, si riflette sulle inettitudini del protagonista - per certi versi lo stesso autore - e la storia si riduce alla narrazione di singoli eventi. Come Alberto Pisani (il vero nome di Dossi, Carlo Alberto Pisani) la storia, infatti, è incostante, balbettante, stentante. Una vita, brevissima, che si muove verso la ricerca, sin dalla preadolescenza, d'una ragazza da amare, da desiderare; d'una musa a cui dedicare i propri versi d'amore, le proprie opere letterarie di giovane scrittore; d'una donna in grado di capire le impertinenze della sua ragione infettata dagl'innumerevoli libri letti.
Il romanzo non è facile da leggere; è esuberante, esplosivo, forsennato, quasi delirante. Lo stile, che ricorda un Gadda ante litteram, pesantemente barocco, ricco di neologismi, di francesismi, di regionalismi, di voci arcaiche persino per l'Ottocento, dalle caratteristiche volutamente antimanzoniane, carico dell'esuberanza di un giovane scrittore, rallenta e stanca a dismisura la lettura. I racconti scritti dal protagonista, di cui è costellato il romanzo, spezzano modernamente l'andatura della storia, tuttavia questo singhiozzo risulta a tratti ritmico a tratti disorientante. La bellezza del romanzo è da ricercare più su alcune originali intuizioni nella struttura ironica, nei dialoghi improvvisati solamente con certuni lettori, più che nella storia o nello stile eccessivo e straripante.
E' un gioco mirabolante insomma in cui i protagonisti sono, insieme alle parole, i capitoli e la struttura ironica che fanno da contrappunto alla drammaticità foscoliana degli eventi narrati.

17 mar 2010

Una pietra sopra - Italo Calvino (Saggi - 1980)

"Direi che il mio obiettivo poteva essere quello di stabilire delle linee generali che facessero da presupposto al lavoro mio e degli altri; di postulare una cultura come contesto in cui situare le opere ancora da scrivere"

In questa raccolta di saggi (che vanno dagli anni '50 alla fine dei '70) si ha l'impressione di vivere una piccola autobiografia culturale. Gli interessi sono molteplici ma esiste un filone unico che si può riassumere in una parola: cultura. La figura di Calvino, di questa belva sacra del secondo '900 italiano (e non solo), diventa imponente. E tale figura, adagio, cresce e si afferma attraverso la successione cronologica dei saggi che dipanano un pensiero molteplice e sfaccettato. Sembra che Calvino via via diventi più attento al dettaglio, al particolare. Pare, infatti, che da un'iniziale inclinazione verso la generalizzazione - verso un tentativo di schematizzazione del panorama culturale e letterario italiano, e non solo - l'acuto e puntuale critico, dopo, si concentri sempre più su singoli periodi letterari, su singole tematiche, su singole opere, su considerazioni più personali. Insomma si possono notare cambiamenti nel modo di vedere il mondo. Alla fine, Calvino abbandona un vezzo: problematico, quasi nervoso nel tentativo di cercare un nodo da sciogliere, che solo oggi, figli del postmoderno, possiamo considerare velleitario (ricordo che quelli sono gli anni successivi alla guerra in cui si tenta di ritrovare un'armonia, un ordine). Poi, quasi in sordina, diviene spensierato, divertito, libero di presentare la sua idea che non ha più pretese universalistiche.
Molte idee, è ovvio, sono superate, alcune non hanno fatto in tempo a cogliere il postmoderno che con la sua definizione e descrizione ha tutto scardinato nel secondo '900. Riflettere sulla letteratura contemporanea è come riflettere sulla storia del presente: mancano quelle categorie che solo il tempo può consegnarci. E di questo Calvino, naturalmente, ne è consapevole. Malgrado ciò gli stessi articoli precedenti alle intuizioni di Lyotard restano, comunque, validi e importanti per cogliere l'evoluzione del pensiero letterario successivo. E' inutile dire che le analisi, come ci ha abituato lo scrittore e intellettuale italiano, sono intelligenti, le conoscenze letterarie sono incredibili, così come le intuizioni sulla società contemporanea sono notevoli. Le riflessioni sulla lingua italiana, sulla sua capacità di essere concreta, chiara e precisa, malgrado non mi trovi del tutto concorde, traspira perspicacia ed equilibrio.
Un libro che fa riflettere sullo stato di cose letterarie, sul presente, sui decenni successivi alla guerra e, perché no, fa riflettere sulla figura dell'intellettuale puro che oggi sembra quasi essere un estinto animale preistorico.

11 mar 2010

Memorie dal sottosuolo - Fëdor M. Dostoevskij (Romanzo - 1864)

"E ora ho voglia di raccontarvi, signori, vi piaccia o non vi piaccia, perché io non sia riuscito a diventare nemmeno un insetto. Vi dichiaro solennemente che spesso desideravo diventare un insetto. Ma neppure di ciò ero degno. Vi giuro, signori, che aver troppa consapevolezza è una malattia, un'autentica, seria malattia"

Dostoevskij ha descritto categorie di uomini che tuttora esistono, che probabilmente non si estingueranno mai... In questo profondissimo romanzo è ritratto un uomo che ancora non è il superuomo negativo che tratteggerà compiutamente in altri romanzi, il crudele gratuito, ma è abbozzato un superuomo ante litteram, troppo onesto ma poco coraggioso, troppo legato a un certo tipo d'idea di giustizia per esserlo fino in fondo.
L'io narrante è di certo l'autore stesso; in una densa e cupa confessione si dipinge con tutte le paranoie che abbiamo imparato a riconoscere nella sua opera e nella sua vita. E' dunque, almeno nei sentimenti, un romanzo autobiografico. E' perciò un romanzo esistenziale, nel quale l'esistenza è analizzata come modo d'essere proprio dell'uomo, raffigurata nella vanità e nella singolarità irriducibile del singolo, dell'individuo. A tratti sembra di leggere Kafka...
L'io delle "Memorie" è in sostanza un uomo arrabbiato, irato contro il mondo e contro tutti; nevrotico, come recita il sottotitolo. Un uomo però intelligente, malato della sua cattiveria; un uomo con molte qualità si direbbe; è, come ci insegnerà più tardi uno scrittore austriaco, un uomo senza qualità. E allora questo eroe, questo antieroe anzi, si sfoga per marcare la differenza tra lui stesso, sofferente e per questo consapevole, e gli altri, desiderosi solo del benessere economico e privi di coscienza. Si scaglia così (e non è possibile non ricordare un celebre "Discorso" di Rousseau) contro l'ottimismo verso il progresso e le scienze, rei, secondo il romanziere russo, di essere la causa della decadenza dell'Europa, della Russia e più in generale dell'uomo.
Dopo l'aggressivo e solenne sfogo iniziale, il narratore quarantenne ricorda una storia di lui ventiquattrenne che lo ossessiona e che, forse, scrivendola, potrà aiutarlo nel suo tentativo di catarsi. Tuttavia alla fine si capirà che non scrive unicamente per purificarsi, ma anche per punirsi. Odia tutti e odia soprattutto se stesso, e il ricordo masochista lo aiuta a rivivere la sua odiabile esistenza. La verità, a braccetto con la meschinità, è l'arma che l'io narrante usa per fare del male agli altri e per fare del male a se stesso. L'invidia e la collera lo portano a perseguitare gli altri, i pochi che conosce e che disprezza. E' invidioso, cattivo, lontano intenzionalmente dalla società. Un uomo che nel suo sottosuolo, nel suo vivere nascosto non riesce a trovare la serenità, bensì solo il tormento. Un umiliato e offeso, dunque, volutamente da sé; un uomo ancora non estinto...

9 mar 2010

La Sicilia prima dei Greci - Luigi Bernabò Brea (Saggio - 1960)

"La Sicilia è il paese ricco di non sfruttate risorse abitato dai Ciclopi selvaggi. I pericoli dello stretto sono adombrati nella leggenda dei due mostri Scilla e Cariddi che ne impediscono l’attraversamento ai naviganti. Al di là sono le Planctai, le isole vaganti, le cui fosche cime sono sempre avvolte da una nera nube, il paese dei Lestrigoni mangiatori di uomini, le Sirene incantatrici dei naviganti, l’isola della maga Circe"

Un testo fondamentale della letteratura archeologica sulla Sicilia. Sono pagine di studi, di ricerche scientifiche, ma anche di denuncia, tra le righe, delle trascurate analisi che potrebbero portare nuove e importanti scoperte archeologiche in Sicilia. Tuttora, nonostante nuove ricerche, le informazioni generali presentate sulla preistoria siciliana restano attuali e preziose. Emerge dal libro una ricchezza di storie nascoste, alcune forse non saranno mai del tutto svelate, altre ormai per sempre obliate, storie di immense rivoluzioni culturali dimenticate. E nella lettura di questo alone misterioso si può trovare del fascino. Ne viene fuori quindi una Sicilia dalle immense distanze, fatta di confini e limiti da valicare per le popolazioni preistoriche; una preistoria siciliana composita, che rispecchia la variegata consistenza delle rocce sull'isola, e pure i diversi vicini con cui le popolazioni isolane commerciavano. Per contestualizzare le culture presenti sull'isola, infatti, il brillante archeologo si dedica allo studio comparato delle isole vicine alla Sicilia.
Certamente è un libro dalla lettura scorrevole e godibile, ma è pur sempre un testo non propriamente divulgativo e perciò più da studiare che da vivere in una lettura.

7 mar 2010

L'età dei libertini - Michel Onfray (Saggio - 2007)

"In quei tempi la Chiesa ha il sangue caldo e il braciere pronto. L'ateismo? Nessuno lo rivendica apertamente. La parola esiste, ma non significa niente di veramente chiaro. Non è ancora il momento. L'uso fluido comprende sotto questo vocabolo l'individuo che non crede in modo ortodosso, detto altrimenti, chiunque crede liberamente. Uno dei personaggi dell'"Altro mondo" nota già quest'uso sbagliato della parola "ateo". Perciò i fideisti - Charron, La Mothe Le Vayer, Saint-Evremond, Gassendi -, i deisti - ben presto Voltaire, La Mattrie, Helvétius - e i panteisti - Cyrano, Toland, Spinoza -, che credono altrimenti, diversamente, passono spesso per atei"

Come già in altri suoi libri, Onfray cerca di rivalutare e collocare nella giusta rilevanza storica e culturale autori che la moderna storiografia, truccata da cristiana, ha volutamente e miseramente obliato. Ne viene fuori un libro brillante, colmo di aneddoti curiosi, riflessivi e spesso esilaranti. Un libro godibilissimo anche per chi non è avvezzo alla storia della filosofia. Per chi invece avvezzo lo è, di certo divertono le criptocitazioni che ironicamente, e alle volte polemicamente, usa per descrivere i grandi e famosi filosofi mai dimenticati dalla storiografia classica.
L'autore si scaglia con coraggio contro "Il secolo di Luigi XIV" di Voltaire, reo di avere dimenticato l'altra metà del '600 che non era ossequiosa verso il cristianesimo e il potere. Rivivono così filosofi che nei manuali di storia della filosofia sono assenti, alle volte solo accennati, spesso liquidati con superficialità. Pensatori che non sono atei - di sovente uomini di chiesa (sic) - ma che hanno sviluppato un forte senso critico verso i dettami della religione e il senso comune. Alla fine questi libertini sono considerati dal filosofo francese per quello che realmente sono: non dissoluti, viziosi, osceni, ma liberi pensatori, liberi di pensare senza condizionamenti, contro le dogmatiche imposizioni che gli schiavi accettano senza nemmeno intuirne il significato. E dietro tutti questi libertini barocchi stanno insieme veementemente due mostri sacri della fiolosofia: Epicuro e Montaigne.
Uno stile non pesante, ironico invece, che si fa beffa della storiografia classica, dei filosofi idealisti che più sono insopportabili al coraggioso filosofo francese: un autore che puzza di zolfo, anzi che profuma di zolfo...

2 mar 2010

1984 - George Orwell (Romanzo - 1948)

"Ciò che ora stava per fare era iniziare un diario, un atto non illegale di per sé (nulla era illegale, dal momento che non esistevano più leggi), ma si poteva ragionevolmente presumere che, se lo avessero scoperto, l'avrebbero punito con la morte o, nelle migliori delle ipotesi, con venticinque anni di lavori forzati"

In un mondo in cui tutto è portato all'estremo, all'ordine asfissiante e tirannico, in cui non esiste spazio per l'irragionevolezza dell'individuo, per la casualità della vita, per l'imprevedibilità, il singolo che lotta contro questo sistema è destinato a soccombere. E' ciò che accade a Winston Smith, il protagonista, il quale in modo quasi fulmineo, mentre scrive un diario, coglie l'essenza dispotica e illiberale della società in cui vive. La parola scritta (elemento sintomatico e curioso visto che qualche anno dopo Bradbury concentrerà il suo "Fahrenheit 451" sui libri, sulle parole scritte appunto) è il presupposto scatenante di riflessione. E senza nemmeno accorgersene, il protagonista, si ritrova rivoluzionario, antisistemico. Smith, alla fine, risulta sconfitto; l'uomo risulta sconfitto. Non si può nulla contro il potere dell'indifferenza, contro l'assenza della storia, della memoria quindi (è il Grande Fratello che controlla, riscrivendola, la storia per adattarla alle esigenze del presente); non c'è spazio nemmeno per la speranza. Tutti sono osservati, anche dentro, nei pensieri, e il Grande Fratello, questo mostro coi baffi, questo Dio che tutto vede e tutto sa, che con il suo sguardo giudicante terrorizza gli uomini sa e provvede con la giusta punizione.
E' la descrizione parodiata del comunismo sovietico, ma è anche la condizione descritta dal catechismo cristiano nella quale c'è un Dio supremo e ci sono uomini spiati dall'alto.
Un romanzo che lascia un amaro in bocca, che mostra come potrebbe essere una società scevra da spinte individualistiche, che si abbandona alla sconfitta. Un po' statico, una storia d'amore poco coinvolgente, a tratti pedante nelle spiegazioni, gli ultimi capitoli però possiedono un ritmo superiore nonostante la difficoltà di delineare filosoficamente la concezione onnipotente e onnisciente del Grande Fratello.

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